InVersi Fotografici VIII – Le parole sono importanti, Philippe Jaccottet Vs Giorgio Lotti

L’inVerso fotografico di oggi si interroga sulla parola come mezzo di comunicazione tra gli esseri umani. Le persone si parlano di continuo e ciò nonostante continuano a non incontrarsi, a non capirsi. Ci si ingarbuglia nelle parole, elette a baluardo di opinioni che ci bloccano in posizioni rigide. Anziché favorire la comprensione reciproca spesso le parole ci incastrano in quegli stessi schemi che abbiamo costruito proprio con le parole, ognuno costruisce la propria gabbia.

«Come il fuoco, l’amore splende solo
sulla mancanza, e sopra la beltà dei boschi in cenere…»

 

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Allora scrivere, cioè “parlare”, fissa sulla carta il dolore della fine, l’incomprensione della perdita. Fotografa il momento congelandolo nella fissità del segno grafico. Il poeta racconta lo smarrimento e la nuova energia che scaturisce dalla mancanza.

Le immagini di Giorgio Lotti raccontano fatti ed emozioni nella serie dei ritratti e nelle recenti sperimentazioni sul colore astratto; è come se il fotografo avesse svolto un percorso di progressiva astrazione di senso, privando l’immagine del suo contenuto iconografico per renderla puro segno, materia, luce e colore.

Un percorso similare quello dei due artisti che dalla pretesa di spiegare/spiegarsi abdicano in favore dell’emozione incontaminata. L’immediatezza del colore cosi come la parola spogliata di aspettativa si fanno preghiere, suono, artefatti primordiali.

 

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Parlare

da Chants d’en bas (Payot, 1974; traduzione italiana: P. Jaccottet,Alla luce d’inverno. Pensieri sotto le nuvole, a c. di Fabio Pusterla, Marcos y Marcos, 1997)

 

Parlare è facile, e tracciare parole sulla pagina
vuol dire, per lo più, rischiare poca cosa:
lavoro da merlettaia, ovattato,
tranquillo (perfino alla candela si potrebbe
domandare una luce più dolce, più ingannevole),
le parole sono tutte scritte con lo stesso inchiostro,
«fetore» e «fiore» per esempio sono quasi uguali,
e quando avrò ricoperto di «sangue» l’intera pagina,
lei non ne sarà macchiata,
o io ferito.

Capita dunque di provare orrore per questo gioco,
di non capire più cosa si voleva fare
giocandoci, invece di arrischiarsi fuori,
e di fare un uso migliore delle proprie mani.

Questo
è quando non ci si può più sottrarre al dolore,
quando il dolore somiglia a qualcuno che viene,
strappando il velo di fumo in cui ci si avvolge,
abbattendo uno per uno gli ostacoli, colmando
la distanza sempre più lieve – d’improvviso così vicino
che non si vede più che il suo muso più largo
del cielo.

Parlare allora sembra menzogna, o peggio: vigliacco
insulto al dolore, e inutile spreco
del poco di tempo e forze che ci resta.

*

Collezione italiana - Giorgio Lotti
Collezione italiana – Giorgio Lotti

Ninfa

da « L’Effraie et autres poésies, 1946-1950 » (Il Barbagianni e altre poesie, 1946-1950),

Traduzione dal francese in italiano di Leone D’Ambrosio

 

In questo giardino la voce delle acque non inaridisce,

sarà quella di una lavandaia o di quelle ninfe laggiù,

la mia voce non riesce a mescolarsi a quelle

che mi sfiorano, mi fuggono e passano infedeli,

non mi rimane che queste rose colte

nell’erba ove ogni voce tace con il tempo.

____ Le ninfe, i ruscelli, immagini di cui

compiacersi!

Ma chi cerca altra cosa qui d’una voce chiara,

una fanciulla nascosta? Non mi sono inventato nulla:

ecco il cane che dorme, gli uccelli raccolti,

gli operai curvi davanti ai salici fragili,

ardenti come fuochi; la serva li chiama

a fine giornata… La loro e la mia giovinezza

si consumano come una canna, con la stessa celerità,

per tutti noi marzo s’avvicina…

E non sognavo

quando ho sentito, dopo tanto tempo, questa voce

ritornarmi dal fondo di questo giardino, l’unica,

la più dolce in questo concerto…

“____ O Domenica!

Mai avrei creduto di ritrovarti qui,

tra queste persone… ____ Taci. Non sono più colui

che fui…”

L’ho vista  salutare con grazia

i nostri ospiti, poi andarsene via come l’acque svanendo,

lasciando il parco, mentre il sole si perde,

e sono già quasi le cinque, in inverno

*

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*

L’ignorante

da L’Ignorant (Gallimard, 1958; traduzione italiana: Philippe P.Jaccottet, Il Barbagianni. L’Ignorante, con un saggio di Jean Starobinski, a c. di Fabio Pusterla, Einaudi, 1992)

 

Più invecchio e più io cresco in ignoranza,
meno possiedo e regno più ho vissuto.
Quello che ho è uno spazio volta a volta
innevato o lucente, mai abitato. E il donatore
dov’è, la guida od il guardiano? Io rimango
nella mia stanza, e taccio (entra il silenzio
come un servo che venga a riordinare),
e attendo che a una a una le menzogne
scompaiano : cosa resta? Cosa rimane a questo moribondo
che gli impedisce ancora di morire? Quale forza
lo fa ancora parlare tra i suoi muri?
Potrei saperlo, io, l’ignaro e l’inquieto? Ma la sento
parlare veramente, e ciò che dice
penetra con il giorno, anche se è vago:
«Come il fuoco, l’amore splende solo
sulla mancanza, e sopra la beltà dei boschi in cenere…»

 

Luce mare -luci colori emozioni
Luce mare -luci colori emozioni

 


Philippe Jaccottet

(Moudon, Svizzera, 1925) poeta e prosatore svizzero. Dal 1953 vive in Francia. Ha tradotto Hölderlin, Musil, Rilke (cui ha dedicato una monografia critica) e poeti italiani, tra cui Ungaretti, Montale, Bertolucci, Sereni. Nel 1953 ha pubblicato Il barbagianni e altre poesie (L’effraie et autres poésies), cui sono seguite Poesie (Poésie 1946-1967, 1971), con prefazione di J. Starobinski, Alla luce d’inverno (A la lumière d’hiver, 1994), E tuttavia (Et, néanmoins, 2001). Secondo J. «tutta l’attività poetica è votata a conciliare, o anche solo accostare, il limite e l’illimitato, il chiaro e l’oscuro, il soffio e la forma»; ne consegue, nei suoi versi, semplicità, dolcezza di lessico e sintassi obbedienti a una forte esigenza di verità. La sua attività di prosatore e saggista trova l’espressione più alta nei taccuini di Appunti per una semina (La semaison. Carnets 1954-1979, 1984), seguiti da La seconda semina (La seconde semaison. Carnets 1980-1994, 1996, nt) e dal saggio La parola Russia (A partir du mot Russie, 2002).

Giorgio Lotti nasce a Milano nel 1937.

Inizia a lavorare nel 1957, collaborando come free-lance per alcuni quotidiani e settimanali quali “Milano Sera”, “La Notte”, “Il Mondo”, “Settimo giorno”, “Paris Match”.
Nel 1964 entra nello staff di Epoca sotto la direzione di Nando Sampietro dove rimane fino al 1997, anno di chiusura del giornale. Ha lavorato fino al 2002 a Panorama. Nel 1973, per un reportage fatto in Cina viene insignito, dalla University of Photojournalism, Columbia, del premio “The World Understanding Award”. Ha partecipato inoltre a numerose edizioni del Sicof a cura di Lanfranco Colombo.
Nel 1995, nel corso del 16° Sicof viene premiato con l”Horus Sicof 1995” per il ruolo svolto nel
campo della fotografia italiana. E’ stato premiato dalla città di Venezia per i suoi reportages sulla Serenissima. Nel 1994, a Modena, riceve il prestigioso premio letterario “Città di Modena”. Alcune immagini sono conservate nei musei americani, di Tokio, Pechino, al Royal Vìctoria Albert
Museum di Londra, al Cabinet des Estampes di Parigi, al Centro Studi dell’università di Parma, alla
Galleria Civica di Modena. Negli ultimi dieci anni si è dedicato alla ricerca fotografica nel campo del colore e dell’ arte.

 

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