Al Savio, “InSomniun. E si sciolgon le ore” di Auretta Sterrantino

di Marta Cutugno

“Sarah, se caso mai io volessi…lasciarti qualcosa, la metterò qui. In questo libro”
“Come dici?”
“A pagina … A pagina 173. Così saprai sempre dove trovarla”

Sonniloquio

Tu, ombra e grazia, muovi correnti
in me, irreversibili per luna;
ma gli occhi narcolettici che intento
a notte spio, non hanno sguardo: o una
indifferenza che mi castra e ingabbia.
Trattengo il fiato, insonne: la mia sorte
ha i segni d’un pomeriggio di sabbia
“scolpito e immobile, come la morte”,
e mi auguro un oblio così profondo
da farsi mutamento: vieni, aurora,
incendia la casa del sonno, inonda
di luce l’ombra che bisbiglia ancora:
Un’altra vita occorrerà che passi
per rivelarti lei, lei ombra e grazia.

Questi i versi che Robert aveva chiuso dentro un libro e destinato a Sarah, grande amore della vita. E vite consumate, profondamente intrecciate da una contorta rete di relazioni, sono quelle dei personaggi de “La casa del sonno” di Jonathan Coe. A questo romanzo capolavoro che disegna tormenti e vulnerabilità del cuore, si ispira “InSomnium. E si sciolgon le ore”, regia e drammaturgia di Auretta Sterrantino. La pièce, terzo appuntamento della rassegna “Atto Unico” curata da QA-QuasiAnonima Produzioni, è andata in scena, al Teatro Savio di Messina, domenica 13 dicembre in prima nazionale.

Scostandosi volutamente dal romanzo di Coe, il testo drammaturgico ne coglie i tratti essenziali e concentra l’azione in uno spazio unico dall’atmosfera giustamente asfissiante e carica di interrogativi. Cinque i personaggi sulla scena: il dottor Gregory Dudden, la dottoressa Madison, Jeremy (nel romanzo era Terry), Veronica e Sarah. Stretti in un perimetro chiuso alla costante ricerca di qualcuno o di qualcosa, camminano o dondolano con i piedi saldati al pavimento, con gli arti superiori protesi in avanti e persi in abbracci che si sciolgono lenti e respinti, proprio come le ore. L’azione si svolge in una sala della clinica Dudden in cui i cinque sono coinvolti in un incontro/terapia di gruppo. Quel luogo, adesso centro di ricerca per i disturbi del sonno, un tempo era stato dormitorio di un campus e tutti i presenti ci avevano abitato come ospiti. Sulle loro teste incombono cinque sfere luminose ed un grande cerchio che, insieme a piccoli sgabelli neri, sono i tasselli che costituiscono l’ottima scenografia firmata da Giulia Drogo.

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In coerenza con la struttura del romanzo – in cui i capitoli dispari sono ambientati nel 1983-1984 ed i capitoli pari raccontano fatti del giugno 1996 – la narrazione si interrompe a favore di diverse dimensioni oniriche attivate dal click di un telecomando in mano a Gregory, ricalcando il modello del testo letterario che si scioglie in Veglia, Fase Uno, Fase Due, Fase Tre, Fase Quattro, Sonno Rem. In quegli spazi fuori dalla realtà scenica, accompagnati dalle sognanti musiche di Filippo La Marca fatte di suoni e respiri, di altezze definite ed echi di vento – il vento che urlava intorno alle mura della città – Sarah, affetta da narcolessia e cataplessia, dialoga con Robert: l’amico incontrato ad Ashdown nella cucina a forma di L, incombe con la sua presenza, sembra non esserci ed invece è lì tra loro.

Gregory era stato il primo fidanzato di Sarah, ossessionato dai suoi occhi, l’aveva lungamente spiata nel sonno, penetrandola e pressandole le palpebre con le dita della mano. L’espressione che accompagnava l’inquietante rito – “Io ti spio con l’occhiolino mio” – trova ulteriore sfogo nel pucciniano “Nessun Dorma”. “Dilegua o notte, tramontate stelle“. Per lui, era il sonno la vera malattia  e soggetti straordinari, i suoi tre interlocutori e pazienti. Veronica e Sarah erano state amanti e la dottoressa Madison altro non era che Robert nella sua nuova identità. Sarah aveva detto molti anni prima: “Pensaci un secondo: la tua sorella gemella: tu al femminile. Dimmi se non sarebbe il mio partner ideale“. E si era avviato il mutamento, funzionale o no al raggiungimento del desiderio, non è dato sapere. Sul finale, i protagonisti sono chiamati dal testo a riprendere “ciò che gli appartiene” e ritornare alla loro “essenza primaria”.

Presenti lampi di luce che confermano la cura e l’attenzione al testo a cui la QA ci ha abituati insieme ad uno studio evidente incentrato sul movimento; tuttavia, il narrare dei personaggi, talvolta, risulta appesantito e poco scorrevole e non sempre, la natura e l’intensità dei rapporti, degli intrecci, giungono nitidi. Insolitamente rigido e spigoloso è Oreste De Pasquale come Gregory. Loredana Bruno è una Veronica in perfetto bilico e bene rappresenta la sua inquietudine. Claudia Zappia emerge per classe e fluida, misurata comunicabilità emotiva. Completano il cast Livio Bisignano (Jeremy) e Marialaura Ardizzone (Sarah). Prossimo appuntamento con la rassegna teatrale Atto Unico domenica 24 gennaio con “Barbablù. Storia di quotidiana violenza” prodotto dal Teatro del Cerchio di Parma.

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