L’inVerso fotografico di oggi mette a confronto due personalità molto diverse, per certi versi antitetiche ma volte a ricercare, entrambe, la verità.
Majakovskij,
i vostri versi non agitano,
non scaldano, non contagiano.I miei versi non sono mare,
non sono una stufa e non sono la peste.
Un fotografo e un poeta che indagano impietosamente la realtà del loro tempo. Walker Evans, artista sfaccettato, geniale, profetico operatore critico della cultura visuale di massa del Novecento. Majakovskij poeta irriverente, futurista, rivoluzionario. Entrambi denunciano i contrasti della società borghese mettendone in risalto le contraddizioni e la sofferenza dei più deboli. Mentre i mass media indugiavano sul culto della celebrità e del consumismo, Evans fotografava anonimi cittadini e la loro vita quotidiana, creando immagini dirette e frontali delle condizioni del paese, con uno stile austero e distaccato privo di ogni forma di idealismo romantico. I suoi intensi scatti, prevalentemente in bianco e nero, lo hanno consacrato pioniere della fotografia documentale e sono divenuti simboli della cultura americana degli anni del New Deal. Un intellettuale che mise la fotografia al servizio di un progetto culturale lungo quanto la sua stessa vita, che ebbe per obiettivo la scoperta, l’analisi, la raccolta e la conservazione di un aspetto fondamentale della cultura visuale americana. I soggetti delle sue fotografie, le architetture spontanee, le insegne, gli abiti da lavoro, perfino anche i volti dei tenant farmers e degli sharecroppers.
Luigi Ghirri, riprendendo una definizione di Gianni Celati, diceva che le fotografie di Walker Evans “fanno le carezze al mondo”.
Majakovskij il mondo piuttosto lo prende a pugni, lo insulta, lo percuote nell’intento di scuotere le coscienze e accendere i cuori. Urla a gran voce le sue ragioni e la sua sofferenza senza mezzi termini, con sguardo altrettanto impietoso e, con parole dirette e senza filtri, (E dal Nord – più canuta della neve – una nebbia/Dal volto di cannibale assetato di sangue/Masticava gli insipidi passanti) rappresenta la fotografia di un’umanità succube e povera di valori.
da “A tutta voce”
Il mio verso arriverà
attraverso le schiene dei secoli
e attraverso le teste
dei poeti e dei governanti.
Il mio verso arriverà
ma non arriva così
non come una freccia
nella caccia di amorini con la lira,
non arriva come
al numismatico una moneta consunta
e non arriva come la luce di stelle morte.
Il mio verso
a fatica
squarcerà la mole degli anni
e sorgerà
convincente,
grossolano,
tangibile,
come nei nostri giorni
è entrato un acquedotto
costruito già dagli schiavi di Roma.
(1929-1930)
*
Alle insegne (1913)
Leggete libri di ferro!
Sotto il flauto d’una lettera indorata
si arrampicheranno marene affumicate
e navoni dai riccioli d’oro.
E se con allegra cagnara
turbineranno le stelle <<Maggi>>,
anche l’ufficio di pompe funebri
moverà i propri sarcofaghi.
Quando poi, tetra e lamentevole,
spegnerà i segnali dei lampioni,
innamoratevi sotto il cielo delle bettole
dei papaveri sui bricchi di maiolica.
Ma voi potreste? (1913)
A un tratto impiastricciai la mappa dei giorni prosaici,
dopo aver schizzato tinta da un bicchiere,
e mostrai su un piatto di gelatina
gli zigomi sghembi dell’oceano.
Sulla squama d’un pesce di latta
lessi gli appelli di nuove labbra.
Ma voi
potreste
eseguire un notturno
su un flauto di grondaie?
Pena
In una vaga disperazione il vento
si dibatteva disumanamente.
Gocce di sangue annerendosi
si gemmavano sulle labbra d’ ardesia.
E uscì, a isolarsi nella notte,
vedova la luna.