FRANNY: Il Cinema del venerdì – di Francesco Torre

FRANNY

Regia di Andrew Renzi. Con Richard Gere (Franny), Dakota Fanning (Olivia/Puzzola), Theo James (Luke).
Usa 2015, 90’.
Distribuzione: Lucky Red.


franny locandina

Francis L. Watts (o come dicon tutti Franny) è un multimilionario di Philadelphia. Non sappiamo da dove provengano le sue fortune e, quel che è più strano, non lo sanno neppure le persone a lui più vicine e nemmeno Wikipedia. Eppure è il proprietario di un grande ospedale pediatrico, finanzia progetti museali, canta con un’orchestrina nostalgici pezzi pop in cerimonie pubbliche e 5 anni prima del tempo in cui si svolge la vicenda è stato coinvolto in un incidente d’auto che ha causato la morte di una coppia di amici, suoi ex colleghi del college. Il suo segreto potrebbe stare tutto qui: come fa un uomo del genere a mantenere tali livelli di privacy? Il film, però, sin dall’inizio segue un’altra pista, seminando lungo l’arco della sceneggiatura una serie di flashback dell’incidente: l’impatto, l’auto precipitata in riva a un ruscello, la difficile fuoriuscita dall’abitacolo, le ferite su tutto il corpo. Sono indizi che accompagneranno il protagonista e lo spettatore verso una sorprendente epifania (anche auspicabile, visto il periodo dell’anno)? No, solo un ridondante escamotage per ancorare Franny ai sensi di colpa e ai dolori (fisici e morali) che le ferite causate da quell’incidente gli hanno provocato, e che prepotentemente tornano a chiedergli il conto nel momento in cui l’amata figlia degli amici tragicamente scomparsi (da Franny chiamata Puzzola) decide di tornare da non si sa dove a Philadelphia con marito e figlio in grembo. Per il curioso filantropo la circostanza sembrerebbe segnare un ritorno alla vita: abbandona il look da naufrago, spende e spande comprando ai due giovani la villa che apparteneva ai genitori di lei e trova anche un lavoro in ospedale al giovane che – vedi tu le circostanze! – è un medico. Luke, questo il nome del marito, ogni tanto insinua dubbi sulla generosità di Franny, e manifesta anche una certa insofferenza nei confronti della sua invadenza, ma poi, come un Pasquale Lojacono qualunque, accetta sempre ogni regalo, copertura totale dei debiti universitari compresa, salvo creare una distanza solo nel momento in cui il datore di lavoro gli chiederà un favore: prescrivergli della morfina. Franny ne è dipendente dai tempi dell’incidente, ma adesso – gli dice il suo medico… che tempismo perfetto! – la sua prescrizione non è più consentita. L’evento getta l’uomo nel panico più totale: il vomito, l’ecstasy, le urla ad un farmacista. Ci si chiede: ma davvero ci vorranno far credere che il proprietario di un ospedale, un milionario che conosce tutta la città, non riesce – anche tramite uno spacciatore – a procurarsi della morfina? Sull’ingenuità di Andrew Renzi, sceneggiatore e regista qui al suo esordio, forse è meglio sorvolare, ma quel che è certo è che senza questo passaggio lo script non potrebbe procedere verso la prevedibile svolta intimista, la denuncia del protagonista del suo disperato bisogno di sentirsi amato e dei suoi sensi di colpa per l’incidente d’auto, la riabilitazione in coincidenza con la nascita del piccolo Robert (lo stesso nome del nonno, ovvero l’amico di Franny ucciso nello scontro).
La confezione sobriamente elegante della fotografia, che si tinge di ombreggiature sinistre nelle sequenze notturne, non riesce a celare le enormi debolezze di un’opera prima goffa e disarmante, consegnata totalmente nelle mani e nel corpo imbolsito di Richard Gere, peraltro in un ruolo che sembra scritto su misura per Robin Williams. Il risultato è imbarazzante, sia per la fragilità strutturale e la pochezza di idee, sia per l’abiezione morale dei tre protagonisti. Se l’intenzione era quella di dimostrare come la filantropia in America può essere ancora una dipendenza per i ricchi che cercano di ripulire la propria immagine e ottenere l’approvazione sociale, “Foxcatcher” di Bennett Miller con Steve Carell ha in confronto il sapore di un classico, giganteggiando per analisi psicologica e ricerca estetica.

Francesco Torre

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