Il caso Spotlight

Spotlight

Vincitore dell’Oscar come miglior film e migliore sceneggiatura originale, “Il caso Spotlight” rievoca i fasti del giornalismo d’inchiesta. In primo piano l’informazione della carta stampata stile “Tutti gli uomini del presidente”, in un contesto radicalmente differente, dove il male è più subdolo e nascosto.

Il film è ambientato nel 2001 e 2002, prima della consacrazione definitiva di Internet come veicolo di notizie. A essere raccontata è l’inchiesta della squadra giornalistica “Spotlight” sull’insabbiamento, da parte della Diocesi di Boston, dei casi di quasi novanta sacerdoti pedofili. Un’inchiesta da Premio Pulitzer che in via definitiva ha fatto conoscere il numero sproporzionato di abusi nell’ambito della Chiesa cattolica, partendo dalla realtà della città statunitense, e inducendo alle dimissioni l’arcivescovo Bernard Francis Law. Una storia vera, dunque, che il regista e sceneggiatore Thomas Joseph McCarthy (“L’ospite inatteso”) e lo sceneggiatore Josh Singer (impegnato nella serie televisiva “West Wing – Tutti gli uomini del Presidente”) hanno descritto con attenzione ai meccanismi giornalistici tra misteri, tentativi, debolezze umane e spinta a raccontare da parte di cronisti di razza.

“Il caso Spotlight” affronta, tra le pieghe, numerosi temi: il rapporto tra una istituzione come la Chiesa, la verità e la manipolazione; la constatazione che non sempre si è dotati di occhi disponibili a vedere, come avvenne allo stesso giornalista del “Thew Boston Globe” Walter Robinson; la necessità di un “alieno”, in questo caso il direttore ebreo ed estraneo alla città Marty Baron, per andare oltre complicità e assuefazioni al contesto, in un ambiente sensibile al potere; le ferite dell’infanzia e quelle di un privato sconvolto da ciò che si scopre, in un difficile equilibrio tra professione e vita affettiva.

Nel complesso un buon film, che però presenta il limite di una forma narrativa convenzionale. Non si sviluppano alcuni spunti e non si inquieta fino in fondo lo spettatore, non spinto a interrogarsi in profondità. Tuttavia, sceneggiatura e regia risultano efficaci, in funzione di un valido cast: da Michael Keaton e Mark Ruffalo a Rachel McAdams, Liev Schreiber e Stanley Tucci. Manca il lampo del genio ma la struttura ha la solidità di certi titoli anni Settanta e coinvolge con intelligenza.

 

Marco Olivieri

 

Una parte della recensione è uscita su Centonove Press, rubrica Visioni, 10 marzo 2016.

Immagini tratte dalla pagina Facebook del film.

 

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