Ilaria Seclì, “La sposa nera”, Novi Ligure, Joker, 2016

Ilaria Seclì, La sposa nera, Novi Ligure, Joker, 2016

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Nella sua quarta raccolta, La sposa nera (Joker, 2016), Ilaria Seclì lavora sui nessi fra magia e parola poetica, o meglio sul loro comune potere di arginare, provvisoriamente, cioè almeno per il tempo che coincide con l’enunciazione, il progressivo sfilacciarsi della realtà, il minaccioso «boato della furia» (p. 39) che è impossibile da ignorare e si esorcizza solo attraverso l’‘incantesimo’ dei versi o altri esercizi di cartomanzia; e poco cambia se le carte usate per la divinazione sono tarocchi o pagine di un personale diario: si ha scampo solo fino a che la poesia, la sua pronuncia, dura. Oppure finché nei silenzi fra l’uno e l’altro sortilegio permane l’eco o il presagio muto della rissa, celeste e ctonia, che ha preceduto l’apocalisse o che sta per scatenarla: «Lei non venuta al mondo alga espansa, contorni incerti per l’ordine dei tempi. Lui incarnata volontà di ciò che è vivo nelle cose morte. Ritornerà a me, ritornerà nel lago del Silenzio», p. 8.
Nominare gli oggetti, i luoghi, gli incontri, alcuni particolari di vicende private e sfuggenti è un gesto apotropaico che salva tutte queste cose dalla minaccia del loro annichilimento. In questo senso la poesia coincide con la magia (e viceversa): la loro antica parentela permette di allontanare, per l’intera durata della formula incantatoria, ciò che di negativo, maligno ed erosivo è nelle cose, oppure di preconizzare («il futuro dal buco della fine si intravede», p. 10) un giardino incantato da day after, un nuovo paradiso preadamitico e perciò ancora disabitato dalle parole («Non ha cantato che per la fresca e splendida mattina che tutto ha preceduto», p. 8).
Oltre che sul motivo della profezia, la raccolta insiste su quello della fissità del tempo e sulla ciclica impasse da ‘eterno ritorno’ («cullando un Eterno senza moto», p. 10), rappresentati anche attraverso l’anticipazione di brani che precedono di alcune pagine i componimenti da cui sono tratti. La poesia è intesa come pratica divinatoria – caratteristica, in questo senso, l’ingente quantità di verbi coniugati al futuro – oppure come parola ammantata di sacralità che ambisce a governare l’insensatezza e il disordine caotico degli elementi e della storia. I frammenti eterogenei della propria esperienza del mondo sono gli ingredienti riversati in un calderone barocco da ‘cucina delle streghe’ che l’autrice – per metà sacerdotessa e per metà fattucchiera: in questi versi l’anacronistico orfismo ‘di ritorno’ è corretto da un’atmosfera boschiva da fiaba popolare o da quinte di anonimi scenari urbani – rimescola, apparecchiando, così, il varo della sua Nave dei folli che imbarca «inetti puri di cuore» (p. 31), «zingari cialtroni, mimi e buffoni, […] chi pesa le cose all’incontrario», (p. 25): «Lei, tra i vicoli di Deft, / preparerà per te / una minestra, / partiamo per Narragonien // Sibilla» (p. 7).
La sposa del titolo è figura dell’attesa ed è nera perché veste già il lutto dell’inevitabile perdita di cui ha sempre, nonostante la reiterazione delle ‘formule magiche’, un lucido presentimento: «Ferma lì, immobile, si congeda, nessuna attesa più. / Resta il vento, unico uomo./ L’altare, vuoto», p. 48; la corona che indossa è di spine e d’oro («corona spinata d’oro della capinera», p. 30) perché l’incanto richiede sofferenza e gli alambicchi distillano, nella stessa misura, filtri d’amore o terribili veleni.
Questa poesia orgogliosamente appartata si snoda, così, fra posture iniziatiche e la loro ironica obliterazione, fra panismo esoterico, grottesche accumulazioni e innocente nostalgia di un eden irrimediabilmente perduto, risolti ora con dense pronunzie oracolari, ora con trasparente grazia alessandrina:

Finiremo giocandoci a palla il mondo
e quel resto che fu d’inciampo
rideremo di nomi e venti mari e boschi
di cui fummo prigionieri, quando avremo
l’universo nel palmo, distanze e continenti
su cinque punte di mano. Ogni bimbo
canterà la verità sul mondo e sarà creduta
la sua versione delle cose (p. 47)

Simone Giorgino


Testi da La sposa nera

andando via dal tempio velatevi il capo,
slacciatevi le vesti e alle spalle gettate le ossa della grande madre

Ovidio, Metamorfosi, Libro I

la palude ha voce, annega
l’albero ammaestra la frusta
metallo di collana nel sangue
il pastore in fumi fiamminghi riparerà
nella casa i piedi e la pupilla nel paiolo.
la stalla pure c’è e dà silenzio
ingannatore. trittico del fieno
riposo dei rospi, angeli ribelli
morte certa all’avidità
curiosità di chi ne mangia, morte
certa. cervi storpi asini. il prestigiatore
coscienza dell’Ognitempo, da un respiro
ritornata strega, pozzo di chiostro
donna di denari, fiammiferaia.
Lei, tra i vicoli di Delft preparerà per te
una minestra.
partiamo per Narragonien

Sibilla

***

Il mondo fece credere inadatto il Principe di Perfezione. Bucò l’acqua
—————————————————————————————————————[della sua

Sapienza Dolce per dividerla nei terreni paludosi e farne cibo per i
——————————————————————————————————————-[molti.

Lei nel sonno di bambina, dita al pianoforte, silenzi e solitudini delle
———————————————————————————————————[lunghe estati.

I codici aprivano. Preparavano i giorni senza calendario, novilunio
————————————————————————————————————-[taciturno.

Notti bianche e corte, la distanza delle stelle. I numeri dell’Acqua.
Calmo il suo tormento al mondo, così poco indaffarato e scalzo: pioggia
—————————————————————————————————————[di cuori,

offerta sacra, prima negazione.
Altri anni e luoghi paralleli li sapevano gemelli, integri nello spazio
—————————————————————————————————–[delle larve, voci

morte. Lei non venuta al mondo, alga espansa, contorni incerti per
———————————————————————————————————–[l’ordine dei

tempi. Lui incarnata volontà di ciò che è vivo nelle cose morte.
Ritornerà a me, ritornerà nel lago di Silenzio.
Non ho cantato che per la fresca e splendida mattina che tutto ha
———————————————————————————————————–[preceduto

***

Il vento prima di altro
seppe declinare i rivoli delle sue nocche
le maestranze danzanti

(esilio)

muschio e orchidea, cornici a guinzaglio, scaldaletto e oliera fissi alla
——————————————————————————————————————-[croce, al
chiodo, alla piazza. vidi la pupilla, il tempo inappartenuto, occhiali di
—————————————————————————————————————-——[nonne
all’uncinetto, litanie ossidate, buttate lì, senza volto, occhi e guance
—————————————————————————————————–[disossate, respiri
di bambole di cera alla mercé di un pomeriggio padano, nera gola di
———————————————————————————————————-[foschie e luci,
vecchiaia del mondo, dagherrotipo secco non ancora moribondo.
si direbbero ingravidate dallo spirito notturno, donne di lavoro terra
—————————————————————————————————–[e notte. qui, volti
all’indietro del progresso, il futuro dal buco della fine si intravede.
ci fu cammino e il cammino azzardò pretese prometee senza
———————————————————————————————-[beneficio. rogo lento
travestito di progresso.
alla punta si restava cullando un Eterno senza moto movimento, il
———————————————————————————————————–[moto proprio
dell’umana specie, moto proprio del tempo evanescente.
goliardi, il cerchio ai fianchi dondolante, altro non aspettano che il
————————————————————————————————-[Cerchio ritornare.
altro non aspettano, o estasi!, che il cerchio ritornare.
(ma, la donna, dal bosco, prese la borsa e me la diede: – vera pelle,
————————————————————————————————————[certo! – per il
pegno da portare da mia madre. Questo sacrificio al gelo non
—————————————————————————————-[impallidisca il sole mio
di sempre, il cerchio spezzato, conficcato come spada alla caviglia)

***

Paul

Tieni, prendi. Tabacco da fiuto
fata verde, fino a che sarà buona
l’acqua della Senna. Licenzia
la bestia, andiamo oltre.
Tienila stretta questa tregua
dai pace al respiro, ferma le foglie
impazzite la ressa il getto nero.
Ammutolisci i numeri le sottrazioni
l’infamia. Taci. Uno due tre.
Taci. Dimentica il sonno indotto
l’insulina, la vita cancellata e non
dalla gomma dei bambini. Vieni,
accucciati, fatti accarezzare.
Resta

***

Poesia n. 1 per nessuno

ecco, dici che ritorni
riordino la casa
apparecchio l’altare
la somma delle cose perse
che non ritroverai
ti aspettano da sempre
facciamo che vinca l’odore
tuo di cotone e neve
non il ticchettio lunare
del gelido alfabeto
che insieme a me ha tenuto
la conta delle piogge nel deserto
facciamo come i bimbi
i fili d’erba, l’ape, aurorali indizi
di un passaggio che si eterna

***

Qualcuno, addormentato in me
mi mangia e mi beve

A. Pizarnik

si farà lo stelo immenso al supplizio,
rovescerà al vento la diga di carta
guarda la memoria del mare tumefatta
ho il sonno leggero del tempo che non
venne. nel vaso cade la goccia sconosciuta
la cicatrice del sonno di dea lapidata.
ora il dito corregge lo sforzo.
sarà tutto un sonno caldo, sbriciolarsi
di alfabeti e mesi. la pianura di ciò
che abitammo, dal cancello della storia,
porterà il silenzio del primo mare

***

La finestra non ha casa. La finestra
è verde. Hai detto: lascio polvere
e ruggine, anche loro hanno chiesto di te.
Verde veleno, inchiostro e miniature
mortai boccali medicamenti alambicchi.
O onesto speziale, il tuo veleno è rapido
come Ofelia prepara la sua culla
quel colore minerale dentro cui resterà
nel sempre di un Principio senza tregua
povero angelo, povera bambina.
Mani di uomo che fuma, donna acqua
e oro. La finestra non ha casa,
la finestra è verde, il legno mangiato.
Chissà cosa vedranno gli ospiti
quando apriranno il suo gancio
gli ospiti che apriranno la finestra.
Se vedranno la luce di tremenda maestà
trasparente come ambra. La finestra
non ha casa. La finestra è verde.
La casa splende.


In copertina: Ilaria Seclì (Foto: Loredana De Vitis ©).

 

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