“La precisione dell’indifferenza” (Carteggi Letterari, 2016). Una nota sulla poetica di Pablo López-Carballo

Fresco di stampa, La precisione dell’indifferenza di Pablo López-Carballo (traduzione di Lorenzo Mari, illustrazioni di Francesco Balsamo, nota al testo di Sergio Rotino) è il primo “Quaderno di traduzioni” pubblicato dalle Edizioni Carteggi Letterari. Festeggiamo l’uscita con un’eccellente nota introduttiva alla poetica dell’autore spagnolo firmata dal compianto ispanista Gaetano Chiappini (1936-2014). Ordinario di Letteratura Spagnola presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, ha studiato il manierismo andaluso del Siglo de Oro, la tradizione mistica spagnola, il teatro calderoniano, l’opera di Francisco de Quevedo, le interpretazioni dell’opera di Cervantes e alcune voci emblematiche della letteratura spagnola, ispanoamericana e italiana del Novecento e della contemporaneità, tra le quali, appunto, l’opera di Pablo López-Carballo.
In chiusura, una poesia tratta dal libro.

La febbre gelata delle rovine di Pablo López-Carballo

di Gaetano Chiappini

Il percorso del poeta è spettrale, gelido e senza strade, e si dirama per simboli e rovine, appunto, di pietra e ghiaccio, consumato nella tentata ricerca della verità e della vita. Che non sanno né possono incontrarsi. Nemmeno gli specchi rassicurano, dànno solo immagini controverse e incomplete. Il poeta è anch’esso mineralizzato e prova tutti gli accessi agli spazi collocati tra monti e deserto, indotto solo dalla possibile guida di uccelli-poemi azzurri, che unici hanno la leggerezza del volo molteplice delle parole e dei versi. Ma il cammino avviene senza mai trovare la conferma per il ricercatore di riuscire a coagulare l’incontro impossibile tra gli occhi e le forme. Il mondo è cosí un volo spento, privo di bussola e di coordinate. Ma è crisi del poeta-pilota, piú che della poesia, che finisce per isolare solo suoni, rumori, che sono effusi nel vuoto tra crepacci e fossati, inaccessibili gli approdi e le corrispondenze, alla ricerca di echi della scomparsa foresta simbolica baudelairiana: né il nuovo né l’ignoto affiorano all’orizzonte; e solo la casa resta aperta per intransitabili ritorni. E il rientro dal cosmo innevato e congelato non è poi un vero ritorno, semmai, un conato che provi a far fuggire la paura, dove solo il corvo di Noè, non la trepida colomba, potrebbe cercare di resistere, con il soccorso dei cibi che saturano i supermercati e stremano i frigoriferi. Perché anche questi non garantiscono che ci siano vere sostanze mangiabili ma solo miraggi conservati in offerta speciale (prendi uno paghi due). Respinti da arcane disappetenze, i tentativi del poeta vagano e si sperdono nell’attesa vana di trovare un timido e dilazionato ricupero degli slanci vitali. Mentre il diluvio sembra essere piuttosto una vera glaciazione, che ottunde le energie e impedisce gli approdi per quanto riguarda gli occhi, che cosí solo si dilatano nel caos che raffrena il minimo esplorare delle parole. Ed esse stesse sembrano non potersi o sapersi fermare sui fogli azzurri dell’attesa. Anch’esse in perpetuo volo. E non rassicurano delle contingenze del tempo e degli spazi, sempre piú estesi e franati di inutili o vane speranze tra venti inesorabili e alberi senza rami ove appoggiarsi un poco. Per la colomba, crediamo, ma nemmeno per il corvo. Né è possibile la fuga, perché la parola esige fermezza di gesti che non sembrano avere effetto. Né l’allegria lascia intravvedere spiragli se non su qualche minimo fuoco di vita, in un paesaggio di ridotta visibilità e vivibilità: gli esigui licheni ben poco possono a liberare la vita e a consolidare una rima, un accordo purchessia. Ogni fuoco spegne la tormenta sul pack delle rovine. È il ghiaccio il piú vitale dei sospiri fino al silenzio muto che accelera la febbre dell’anima sospesa, ma che non la trasforma in barlume di fuoco. Che ci possa essere vita, si spera, infine, in qualche modo, anche se turbata e perplessa. Nel deserto raggelato si percepiscono esili scorrimenti di lontani fiumi di sottosuolo, ma anch’essi scivolano nel dentro, sotterranei, al limite fra le lenzuola domestiche, dietro i vetri delle finestre del privato, dove comunque quella febbre ansiosa di ricerca è traccia ancora accesa del flusso (riflusso?) sanguigno, pronto sempre a riavviare il motore inespresso della vitalità, che aspetta i paracadute della speranza. Si coglie anzi una vera e propria corrente anche se fluisce solo nel profondo. E questa vorrebbe il suo lecito ricominciare un mondo che si auspicherebbe nuovo. Bisognerebbe, però, abbattere o collocare altrove le statue degli antichi eroi, dei padri, se la memoria soccorresse pur proponendo un radicale cambio di prospettiva, magari anche solo ritrovare i corpi di quei semidei scomparsi, poi appellarsi alle foto di un tempo – per dare volti e sostanza a quelle povere statue frantumate, sommerse nelle rovine –. E gli occhi aiuterebbero persino quelle ansie della ricerca, o basterebbe ritrovare per esempio i batteri della vita e il seme rimasto vivo e fertile sotto il ghiaccio dei frigoriferi. Forse è ancora poco, ma potrebbe non essere inutile proseguire l’incerto cammino, trasformare le pietre e le rovine e riscaldare col pur esile fiato il  volo della colomba, affinché essa lasci l’arca rassicurante per affacciarsi di nuovo tra gli ulivi. Questo non dice (e non sa?) il poeta, ma il lettore resta in attesa.

 

*

Vemos las tormentas a través
de la ciudad. La arquitectura
vislumbra el control, permeable
sostiene las desiguales      
iluminaciones
entre una multitud sólida
en apariencia. Asombra
la fluidez humana
al agua en su camino
al subsuelo.

*

Vediamo le bufere attraverso
la città. L’architettura
intuisce il controllo, permeabile
sostiene le diseguali
illuminazioni
entro una moltitudine solida
in apparenza. Si stupisce
della fluidità umana
l’acqua nel suo cammino
verso il sottosuolo.

 

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