IRRATIONAL MAN: Il Cinema del venerdì – di Francesco Torre

IRRATIONAL MAN

Regia di Woody Allen. Con Joaquin Phoenix (Abe Lucas), Emma Stone (Jill Pollard), Parker Posey (Rita Richards).
Usa 2015, 96’.
Distribuzione: Warner Bros.


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Il lume della ragione (una torcia vinta al Luna Park), un giocatore irredimibile, la banalità del male. Dopo “Magic in the moonlight”, Woody Allen illustra con colori a olio un nuovo conte philosophique in wide screen, compassato e citazionista, contemplativo e orgogliosamente artefatto. Solite riflessioni senili sul tema del razionalismo in un mondo di illusioni? Anche, certo, ma il coté accademico, il finale tragico, la mancanza di laicità nella ricostruzione e nella risoluzione del dilemma morale al centro della messa in scena tradiscono un’inedita e pedantesca ansia di persuasione, una spinta regressiva e conformista e, all’ingresso dei territori dell’abiezione, l’approdo agnostico alla struttura della parabola.

Newport, Rhode Island. Al campus universitario c’è attesa per il nuovo professore di filosofia, Abe Lucas. La sua fama lo precede, e non solo per gli sforzi accademici: grande seduttore, attivista politico, romantico idealista. «Molta filosofia è solo masturbazione mentale» (sic!), dice ai suoi nuovi allievi, giudicandoli all’impronta «ragazzi carini ma per lo più mediocri». Viene da chiedersi se sarà da redimere o condannare ma in fondo si sa, Allen predilige l’alternanza, e la commedia l’aveva girata in Europa l’anno prima. Così, quando la bella e sensuale collega Rita Richards – l’unico personaggio del film mosso da passioni autentiche – gli proporrà di ricominciare una nuova vita insieme in Europa, Abe le preferirà l’amicizia e poi l’amore di una studentessa altoborghese. Crisi di mezza età o depressione esistenziale? Allen sembra optare per la seconda. Impotente, rassegnato alla routine, indifferente alla propria stessa vita, e dunque anche alle lusinghe della carne, il professor Lucas (curiosa e forse non del tutto ingenua omonimia con il creatore di Star Wars) troverà nuova linfa solo grazie ad un disegno criminale. Avendo origliato all’interno di un ristorante la storia di una madre in lacrime per l’abuso di un funzionario della giustizia, deciderà infatti di intervenire in prima persona. Qui il film vira in territori quasi dostoevskiani, l’audacia del gesto rinvigorisce l’uomo, rendendolo quasi immortale e annullando, in potenza, ogni sfumatura tra bene e male. Fino a quando qualcuno comincia a sospettare di un suo concorso in omicidio…

Kant e Heidegger, il pianoforte swing di Ramsey Lewis e i preludi di Bach, il bene e il male, la vita e la morte, Abe e Jill. Che la dialettica tra opposti sia uno dei temi centrali di “Irrational Man”, Woody Allen lo mette in chiaro sin da subito, strutturando il film con un doppio punto di vista, e dando l’opportunità ai due protagonisti di poter spiegare direttamente le ragioni del proprio agire in prima persona, tramite una voce fuori campo. Totalmente priva di ironia, la prima parte del film letteralmente si trascina, povera com’è di tensione drammatica, concentrandosi sulla descrizione del personaggio di Abe Lucas, sul suo istinto di morte (sequenza della roulette russa), sulle sue tendenze (auto)distruttive. Il punto di svolta arriva all’incrocio di un inconsueto triangolo sentimentale, di fatto annullandone ogni potenzialità drammatica. “Crimini e misfatti”, ma soprattutto “Match Point” e “Sogni e delitti”, offrono diversi punti di ancoraggio all’interno della filmografia di Allen per decriptare i simboli e comprendere la tensione morale che soggiace agli eventi qui proposti. I continui richiami alla casualità, all’indeterminatezza esistenziale e dunque all’arbitrarietà delle condotte, l’uso hitchcockiano di un oggetto “parlante” – una torcia – che diventa incredibilmente elemento di intreccio, specchi che deformano i personaggi a definire il carattere illusorio delle percezioni sensoriali sono senz’altro interventi di sceneggiatura riconoscibili e di per sé brillanti, anche se ormai del tutto prevedibili, quasi una forma di elogio del ritorno dell’identico. Senza mai squarciare il cielo di carta che sovrasta le loro vite, illusi di poter esercitare sulle proprie esistenze il libero arbitrio, Abe e Jill diventano così gli ultimi esemplari di una fitta schiera di burattini che Allen agita a proprio piacimento sullo schermo prima di farli precipitare verso il fatale incontro col destino. Ma se il gioco si fonda su un dialogo tra opposti, e l’unico argomento sollevato da uno degli attori in campo è il divieto di una convenzione morale, allora il paradosso filosofico rischia di schiantarsi nel soffice e caldo muro del perbenismo conformista.

Abe Lucas, ambiguamente interpretato da Joaquin Phoenix, è certamente un personaggio complesso, attraente e ripugnante al tempo stesso. Banalizza interi sistemi filosofici, lotta contro una forma di depressione, egoisticamente trova piacere nel condurre azioni immorali, e non riesce a frenarsi. Al suo autentico romanticismo, Allen contrappone un romanticismo di maniera. Jill Pollard è una studentessa modello, all’interno di una famiglia modello, fidanzata con un brillante coetaneo modello egli stesso di intelligenza, comprensione e rispetto. L’irregolarità di Abe la affascina, la trascina verso una fuga dai propri ideali borghesi, infine la spaventa, ma Allen non si preoccupa mai di affondare il coltello dentro le ipocrisie del sistema di valori da lei rappresentato (per esempio, nemmeno un accenno alle reazioni nei confronti di una relazione sentimentale alla luce del sole tra un docente e un’allieva, come se in un ambiente accademico puritano un evento del genere possa essere pienamente o anche solo parzialmente tollerato). Al contrario, via via che l’intreccio procede il personaggio di Abe subisce un vero processo di demonizzazione. Dapprima lo vediamo impegnato in un saggio su Heidegger e il nazismo, poi lo scopriamo lettore e cultore di Hannah Arendt, infine lo sentiamo professarsi “uomo del fare” (lui, che è un professore di filosofia) e fingersi giustiziere di una causa persa per mascherare il proprio inesauribile bisogno di adrenalina. Il suo profilo, dunque, progressivamente ricondotto nei binari di una nevrosi ossessiva, sembra riconoscersi meglio nell’alveo del proto-nazismo piuttosto che nei territori della letteratura dostoevskiana. Il fidanzato di Jill lo smaschera sin da subito, i genitori di Jill lo smascherano poco dopo e anche Rita Richards finirà per smascherarlo, sebbene continuando a coltivare per lui una passione che travalicherà i confini dell’etica. Confini che però, evidentemente, per Allen sono diventati invalicabili, visti il moralistico accanimento e la furia giustizialista con cui condanna – in una sequenza che parte da una citazione antonioniana, la tromba dell’ascensore in “Cronache di un amore” – il personaggio ad un orrendo, logico contrappasso: la sospensione nel vuoto, l’esilio perenne entro i bui confini dell’oblio dell’umana coscienza.

La citazione: «Lasciami vedere se avrò ancora fortuna».

Voto: ☺☺☻☻☻

Francesco Torre

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