UNDERCORNER – Rubrica per giovani lettori (“Fight Club” di Chuck Palahniuk)

UNDERCORNER

FIGHT CLUB di Chuck Palahniuk

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Combattere contro qualcuno che non esiste eppure è sempre accanto a noi, non è davanti, non è dietro, ci circonda a trecentosessanta gradi, siamo incapaci di sfuggire al suo sguardo. Il senso di impotenza, figlio della totale assenza di spiragli, non farà che aumentare il potere di quell’ombra funesta che è il desiderio. Quel desiderio che alberga nel cuore di ognuno di noi e che prende forma ogni volta che, specchiandoci in un frammento di vetro, ci troviamo di fronte al migliore dei nostri riflessi: perfetto nella sua imponenza e magnificenza, dall’indiscutibile carisma e dalla dirompente personalità. Il nostro avversario più abile e al contempo il nostro premio, la somma ambizione, l’utopico possesso. L’origine di una fine è una miope frustrazione, la consapevolezza di non essere capaci di automigliorarsi e quindi la ricerca di un rimedio al mal di vivere e l’approdo all’autodistruzione. Questo è Fight Club: la storia di un’autodistruzione.
I personaggi sono delineati da grezzi contorni oscuri, qua e là bruciati da baci chimici o da fiamme di sigarette non ancora consumate, dietro questi grotteschi tratti scuri si può chiaramente distinguere ogni granello di umana angoscia. Come in un vortice senza fine sembra protrarsi la sofferenza, non esiste stabilità, ma solo dittatoriale anarchia. Le claustrofobiche brevi sentenze, i dialoghi velati di nero sarcasmo, le rivoluzionarie affermazioni capaci di trasformare ogni individuo in una scimmia spaziale, succube del fascino di un utopico e crudele sogno individuale, ci trasportano in un limbo solitario e al contempo sovraffollato. Non ci sono donne in questo mondo. O quasi. C’è Marla. Marla, la cui filosofia è “di poter morire in ogni momento” e la cui sofferenza viene dal fatto che ciò non accada; la causa concreta dell’inizio di tutto, madre del turbamento che per la prima volta farà apparire Tyler Durden, Marla che non ha un grammo di grasso in corpo e che non ama Tyler, ma qualcosa del genere. È l’unica donna ad avere un ruolo rilevante in Fight Club, ma non per questo assume la forma di uno stereotipo; è una persona “storta”, particolare, unica nel suo dolore e nella sua pazzia. Tutto è frenetico in Fight Club, confuso, interrogativo e spietato. E noi non capiamo più se ci troviamo tra le grinfie di una rivoluzione o nel bel mezzo di un dispotico universo. Ognuno di noi conosce Tyler Durden, che di colpo si fa più reale, più ostinato. Ognuno di noi vorrebbe essere Tyler Durden. Ognuno di noi, per questo motivo, lo colpisce. Non dimenticherò facilmente questo romanzo, che neanche nella sua morte trova una conclusione. È geniale. È semplicemente geniale. Un più realistico, moderno e violentissimo Dr Jeckyll e Mr Hyde. Noi siamo Tyler Durden, siamo Marla Singer, siamo una scimmia spaziale, siamo Big Bob, siamo Chloe. Tutto nell’arco di un attimo, senza neanche accorgercene. Perdiamo la nostra identità immergendoci completamente tra le pagine. Smettiamo di cercare dei limiti o delle mura, qualunque cosa vi sia dalle due parti. Scopriamo che stiamo combattendo. Li sentiamo, i colpi che Palahniuk ci sferra parlando dell’Ikea e delle nostre vite da consumatori. Desideriamo uscirne. Ci sottomettiamo alla sua idea rivoluzionaria. Ci sentiamo illuminati. Ma magari Fight Club lo stiamo leggendo proprio da sotto un piumone, con la TV accesa a fare da sottofondo e un divano Ikea sotto al sedere. E di colpo ci chiediamo quando anche noi avremo il coraggio di incontrare Tyler Durden. O forse ricordiamo il tragico epilogo del libro, decidiamo di passare oltre le pagine e di etichettare il narratore come uno psicopatico: scatti violenti, manie suicide… le stesse idee che pure una volta ci erano sembrate brillanti…come altro potremmo chiamarlo?
Improvvisamente ci rendiamo conto di quanto sia comodo il nostro divano Ikea e di quanto sia caldo il nostro piumino. Non è vero che non ci serve, altrimenti come riusciremmo a superare il freddo invernale? Forse abbiamo paura che i nostri comodi cuscini diventino verdi e umidi. Il dramma del narratore si poteva evitare? Il problema non sono i cuscini. Possiamo anche non riconoscerci nelle parole di Tyler Durden, ma prima di essere consumatori, siamo umani. E se per delle comodità siamo capaci di rinunciare a declamarci così in primis allora potremo dire di aver venduto i nostri principi etici per un tavolino facile da montare.

Charlotte Westenra

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