Hidden Gems (a cura di Alessandro Calzavara) – 10) Calogero Incandela

Calogero Incandela

calogero incandela

Recensire l’esordio sulla lunga durata di Calogero Incandela (o In Candela, a seconda di come gira a Salvo) risolve finalmente un fastidioso problema che mi assilla da quando ho inaugurato questo balzano contributo musicale a un rivista di tutto rispetto come “Carteggi Letterari”. Viene un momento in cui s’inizia a desiderare di incidere sulla realtà, e di volere che gli effetti del proprio contributo divengano visibili. Così ora scrivo qualcosa di un disco del 2014 (che esiste solo in forma gratuita, financo) che adoro incondizionatamente, opera tra l’altro di un carissimo amico personale.
Ma come, Humpty Dumpty, scrivi le recensioni in favore di un tuo amico? Certo! Soprattutto d’un amico che ho conosciuto a causa della sua musica. Erano i tempi di myspace e bastò imbattermi per una pura distrazione della provvidenza nella pagina di Salvo Mineo/Calogero Incandela per desiderare di scrivere al suo autore un semplice “sei un grande”. Lo feci. L’amicizia seguì come un randagio affamato e nel frattempo a nome di Calogero sono usciti un ep (“Di demo in peggio”, presso l’etichetta Doremillaro) e nel 2015 il depressissimo, toccante “Tra la movida e la morte”.
Ma diamoci ora questo meraviglioso, quasi totalmente irrecensito, “Tutti ostentammo a stento”, geniale sin dal titolo.
Quando si recensisce un amico, e nella fattispecie un amico artisticamente semi-sconosciuto, ci si gioca un bel po’ di credibilità. Se qualcuno di voi mi conosce personalmente sa che alla credibilità del mio gusto musicale tengo non poco. Dunque se vi premetto che la misera diffusione di quest’autore è un affronto fatto all’arte sono disposto a giocarmi ampie fette di credibilità. È qui che cade il mio desiderio di incidere: sarò felice se riuscirò a portare anche un solo ascoltatore in più a Salvo, perché Calogero Incandela è una di quelle presenze che puoi preliminarmente rifiutare (perché incide con approssimazione tecnica, perché è stonato, perché fa troppo ridere, perché fa troppo piangere, etc.) oppure incondizionatamente amare (per tutti i motivi prima elencati e in più perché è uno di quei rari e incompromessi artisti in cui vita e arte coincidono quasi totalmente, che antepone sempre scelte espressive a scelte ruffiane di comodo, come quasi chiunque altro). Chi lo conosce personalmente, poi, aggiungerà che è una persona deliziosa con cui passare dei giorni di vacanza o con cui dividere una sbronza surreale; Enrico Lanza/Mapuche e Carlo/La Guerra delle formiche saranno certamente d’accordo.
“Tutti ostentammo a stento” è la summa dell’arte primitiva di Calogero, pezzi accumulati ormai in un cospicuo lasso di tempo, una di quelle evenienze che fa di un lp una sorta di best of d’un periodo creativo ben definito. E qui infatti trovate quasi tutti i primi capolavori di CIC: “Giuseppe ha preso casa”, la storia di un giovane Kafka che sta poco a casa “per non stare mai in attesa” (e anche per non dover uccidere a colpi di ddt (!) uno strano animale/transfert); la triste autobiografia di un ex concorrente di X-Factor (“Ex Factor”) che finisce a San Patrignano perché non se lo caca più nessuno dopo aver assaporato per brevi istanti lo scintillio d’un popolare squallore ben retribuito e che drammaticamente singhiozza: “ero come volevate voi, ma mi avete scelto voi!”; l’iniziale “Suoraggio” con le sue tragicomiche memorie di collegio che odorano di cibo da ospedale; la clamorosa “Alcolista campagnolo” che ascoltare è come stare di fronte al bianco e nero di Ciprì e Maresco e dove svetta l’epocale: “ma i ragazzi hanno alti valori che van rivalutati/i valori delle loro transaminasi”; la filastrocca surreale “La cacca dei boy-scouts” che si apre leopardianamente a “spazi siderali bui” annusando proustianamente resti di escrementi di tempi in cui il futuro non era stato ancora rubato; la descrizione della vita da tossico perdigiorno (che altri definirebbe da bohemien squattrinato) in una piazzetta palermitana (piazza Giarraffaello, nella Vucciria) che sa di alcool e vomito in “Raffaello”; “le peggiori menti della mia generazione” bloccate nell’ambra mentre frequentano l’“Università”; la chiusa strumentale “Senza scarpe dove andare” che sembra il canto sotto la doccia d’uno Jannacci minimalista sbronzo; e soprattutto il classico assoluto (parole di Renato Q., se sapete chi è…spero di sì) “Vaffanculo 35”, grande abbuffata di boiate che tutte insieme coagulano un attingimento sempiterno della canzone italiana, e vi sfido a dire il contrario.

calogero incandela 2

Insomma, date un ascolto a questo disco, lo trovate in download gratuito (insieme ai testi) sul bandcamp di Salvo e poi passate a ringraziarlo di esistere sulla sua pagina facebook.
Da amico spero che la sua situazione economica si risollevi, ma d’altra parte darei un anno di vita per poter ascoltare un altro disco di Calogero Incandela dalla grandezza anche solo mezza rispetto a “Tutti ostentammo a stento” (e so che “Radiofeccia” sta per arrivare, e sarà cattivello).
Ciao! Vogliatemi bene.

Alessandro Calzavara


In copertina: Tutti ostentammo a stento (front cover, Calogero Incandela).

Rispondi