REMEMBER: Il Cinema del venerdì – di Francesco Torre

REMEMBER

Regia di Atom Egoyan. Con Christopher Plummer (Zev Guttman), Martin Landau (Max Zucker), Bruno Ganz (Rudy Kurlander #1).
Canada/Germania 2015, 95’.
Distribuzione: Bim.


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Se devi trovare un uomo su una lista di quattro nomi, l’uomo che cerchi sarà senz’altro l’ultimo dell’elenco. Legge di Murphy? No, la trama di “Remember”.
L’ultranovantenne Zev Guttman, da poco vedovo, evade da una casa di riposo di New York seguendo precise istruzioni dategli dall’amico Max, anch’esso rinchiuso nell’ospizio ma bloccato su una sedia a rotelle. «Sono state trovate prove», sostiene quest’ultimo (ma da chi?), che il funzionario delle SS responsabile dello sterminio delle loro famiglie ad Auschwitz viva da qualche parte in America sotto lo pseudonimo di Rudy Kurlander, e Zev dovrà andare a stanarlo ed ucciderlo. Quattro uomini con nome ed età appropriata sono stati identificati da Max in Canada, Ohio, Idaho e California: con treni, pullman e taxi Zev condurrà il piano di vendetta, bussando ad una porta dopo l’altra fino ad incontrare il destino.

Trasformare l’Olocausto in materia narrativa plasmabile a proprio piacimento, giocando a nascondere fondamentali elementi della fabula solo per il gusto di generare facili reazioni emotive nel pubblico, è scelta di per sé discutibile, e forse addirittura abietta. Ancor peggio, però, se tale macchinoso disegno drammaturgico, giustificato esclusivamente dalla demenza senile del protagonista (stratagemma utilizzato con la stessa valenza funzionale della perdita della memoria a breve termine in “Memento”), non è sostenuto da un disegno complessivo plausibile che renda le motivazioni e le scelte dei personaggi verosimili.

Il puzzle messo in scena da Atom Egoyan su sceneggiatura di Benjamin August avanza così con grande compostezza e rigore formale, sostenuto da un andamento da road movie che, almeno per i temi trattati, potrebbe anche trovare delle assonanze con il lontanissimo (per sensibilità e poetica) Sorrentino di “This must be the place”. L’esplorazione della provincia americana, l’osservazione di un mondo in cui la più spietata aggressività armata può indossare la maschera di una calda accoglienza con la stessa ambiguità con cui nell’animo di un nazista possono convivere istinti omicidi e tensione verso la bellezza assoluta, sono intuizioni registiche felici e coerenti, in cui ritroviamo una progressione nell’indagine dell’inconscio dell’Occidente da parte dell’autore de “Il dolce domani” e “Il viaggio di Felicia”.

Nonostante la notevole dignità con cui Plummer introduce non tanto l’angoscia della Storia, ma lo sgretolamento del senso di sé dell’ultima età della vita, l’assurda manipolazione narrativa che conduce al finale ribaltamento di ruoli soffoca però ogni buona intenzione autoriale trasformando personaggi e situazioni di grande potenzialità espressiva in semplici pedine funzionali esclusivamente ad un narcisistico schema demiurgico, peraltro fallace, e gettando nello stesso calderone, come non ci fossero distinguo, responsabili e sopravvissuti dell’Olocausto.

Francesco Torre

UNA PARTE DI QUESTO ARTICOLO E’ STATA PUBBLICATA SUL “QUOTIDIANO DI SICILIA” DELL’11 FEBBRAIO 2016.

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