Le altre lingue: Le aree anglofone – Neal Hall

Quinto capitolo della rubrica “Le altre lingue” dedicato alla poesia anglofona. Il poeta selezionato e tradotto da Francesca Diano è Neal Hall. Buona lettura.


Neal Hall (5)

Neal Hall è un poeta americano, chirurgo e stimato oftalmologo. Tre qualifiche completamente in armonia fra loro, perché la sua voce, che ha una potenza ipnotica, travolgente quando legge la sua poesia, è anche una voce che sonda e perfora ed estrae e rende visibile – che porta il “vedente al veduto” – il male, l’ingiustizia, i diritti calpestati, i pregiudizi, la sofferenza che l’uomo causa all’uomo. Nato a Warren, nell’Ohio, si è laureato alla Cornell University e successivamente si è specializzato ad Harvard, inoltre è stato medaglia d’oro alle Mini Olimpiadi.

Quasi del tutto sconosciuto da noi, è invece considerato a livello mondiale uno dei poeti americani più autorevoli e ha ottenuto moltissimi premi e riconoscimenti negli USA, in molti paesi africani, in Canada, in Nepal, in India, Jamaica, Indonesia e Germania e in Italia ha ricevuto nel 2016 una fellowship per un soggiorno all’American Academy di Roma. In questa occasione, su mio invito, ha tenuto incontro con gli studenti del Dipartimento di Human Rights dell’Università di Padova.

Vive negli Stati Uniti, ma ha dedicato ormai la sua vita a girare il mondo come paladino dei diritti umani. Una vocazione che è nata in lui dalla precoce constatazione che non è mai scomparsa quella che Hall definisce unspoken America, quella parte della realtà americana che viene passata sotto silenzio, che non ha affatto cancellato il razzismo, le disuguaglianze. le differenze fra cittadini di serie A e quelli di serie B.

Ma poi, questa voce che ha prestato al silenzio sui diritti calpestati dei neri, s’è estesa alla difesa dei diritti di tutti gli esseri umani che nel mondo vengono soffocati e ignorati e nei suoi incontri dichiara idee ben precise su come affrontare e risolvere, o almeno tentare di farlo, queste disuguaglianze. Prima di tutto con una presa di coscienza di se stessi e dei propri diritti e poi con il boicottaggio economico di quegli strapoteri oppressivi. Perché l’oppressione, la negazione dei diritti, hanno una sola matrice: l’avidità umana. Discriminazioni di razza, colore, religione, stato sociale ecc. sono solo coperture per la spoliazione sistematica di intere fasce sociali e popolazioni in nome di un accumulo assurdo di ricchezza in poche mani.

È autore di quattro raccolte poetiche, Nigger for Life, Winter’s A’Coming Still, Where Do I Sit e Appalling Silence, tradotto in telugu e urdu. E’ stato definito un “guerriero dello spirito” perché la sua poesia si ispira agli insegnamenti di Martin Luther King, Malcom X e a tutti quei profeti e anime illuminate che nei secoli hanno predicato l’abbattimento delle disuguaglianze, l’amore per il proprio prossimo, la compassione.  Quello che si può intendere, insomma, come “poeta civile”. Un tempo si diceva “impegnato”. Io lo definisco un grande poeta che crede nell’uomo.

Eppure in lui è assente ogni retorica, inutile orpello quando la purezza della lingua, l’armonia sottilissima  dei suoni e la forza dirompente dell’amore per l’uomo rendono ogni suo testo un grande grido rivolto all’umanità.

Fra gli altri testi qui presentati , Appalling Silence, che ho scelto di tradurre Agghiacciante silenzio, ispirata ad alcune parole famosissime di Martin Luther King, è un testo che dilania, perché dice il vero, perché così è ed è stato in ogni tempo e in ogni luogo, perché l’esperienza devastante di privare l’uomo della propria umanità o di non riconoscersela dentro o di vedersela negata e sottratta è una atroce condizione dell’uomo, ma può essere anche un’esperienza individuale di cui si portano le ferite. E ancora più forte è l’impatto di questa poesia perché la sua forma perfetta, limpidissima, parrebbe fare a pugni con l’oggetto di cui parla, e invece proprio lo scontro di quella bellezza con quell’atrocità fa sì che si intensifichino e si esaltino reciprocamente. Hall non si sofferma a sottilizzare su quali siano i mali che l’umanità è in grado di produrre quando perde la sua umanità, l’essenza, quella che vede lògos e philìa inscindibilmente uniti insieme. Quando questo avviene, il nome collettivo  “umanità”, che indica l’insieme di coloro che condividono l’essenza dell’umano, si svuota immediatamente di senso e il nome non è più la cosa. Significante e significato vedono scardinato il legame inscindibile che li unisce e la lingua stessa perde di senso. Diviene un vuoto articolare di suoni sconnessi. Dunque si torna a una fase pre-umana, subumana. E’ questo il cammino perverso a ritroso verso cui l’uomo, quando dimentica e annienta la storia stessa della nostra evoluzione spirituale, si inoltra.

Form, è anche una poesia importante, scritta di recente, una dichiarazione di poetica, in cui Hall riflette sul valore e sul senso della Forma per l’artista: non una limitazione o una costrizione, ma la via aurea verso la libertà creativa.

Francesca Diano


NEAL HALL – POESIE 
Traduzione di Francesca Diano

 

Agghiacciante silenzio

non è la notte
ma l’assenza di luce

non è l’ardore opprimente del deserto
ma la pioggia che manca di cadere

non è l’uomo che perde umanità
togliendo, negando umanità al proprio simile, ma
l’uomo che manca di trovare la propria umanità
lottando per ridare, per cedere di nuovo
l’umanità vista, presa, sottratta al proprio simile

non è il clamore stridente né le caustiche voci
dei malvagi, ma il silenzio agghiacciante
di quelli che dichiarano d’essere brava gente[1]

non è la notte,
ma l’assenza di luce
che ci tiene all’oscuro

e in quell’oscurità non dobbiamo ricordare
le parole dei nostri nemici, ma
il silenzio dei nostri amici.[2]

*

Appalling Silence

it is not the night,
but the absence of light

it’s not the sweltering fervour of the desert
but the rainfall that fails to fall

it is not humanity that loses its humanity
taking, denying humanity from its fellow man, but
humanity that fails to find its humanity
fighting back to give back to grant back
humanity seen, taken, denied its fellow man

it is not the strident clamor nor the vitriolic voices
of the bad people, but the appalling silence
of those who claim to be the good people 
[1]

it is not the night,
but the absence of light
that keeps us in the dark

and in that darkness we must remember not
the words of our enemies, but
the silence of our friends 
[2]

 

 

[1] Martin Luther King

[2] ibid


Il peso del “soltanto un nero”

Non è il peso del nero
ma l’immensità dell’esser reso
tale… soltanto un nero ogni volta
che un bianco mi ha di fronte.

È il peso della derivazione bianca del nero;
definizione derivativa del “soltanto un nero” in parte
———————————————————————————————–[derivata
dalla condizione sociale creata in buona parte dai bianchi

il logorio continuo di un’immagine errata, inaccurata
che favorisce una descrizione distorta, preconcetta di
una distinzione malevola della natura nera,
dell’immagine nera, del suono nero, la portata di derivati
neri del nero derivato che mi ricostituiscono
grazie alla società dei bianchi come “soltanto un nero”

è l’immensità del sospetto immediato solo al vedermi
attraverso i mari azzurrini di pupille ristrette
che stringono i loro timori circolari come una
corda d’impiccato attorno al mio collo nero;

è il peso del torcersi e tendersi dei muscoli e dei tendini
bianchi voli sospesi di paura, pronti a chiamare la polizia
militarizzata che serve e protegge i bianchi nelle zone
——————————————————————–[protette e senza neri

è la densità appesantita dal tono bianco
quando parlando a un bianco poi ti rivolgi… soltanto a un
—————————————————————————————————-[nero;
è lo storcere un naso autorizzato, narici dilatate,
lo sguardo torvo di una visione limitata
attraverso palpebre diffidenti strette a fessura

è il peso smisurato dell’odio
quando afferravano le loro borse Gucci
solo al vedermi
o bloccavano le portiere dell’auto,
solo al vedermi
o richiamavano i figli che giocavano nelle corsie dei
—————————————————————————–[grandi magazzini,
solo al vedermi
la gravità del tono familiare nel riferirsi a me, nel darmi un
—————————————————————————————–[altro nome,
tu che vuoi, solo al posarmi gli occhi addosso

è la demenza della ‘N’ nel nero di negro
nero subumano, il semaforo verde al nero
di sparare alle spalle ai neri, celandolo, recintando
le vittime del nero sulla scena del crimine
con alibi plausibili e negabilità;
nascondendo ombre di nero discese fra linee che
————————————————————————[dividono, separano
la società bianca dal soltanto un nero, soppesato soltanto
———————————————————————[per il suo essere nero;
un derivato di me che deriva dal ricostituirmi
come “soltanto un nero”.

*

Weight of Just Black

it’s not the weight of black
but the immensity of being made
to be… just black every time
white confronts me.

It’s the weight of white’s derivation of black;
a derivative definition of ‘just black’ derived in part
by the social conditions created in large part by whites

it’s the stress and strain of an inexact, inaccurate depictions
to foster an ill-­conceived, preconceived description of
an ill-­meaning distinction of black nature,
black imagery, black sound, the scope of black –
derivatives of black derived reconstituting me
by white society to be ‘just black’

it is the immensity of immediate suspicion the first sight of me
through aqua blue seas of constricting pupils
narrowing their circular misgivings like a
hang man’s rope hung about my black neck;

it’s the weight of torque and tension in muscles and tendons
poised white flight or fright, postured to telephone militarized
police who serve and protect white in red lined, black free zones

it is the weighted density in white tone
when switching from speaking to a white to… just a black;
it’s the lift of an entitled nose, flaring of nostrils,
a glaring view through a narrowed view
through slits in mistrusting eyelids

it’s the enormous weight of hate
when they clutched their Gucci hand bags
the first sight of me
the locking of the car doors,
the first sight of me
the collecting of the brood frolicking in aisles of department stores,
the first sight of me
the gravity of familiarity referring to me, renaming me
what’s up, my man the first they lay eyes on me

it is the insanity of  ‘N’ in nigger black
sub-­human black, green light black to
shoot blacks in the back, concealing it, tracing
the slain outlines of black in crime scene tape of

plausible alibis and deniability;
concealing fallen shadows of black in lines that divide, sever
white society from just black, weighted to be just black;
a derivative of me derived reconstituting me
to be ‘just black’.


Il mio nome

Ho giurato fedeltà a una bandiera issata
semiafflosciata e alla Repubblica che non rappresenta
una nazione… indivisibile… con libertà e giustizia per
—————————————————————————————–[tutti.[3]

Ho recitato la preghiera del tuo signore, al tuo dio,
fatto a tua immagine… perché mi liberi dai tuoi mali,
ma sia benedetto il suo nome, nessuna volontà sia fatta
————————————————————-[per le preghiere nere[4]
sulla sua terra né così nel suo cielo munito di porte.

Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.[5]

Dopo tutte le tribolazioni, le angosce, le paure
sofferte per otto lustri e diciassette anni;[6]
il mio sangue, le lacrime, il sudore versati
in ogni valle in cui mi hai abbandonato,
ho cantato … My country tis of thee[7]
quando mi hai detto di cantare

ho salutato, all’ultimo raggio del crepuscolo,
le tue larghe strisce e stelle brillanti
che sventolavano sulla terra che hai dichiarato libera e
patria dei prodi ma non prodi a tal punto
da lasciare che ogni uomo fosse libero.[8]

Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

Ti ho creduto quando affermavi che Colombo,
con la certa perizia di gran navigatore
salpò verso ovest per trovare l’India che sta a est e
scoprì un continente che non s’era perso né teneva ad
————————————————————————–[essere scoperto;
abitato da uomini che non s’erano persi né tenevano ad
—————————————————————————–[essere scoperti
e diede loro un nuovo nome, diverso dal loro nome.

Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

Perché se la libertà viene a chiamare e non ho un nome
da poter chiamare, come potrò essere liberato. Lasciami il
——————————————————————————————[mio nome.

Ti ho creduto quando hai dichiarato
che Jefferson affermava con tenerezza amorevole
d’averla stuprata[9] – stupro di schiave, stupro di
—————————————————————————-[piantagioni,
stupro socioeconomico – lei consenziente.

Ho creduto alla tua bugia che Washington mai disse una
————————————————————————————————-[bugia;
che si trattasse d’una guerra civile combattuta da uomini
—————————————————————————————————[civili
per liberare schiavi incivili che Lincoln, senza tensioni,
—————————————————————————————-[presiedeva
in modo “che questa nazione possa affermare ancora una
————————————————————[seconda nascita di libertà;
un secondo nuovo diritto di essere una nazione concepita
———————————————————————————[nella Libertà, e
votata al principio che tutti gli uomini sono creati
————————————————————————————-[uguali.”[10]

Per questo proposito e per queste parole rimasti ancora
————————————————————-[incompiuti e abbandonati
ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

Perché quando la libertà verrà a chiamare e io non ho un nome
da poter chiamare, come potrò essere liberato.
Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

*

My Name

I have pledged allegiance to a fully masted,
half flaccid flag and to the Republic which stands not,
one nation…indivisible…with liberty and justice for all.

I have prayed your lord’s prayer, to your god,
made in your image… to deliver me from your evils,
but hollow be his name, no will for black prayers to be done
on his earth nor as it is in his gated heaven.

I have given you my soul, leave me my name.

After all my toils, frets and fears suffered
two scores and seventeen years;
(all) my blood, sweat and tears poured
Into every valley you’ve forsaken me in,
I’ve sung… My country tis of thee…
when you said sing

I have, at your twilight’s last gleaming,
hailed your broad stripes and bright stars
waving over land you’ve proclaimed to be free and
home of the brave not yet brave enough
to let all men be free.

I have given you my soul, leave me my name.

I believed your claim that Columbus,
with certain navigational precision
sailed west to find India sitting in the east and
discovered a continent not lost not looking to be found;
inhabited by men not lost not looking to be found and
he renamed them a new name, other than their own name.

I have given you my soul, leave me my name.

Cause if freedom come a calling and I have no name
To be called, how will I be freed. Leave me my name.

I believed you when you proclaimed,
Jefferson professed with loving tenderness
that ‘her’ rape – slave rape, plantation rape,
socioeconomic rape – was consensual.

I have believed your lie that Washington never told a lie:
that it was a civil war fought by civil men
to free uncivilized slaves that Lincoln, without fraught,
———————————————————————————[presided over

so “that this nation, could claim yet a second new birth of
——————————————————————————————[freedom:

a second new claim to be a new nation, conceived in
———————————————————————————-[Liberty, and

dedicated to the proposition that all men are created equal.”

To these yet unfinished and abandoned words and work,
I have given you my soul, leave me my name.

Cause when freedom comes a calling and I have no name
to be called, how will I be freed.
I have given you my soul, leave me my name.


Forma

è questa crisalide –
questo crogiuolo che mette
ali alle farfalle per volare

questa cisterna di fiumi
che schiude mari

la pula da cui le granaglie
macinate vengono liberate

questa cista da cui l’eternità si solleva

la forma è disciplina,
il crogiuolo attraverso cui
perdiamo la costrizione della forma

la forma è la via che apre i mari
la via d’uscita dalla crisalide

è la disciplina della forma
quella foggia di bocca
che libera le labbra per baciare
oltre la foggia di labbra e bocca

è il latte del seno
non il seno materno
che ci nutre, ci forma, ci rende liberi
dal seno materno

la forma è la via d’uscita dalla forma,
la ferrovia sotterranea
non la destinazione che libera
l’artista dai binari della via

forma è percorso verso il non formato,
l’essenza dell’essere; il crogiuolo che mette
ali alle farfalle per volare
in mare aperto

*

Form

it is this chrysalis –
this crucible that sets
wings to butterflies to fly

this cistern of rivers
that opens seas

the chaff from which ground
grist of grain are freed

this cist, eternity lifts itself out of

form is the discipline,
the crucible through which
we lose the constraints of form

form is the way to open seas,
the way out the chrysalis

it is the discipline of form,
that shape of mouth
that frees the lips to kiss
beyond the shape of lips and mouth

it is the breast milk
not the mother’s breast
that feeds us, forms us, frees us from
the mother’s breast

form is the way out of form,
it is the underground railroad
not the destination freeing the
artist from the rails of the road

form is the path to formlessness,
the gist of being; the crucible that sets
wings to butterflies to fly
through opens seas. 


 

 NOTE

[1] Martin Luther King. “Potrà succedere che noi di questa generazione dovremo pentirci. Non solo per le parole caustiche e le azioni violente dei malvagi, ma per il silenzio agghiacciante e l’indifferenza delle brave persone che se ne stanno sedute e dicono: aspetta il momento giusto”. Martin Luther King Jr.A Testament of Hope: The Essential Writings and Speeches

[2] Ibidem

[3] Adattamento del Giuramento di Fedeltà (Pledge of Allegiance) di Francis Bellamy (1855 – 1931) redatto nell’agosto del 1892. « Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America, e alla Repubblica che essa rappresenta: una Nazione al cospetto di Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti.»

[4] Adattamento dal Padre Nostro (Matteo 6: 9-13)

[5] Frase pronunciata da John Proctor, interpretato da Daniel Day Louis nel film Il crogiuolo, del 1996, tratto dal testo teatrale di Arthur Miller (N.d.T.)

[6] Adattamento del testo del Gettysburg Address, Il Discorso di Gettysburg, pronunciato da Abraham Lincoln nel 1863. Lincoln dice: “sedici lustri e sette anni orsono”, riferendosi alla Rivoluzione americana del 1776. (N.d.T)

[7] Inno patriottico scritto nel 1831 da Samuel Francis Smith sulle note dell’inno nazionale britannico

[8] Adattamento dell’inno nazionale americano

[9] Hall si riferisce al rapporto di Jefferson con la sua schiava Sally Hemings, da cui ebbe sei figli e cui non diede comunque mai la libertà. Oggi negli USA si tende a vedere quel rapporto come una forma di stupro legalizzato. (N.d.T.)

[10] Ancora un adattamento del Discorso di Gettysburg. (N.d.T.)


In copertina: Neal Hall.

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