Appunti su Michele Sovente

Ad agosto Carteggi Letterari si prende una pausa e sospende la programmazione ordinaria. Riproporremo post apparsi nel secondo anno di attività. Appunti di Viola Amarelli su Michele Sovente (pubblicato il 16 aprile 2015).


michele-sovente

Di volta in volta definita tellurica, stratigrafica, rabdomantica, la scrittura di Michele Sovente (1948-2011) ha una fascinazione peculiare che la rende una delle più importanti ed originali nel passaggio dal vecchio all’attuale millennio. Analogamente a quanto accade nel percorso poetico di Zanzotto – cui spesso viene accostato – elementi cardini dell’opera di Sovente sono il linguaggio e la natura colta nella sua dimensione metamorfica, con un clinamen peraltro molto diverso, non fosse altro che i Campi Flegrei dove Sovente è nato e ha trascorso la sua vita non sono il Montello.

A livello di linguaggio rilevante è, ovviamente, la scelta di utilizzare a partire dalla sua terza raccolta (Per specula aenigmatis, 1990) una triglossia (latino, napoletano e italiano) che gli consente di orchestrare partiture dove in realtà non esiste un Ur-testo ma piuttosto variazioni che, anche quando minimali, si rinviano le une alle altre, in un gioco di progressiva approssimazione e contestuale messa a fuoco del nucleo del dettato poetico(1).  La stessa caratterizzazione delle lingue adottate – come è stato giustamente osservato (2) – concorre a una stratigrafia quasi geologica e all’inesausta metamorfosi di archetipi che anima la ricerca dell’autore. Così, il latino di Sovente non è quello classico, contenendo echi del carmen arcaico e sacrale in una tessitura che peraltro rinvia anche al latino medievale, configurandosi quale lingua dei padri, della cultura, dei templi sommersi e dei phantasima della Sibilla cumana; il napoletano vernacolare non ha la rotonda musicalità digiacomiana ma la concretezza aspra e corrusca del dialetto di Cappella (Monte di Procida), la lingua materna, mentre l’italiano procede quasi per sottrazione ed asciuttezza, in un presente, anche politico, stigmatizzato dall’autore, la lingua degli scambi sociali (3).

La deliberata adozione di questo polilinguismo è un tentativo di restituire l’accumulo e il magma sensorio e culturale che si intrecciano nel paesaggio e nell’esperienza antropologica dei Campi Flegrei, tentativo ben chiaro a Sovente che in un’intervista lo ha dichiarato “ scaturito da un impulso interno, dal bisogno di portare alla luce schegge sonore, barlumi di una età lontana dai contorni fiabeschi e primitivi, manifestazioni di energia vitale, di fisicità, figure e gesti elementari, nuclei di pensiero e di visionarietà che configurano un universo dove fascino e paura, sortilegio e smarrimento, solitudine e fusione con la natura procedono sempre all’unisono. Da qui discende il mio convincimento che tra latino, italiano e dialetto non ci sono divergenze o contrapposizioni”.

Le citate “schegge sonore” danno conto anche della dimensione eminentemente musicale, sonora ed immersiva dei testi di Sovente, che tuttavia non vira mai al melico, grazie ad un ritmo basato su scarti, addensamenti e rallentamenti alternati con grande maestrìa. La componente visuale della sua poesia si affida soprattutto alla luce e ai colori (4), a bagliori momentanei o sfocati contorni di nebbia (5) evidente anche nelle sue “cartuscelle”, disegni e tecniche miste su carte, recentemente esposte in una mostra dedicatagli (Sovente è stato, tra l’altro, per decenni docente di Antropologia Culturale all’Accademia delle Belle Arti partenopea) (6). Una tale ottica si fonda su una precisa convinzione dell’autore “la poesia traffica con gli spectra più che con lo spectaculum”, dove i lemuri, le ombre, i simulacra, i residui organici e inorganici, i mormorii, le foglie fruscianti della Sibilla, si contrappongono nettamente alla società dello spettacolo. La funzione medianica (7)- e non profetica – della poesia ha per Sovente un valore di scandaglio/sismografo che scende, e sale, nella trasformazione continua non solo degli elementi, ma della stessa storia e cultura umana, “seguendo” gli enigmi di un mondo dove lo spazio è in perenne curvatura (non a caso uno dei suoi libri si intitola “Bradisismo”) e il tempo oscilla tra aion e kronos, con una complessiva valenza “vichiana” espressamente richiamata da Sovente(8).

Si tratta, in buona sostanza, di una poesia “materica” in senso lucreziano, che vede l’io autoriale immerso nella continua metamorfosi e negli enigmatici legami del divenire, in una incerta zona di confine tra soggetto/oggetto, registrando con toni quasi da animismo bruniano le correlazioni, gli intrecci tra passato e presente, tra mondo umano e mondo animale, fortemente presente nella sua produzione: dalle formiche, ai vermiciattoli, ai topi, alle lucertole, alle avis, agli insetti quasi kafkiani, a restituire non solo e non tanto un rinvio speculare tra uomo e animale ma la compresenza di diversi livelli di vita organica, e non. La stessa storia umana si cristallizza nella figura del Minotauro (Ruotavano schegge / magnetiche sul collo del Minotauro che guazzava / nell’immensa palude del nulla e lo vomitava a /quintali. La Storia furiosa e gloriosa gli depositava / in grembo sterco su sterco)(9), e nella ripetizione coartata (una sorta di scivolo dove stagioni e generazioni si ripetono e si avvicendano senza che mai si possa scorgere alcunché di nuovo) tra uomini pianificati e omogeneizzati (10).

Nello scenario dei Campi Flegrei, primordiale e arcaico, la natura fagocita incessante le ”vestigia” umane, con un impatto che per molti è, e resta, da “grande bellezza”, ma che nella scrittura di Sovente si rivela folle imbuto eracliteo dove il poeta è un bricoleur- leggi: scriba- che raccatta/scarti latini e a uno a uno li saggia/nell’attrito infinito di un’altra lingua che mai vedrà nascere (11). L’ultimo libro dell’autore flegreo si intitola “Superstiti”, a testimonianza del compito, inutile, forse, ma ugualmente tenace della poesia, la resilienza: Rotola su sé la materia oscura/ e come può resiste la scrittura(12). Urania, sosteneva Jaroslav Seifert, è la più antica, e importante, tra le Muse.

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(1) da Carbones, 2002:

Carbones

Silenter ardent carbones
in vastis autumnalibus
vel hiemalibus fluctibus
anxietatis et strident
vagae alae vagantes trans
fenestras dum fervent
in memoria amores quos
pungit silentium et fugiunt
carbones de carcere ad
alias facies vel figuras
Ggravùne

Jàrdeno chiano ’i ggravùne
quanno ll’autunno o ll’imbèrno
spanne ll’ónne ’i na pena
e scélle sìscano a luóngo
p’ ’i ssénghe r’ ’i ffinèste
tramènte ca jarde ll’ammore
ra n’arricuórdo a n’ato
e r’ ’u carcere p’ ’u munno
a cercò ati cristiane, ati
fiùre fùjeno ’i ggravune.

Carboni

Ardono in silenzio i carboni
nei vasti flutti dell’ansia
d’autunno e d’inverno
e vaghe ali randagie stridono
tra le finestre mentre
fervono nella memoria gli amori
che il silenzio trafigge
e dal carcere fuggono verso
altre facce o figure
crepitando i carboni.

(2) Giancarlo Alfano, “Sovente o lo spettro del paesaggio”, 2010

(3) da L’uomo al naturale, 1978

corpo sociale

Nell’ineffabile buio delle chiese
si mimano rapporti, si sgretola
la geometria dei sensi quotidiani.
La storia è una metafora al cubo.
Fuori (r)esiste altra mimica
– più feroce, sottilmente mistica -:
l’agnello immolato sull’altare
scompare, il carnefice appare
lo squalo che – colpi di coda assassina –
taglia il mare delle fluide parvenze.
Io mimo tu mimi egli mima:
l’irreale mimiamo un corpo
sociale che non c’è.

(4) da Carbones, cit

Blu scheggiato scheggiato
su ogni caseggiato
Blu sognato sognato
d’inverno e d’estate
Blu vorace vorace
blu senza pace.
Blu irreale reale
Blu oltremare.

(5) da Bradisismo, 2008:

A Millèno
A Millèno ce stò ’u mare
e ’u faro, na luce a Millèno
ce stò, annigliata e luntana,
ca p’ ’a muntagna se spanne,
perdènnese, e na voce po’
saglie ra sottoterra, ’a voce
r’ ’i statue mangiate r’ ’u viénto
e r’ ’u tiémpo, e sàglieno
r’ ’u mare fantàsemi ’i sale
ca pógneno ll’uócchie.

A Miseno

A Miseno c’è il mare
e il faro, una luce a Miseno
c’è, nebbiosa e lontana,
che per la montagna si spande,
perdendosi, e una voce poi
sale dal sottosuolo, la voce
delle statue smangiate dal vento
e dal tempo, e salgono
dal mare fantasmi di sale
che pungono gli occhi.

(6) cartuscelle come “ piccoli scorci di mondi impercettibili, corpuscoli che vorticano dentro il nostro subconscio, emozioni policrome e incostanti, infrasuoni evocati da una forte sensibilità all’infinito: troppe inestinguibili certezze abbandonate in quel maelstrom straordinario che è la mente umana”; dal catalogo della mostra

(7) palese nello stesso incipit di Per specula aenigmatis, 1990 : “Non ego latine scripsi, | Lingua latina me scripsit” (“Non io ho scritto in latino. | La lingua latina mi ha scritto”)

(8) da Cumae, 1998:

«’I tutto stu munno’ncantato / nu felòseco chiammato Vico / à spaparanzato ’i pporte»;«Hunc sic globum mirificum / philosophus Joannes Baptista / Vico
visibilem fecit eiusque / ianuas aperuit alacriter»

(9) da Per specula aenigmatis,cit.

(10) da L’uomo al naturale, cit.

(11) da Per specula aenigmatis,cit.

(12) da Bradisismo, cit.


 

Immagine di copertina: Michael Wutky, “Veduta dei Campi Flegrei”, 1782.

5 pensieri su “Appunti su Michele Sovente

  1. meraviglioso esordio su Carteggi cara Viola. Puntuale ed elegante recensione ad un poeta nascosto ancora tutto da intuire da scoprire e bellissimo.

  2. grazie Diego, in realtà Sovente ha avuto numerosi riconoscimenti, anche critic, i in vita ma è indubbio che la sua scrittura di ricerca meriti di esser ulteriormente approndita e diffusa, Viola

  3. Mi fa piacere che venga ricordato Michele Sovente con questo bell’articolo di Viola. Complimenti.