Amy Winehouse: talento, tormenti e fragilità #CornicidArtista

di Marta Cutugno

La vita troppo breve di Amy è stata una corsa sulle montagne russe“.

Mitch Winehouse

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Amy Winehouse: tratto pesante sugli occhi, insolita e provocatoria presenza scenica, indiscutibile talento, tormentata vita personale.
Amy nasce nel 1987. La sua è l’infanzia tranquilla di una bambina complicata, testarda, sfacciata, che amava scherzare, nascondersi ai grandi magazzini, inscenare soffocamenti che tutti finirono per ignorare. Era visceralmente legata alla sua famiglia ed alla nonna paterna. Insieme ascoltavano Bennet, Sinatra ed Ella Fitzgerald, guardavano poco la TV e suonavano, cantavano spesso. La famiglia resta unita fino al 1993: il padre, dopo aver rimandato a lungo la decisione, sceglie di allontanarsi da casa perché innamorato di Jane, che conosceva bene la moglie Janis ed i figli e con la quale aveva una relazione da otto anni. Amy, già di natura irrequieta, inizia a ferirsi e manifestare la sua essenza ribelle. “Presto Amy cominciò a scrivere canzoni, alcune buone, altre orrende. Una delle più belle si intitolava “I Need More Time”. Me la suonò qualche mese prima di morire. Credetemi, non sfigurerebbe in uno dei suoi album, ed è un vero peccato non l’abbia mai registrata”. A quei tempi aveva una piccola migliore amica di nome Juliet Ashby. Insieme formarono un duo: “Quando Amy aveva circa dieci anni, lei e Juliette formarono un gruppo rap che ebbe però vita breve, Sweet ’n’ Sour –Juliette era la dolce, Amy l’amara. Ci furono molte prove ma, purtroppo, nessuna esibizione in pubblico”.
A 11 anni Amy fa domanda alla Sylvia Young Theatre School di Londra, senza chiedere permesso preventivo ai genitori, ed insieme ai moduli da compilare le viene richiesto di lasciare per iscritto una presentazione di se:

In tutta la mia vita sono sempre stata chiassosa, al punto che spesso mi è stato detto di tacere. L’unica ragione per cui sono stata costretta a essere così chiassosa è che per farsi sentire nella mia famiglia bisogna urlare. Nella mia famiglia? Sì, avete sentito bene. Il lato di mia madre è perfettamente a posto, la stravaganza musicale di mattoidi che ballano e cantano è della famiglia di mio padre. Mi hanno detto che ho il dono di una bella voce e credo che la colpa sia di papà. Anche se a differenza di mio padre, e dei suoi genitori e antenati, voglio far qualcosa con il talento da cui sono stata “benedetta”. Mio padre si accontenta di cantare a squarciagola nel suo ufficio e di vendere finestre. Mia madre, invece, è farmacista. È silenziosa, riservata. Direi che la mia vita scolastica e le mie pagelle sono piene di “potrebbe fare meglio” e “non sfrutta tutto il suo potenziale”. Voglio andare in una scuola che mi porti fino ai miei limiti, e magari anche oltre. Voglio cantare a lezione senza che mi dicano di tacere (a condizione che siano lezioni di canto). Ma più di ogni altra cosa sogno di diventare molto famosa. Di lavorare sul palco. È un’ambizione che ho sempre avuto. Voglio che la gente senta la mia voce e dimentichi per cinque minuti i suoi problemi. Voglio esser ricordata come attrice e cantante, per il tutto esaurito ai miei concerti e ai miei spettacoli al West End e a Broadway”

Ma la Sylvia Young Theatre School era una scuola con severe regole e per Amy risultava impossibile rimanere chiusa entro schemi preconfezionati: “Ogni giorno rischiava di essere l’ultimo. Non faceva niente di terribile, ma disturbava e cercava sempre di attirare l’attenzione, cosa che provocava continue lamentele sulla sua condotta. Non ne voleva sapere di far silenzio durante le lezioni, scarabocchiava sui libri di testo e faceva scherzi“. A causa dei bassi voti e la pessima condotta, i genitori decidono di farle cambiare scuola ed evitarle la bocciatura. In lei è il talento naturale ed una voce intensa e plasmata dal soul. È il 2002 quando i demo registrati insieme a Tyler James giungono alle orecchie di Simon Fuller che ne resta ossessionato.  A 17 anni Amy firma il suo primo contratto con la casa discografica Island/Universal e chiede subito ai suoi genitori di amministrare per lei i guadagni. Va a vivere in una casa in affitto con alcune amiche e mantiene vivi i legami con la famiglia. Il padre ricorda con affetto la consueta cena ebraica: “Continuammo la tradizione del venerdì sera per quasi tutta la vita di Amy. Era sempre un momento speciale per noi, e negli ultimi anni divenne un test interessante per le amicizie di Amy –permetteva di capire chi le fosse tanto vicino da venir invitato”.

Da “Frank” a “Back to Black”
Il 20 ottobre del 2003 viene pubblicato il suo album di debutto, “Frank“, prodotto da Salaam Remi e molto apprezzato dalla critica. Ma la sola insoddisfatta è proprio lei: Frank è un disco jazz con contaminazioni soul ed un ritmo che coinvolge ma il progetto iniziale viene smorzato dalla casa discografica che pubblica solo le tracce più soft senza chiederle parere. Amy è, dunque, costretta a pubblicizzare, per più di un anno, un disco che non le piace e che non riuscirà più a riascoltare. Qualsiasi tentativo esterno di modificare il suo stile e renderlo più commerciale fu destinato a fallire. Tra l’uscita del primo e quella del secondo album, Amy andrà incontro ad una radicale trasformazione: perde vertiginosamente peso, non nasconde di avere disturbi alimentari – anoressia/bulimia – e la sua passione per alcool e fumo è nota a tutti.

Una sera, incontra Blake Fielder in un bar ed è tormentato, altalenante amore a prima vista. “Amy si innamorò di Blake il giorno in cui lo incontrò, e da quel momento in poi non si sarebbero più lasciati per nulla al mondo. Divenne il centro dell’universo di Amy, e tutto ruotava intorno a lui … Amy era assolutamente contraria alle droghe pesanti o droghe “chimiche”, come le chiamava lei, e mentre Blake faceva uso di cocaina, lei continuava a fumare erba (da qui il verso del testo di Back to Black, “you love blow and I love puff” –“tu ami tirare e io amo fumare”). E continuava a bere”. Il suo cambiamento fu subito notato dalle persone a lei vicine, non era più la stessa e, come ammesso successivamente da Blake, fu lui ad iniziarla all’uso delle droghe pesanti ma non durò molto: Blake la tradì e lei decise di lasciarlo.

Il grande consenso giunge con l’uscita del secondo album “Back to Black”, pubblicato a livello mondiale il 27 ottobre del 2006: presto i singoli “Rehab“, “Love Is a Losing Game” e l’omonima “Back to Black” divengono tormentoni che scalano velocemente le classifiche di tutto il mondo.
Rehab viene composta in sole tre ore, dopo una passeggiata insieme al produttore Mark Ronson: parte del testo salta fuori quando Amy riferisce le preoccupazioni della sua famiglia riguardo le sue dipendenze: “Sai, hanno tentato di farmi andare in un centro di disintossicazione, e io ho detto no, no, no.”Affermata solidamente in Inghilterra e con all’attivo due album di successo, il 16 gennaio 2007 si esibisce in un pub nel centro di New York. Nell’aria si respira elettricità: i capelli cotonati, i tatuaggi, in una mano il microfono, nell’altra un drink ed il pubblico americano è senza parole.

Amore e baratro
Ad aprile 2007 il “The Sun” pubblica la notizia del fidanzamento ufficiale con Blake Fielder: tornano insieme ed un mese dopo, il 18 maggio, si sposano a Miami Beach. AIla fine dell’estate, Amy va in overdose per un mix di eroina, cocaina e chetamina nel sangue e vani sono i tentativi di recupero nei centri di riabilitazione. Poco dopo, il rapporto con il marito diventa violento. A novembre, Blake viene arrestato per aggressione e condannato a 27 mesi che non sconterà tutti.

Il periodo di attività di Amy Winehouse nel mondo della musica non raggiunse nemmeno un decennio: gli ultimi anni furono segnati da depressione e lotta contro le dipendenze. È il tempo del divorzio, delle aspre critiche, dei fischi del pubblico, del suo graduale perdersi. Dietro l’apparente velo, di Amy resta l’immagine semplice di una ragazza fragile, “una ragazza dolce con una voce magica, dagli anni turbolenti dell’adolescenza alle influenze musicali che ne hanno segnato la folgorante carriera, dai sogni di successo ai giorni più difficili della lotta contro le dipendenze“, priva di autostima, chiamata a fare i conti col successo ed in grado di nascondersi dentro un’armatura provocatoria . Nessuna clinica la libererà dai suoi demoni ed il 23 luglio del 2011 il suo corpo verrà ritrovato senza vita.

27 anni, come Jimi Hendrix, Brian Jones, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain.

bibliografia

  • Mitch Winehouse, “Amy, mia figlia”, traduzione di Andrea Silvestri e Salvatore Serù, 2012 Bompiani
  • Chas Newkey-Burden, “Amy Winehouse”, traduzione di S. De Cristofaro, 2011, Fanucci Editore

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