Atto Unico: cast superlativo e fatali risate per “Camposanto Mon Amour” di Paride Acacia

di Marta Cutugno

Quando si dice: ‘crepare dal ridere’. Può il teatro disquisire seriamente di vivi e di morti con inaudita, comica leggerezza? Non soltanto è possibile ma può trovare espressione in una densa e divertente pièce dalle parole, dai suoni e le azioni mai fuori posto. Metti che quattro becchine con torcia da minatore in testa vaghino nel buio di un cimitero comunale nella notte tra l’1 ed il 2 novembre e che la dirompente, disarmante alba incontri coi suoi raggi il giorno della commemorazione dei defunti, per molti unica sporadica ed annuale occasione di memoria in favore di chi non è più tra noi. È arcaica l’antitesi tra notturna oscurità e luce del nuovo mattino che dà il la alla commedia musicale “Camposanto Mon Amour”, prodotta dalla compagnia Efrem Rock e andata in scena, in prima nazionale, domenica 20 marzo al Teatro Savio per la rassegna “Atto Unico, Scene di Vita, Vite di Scena”, direttore artistico Auretta Sterrantino. Lo spettacolo, scritto e diretto da Paride Acacia, può vantare altissima qualità sotto ogni aspetto a partire proprio dal testo che non trae ispirazione da alcuna fonte letteraria e che analizza, con esplosiva ironia ed argute riflessioni, le fragilità, le considerazioni ed i timori dell’essere umano rispetto al trapasso. Gabriella Cacia, Elvira Ghirlanda, Milena Bartolone e Francesca Gambino, prestano voce e corpo a quattro toste becchine, insieme a Laura Giannone, un fantasma in monopattino e sottoveste bianca, virtuale incarnazione di generale coscienza ed irrisolta attesa: cinque attrici eccellenti in squisita, reciproca complicità e generosa presenza scenica.

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Protagoniste di comiche ed acerbe discussioni, le interpreti ricordano Giacomino Salenitro, uomo di cuore e lacrime a comando, esperto per mestiere del pianto democratico, indifferentemente indirizzato a senatori, meretrici, casalinghe, preti, impiegati o ladri. Per amor di giustizia, le cassamortare tentano di convincere gli amministratori comunali – gente da obitorio che stanzia in via Mangiapane a tradimento – ad onorare, come avevano promesso, Martino Zolfo, noto attore deceduto e dimenticato da tutti ancora in attesa di degna sepoltura; osservano e studiano come i vivi non siano più in grado di piangere ed in che modo affrontino dolori imbalsamati in versione light, tracciando l’identikit dell’uomo immortale: calmo, deciso, puro e che non sia mancino, che si conquisti la vita eterna con impegno, da eroe. Superstizione e magia si realizzano in Arsenica e nelle sue personali teorie sulla “malanova” che, se meritata, arriva sempre. Saturnia, la strepitosa, vulcanica Milena Bartolone, è bersaglio prediletto dello sbraitante vociare delle colleghe. Lei è l’ex Baby Jane, ex attrice, ex cantante col trauma da stecca clamorosa, becchina più becchina di tutte, figlia, nipote, sorella di becchino, da dodici anni rinchiusa dentro il Camposanto, ormai la sua casa da dove non si allontana mai e spia con amore Mercurio, il fioraio di Giampilieri. Quando il funesto presagio del fantasma – “tra poco staremo più stretti” – assume contorni reali, una fortissima pioggia piomba violenta sulle montagne, su Giampilieri. L’acqua purificatrice, per disastrosa catarsi di vivi, morti e dispersi, muoverà rinnovamento, iniziazione, apertura, ritorno alla vita soprattutto in Saturnia, pronta ad accorrere in soccorso dell’amato fioraio Mercurio e della popolazione colpita dall’alluvione.

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La scenografia, curata da Francesca Gambino, prevede a sinistra una cassa da morto formato camerino da artista, rifugio di Saturnia; a destra una scala con torcia appesa e sul fondo, in posizione centrale, un doppio pannello di ampio spessore che se da un lato rappresenta l’ingresso al cimitero con cancello in ferro e tanti loculi laterali sistemati in schiera, sul retro (i pannelli verrano ruotati sul finale) propone immagini dipinte che descrivono il disastro dell’alluvione del 2009 a Giampilieri. Il dialogo, spedito ed irriverente , incrocia parole, musiche e canzoni inedite composte a quattro mani da Massimo Pino e Paride Acacia. Risultato, una colonna sonora – eseguita dal vivo dalla band sul palco, con Massimo Pino alle chitarre, Peppe Pullia alla batteria e percussioni e Simona Vita al Piano e tastiere – che è corpo unico, solidamente integrato al testo e sorregge, in continuità, il filo narrativo. Parole e musiche brillano in originalità, un piacevole affondo in un pop-rock popolare che senza mai cadere nel banale, amplifica i significati e riscopre vivacità sorretto dalle gradevoli coreografie di Sarah Lanza. Smisurata e coinvolgente naturalezza per le interpreti tutte, seguite e perfezionate nell’arte del canto dall’insegnante Enza Fiumanò.
Caloroso e numeroso il pubblico che ha preso parte alle due recite senza trattenere rumorose risate e applausi a scena aperta.

Prossimo appuntamento per Atto Unico, domenica 3 Aprile con “Bloom’s day” da “Ulisse” di Joyce, diretto da Claudio Collovà, interpretato da Sergio Basile e prodotto dal Teatro Argot di Roma. Teatro Savio, doppio spettacolo, ore 18 ed ore 21.

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