TAT − WE ARE BUT ONE a cura di Laura Liberale − 14) L’amore è un campo di battaglia

TAT (WE ARE BUT ONE)

—–Messaggio originale—–
Da: Laura Liberale
A: Claudia Boscolo

Oggetto: L’amore è un campo di battaglia

 

Più un uomo si avvicina a ruoli che non richiedono particolare mascolinità, come avveniva nell’antichità, tipo cacciare, uccidere, combattere altri uomini, faticare per procurarsi il cibo, meno la sua ipofisi riceverà stimoli dall’ipotalamo e, giorno dopo giorno, i testicoli rallenteranno la loro funzionalità. Lo stesso discorso vale per la donna, costretta invece a sviluppare aggressività per imporsi socialmente, fare carriera, comandare persone, assumersi responsabilità; per cui l’ovaio tende a ridurre la produzione di estrogeni (…) Il risultato è che le differenze di genere si attenuano. È inevitabile che la sessualità si evolva per aprirsi sempre più alla omosessualità e alla bisessualità (…) È un’evoluzione in corso che sfocerà in una nuova e più ampia sessualità, senza una data di inizio e una di fine.
Umberto Veronesi

 I mezzi possono essere semplicistici, talvolta puerili e stravaganti, e allora si va a riunire gli opposti nel senso concreto, immediato del termine (…) Però lo scopo perseguito mantiene il suo valore malgrado i mezzi inadeguati con i quali ci si sforza di realizzarlo.
Mircea Eliade

Arjuna è il mahābhāratiano campione dei Pāṇḍava, l’eroico arciere che in guerra ha come auriga, amico e consigliere l’uomo-dio Kṛṣṇa e il cui valore e coraggio sono lodati perfino da Śiva.
Ma c’è un bell’episodio purāṇico[1] che ce lo mostra in altre vesti. E il suo legame con Kṛṣṇa prende una piega “inaspettata”.
Arjuna ottiene l’accesso al luogo celeste in cui Kṛṣṇa si diletta eternamente con Rādhā e le mandriane, ma per entrarvi deve immergersi in un lago, e quando riemerge:

Improvvisamente, si ritrovò ad avere un corpo esile di donna, affascinante e luminoso come raggi di oro puro, nel pieno della sfolgorante giovinezza; un volto simile alla luna autunnale; dei nerissimi, ricci e lucidi capelli adorni di gioielli splendenti (…); gli occhi da cutrettola neri come nubi e vivacemente ammiccanti; le guance tonde illuminate dallo sfavillio degli orecchini; i rampicanti delle braccia meravigliosi e delicati come steli di loto; i boccioli delle mani ladri della bellezza di tutti i fiori di loto autunnali; i fianchi stretti sapientemente da una fascia dorata (…); i loti dei piedi bellissimi tintinnanti per le preziose cavigliere; la conoscenza delle svariate, manifeste arti amorose; il possesso di ogni qualità e ornamento.
Per opera del potere d’illusione dell’amante delle mandriane, ella dimenticò ciò che riguardava il suo precedente corpo e, in preda allo stupore, stette lì, confusa sul da farsi.

La novella Arjunī fa dunque la conoscenza delle numerose fanciulle con cui Kṛṣṇa si diletta e viene portata in un luogo ameno, dinanzi a un trono ingemmato, alla presenza del dio,

i cui ricci neri profumavano e sulla cui crocchia era legata la coda di un pavone in amore; il cui orecchino floreale, sul lato sinistro, pullulava di api; splendido per la bellezza del segno portato sull’ampia fronte; il cui naso era bello come un fiore di sesamo o il becco dell’aquila; suscitatore di passione con i suoi dolci sorrisi; le cui labbra assomigliavano a un frutto rosso; affascinante per la collana simile a un fiore selvatico (…); sommamente bello per la vita leonina e il profondo ombelico; incantevole per le ginocchia non oblunghe ma rotonde come un albero eccellente; ricco di ogni sorta di ornamento; le cui natiche erano coperte da un lembo di veste gialla (…); incantatore con le melodie scaturite dal suo flauto (…) e pieno di foga d’amore in tutte le membra.

Arjunī viene travolta dalla passione e la cosa non sfugge all’onnisciente Kṛṣṇa. Egli la prende per mano e la porta segretamente nel bosco a godere con lui dei giochi d’amore.
Quando Arjunī s’immergerà di nuovo in acqua, riacquisterà la sua natura maschile e Kṛṣṇa tornerà a rivolgersi a lui chiamandolo “il conquistatore di ricchezze”, a rivolgersi cioè all’amico caro a cui, sul campo di battaglia, aveva insegnato come compiere il proprio dovere senza attaccamento verso i frutti dell’azione e concesso la visione della sua, insostenibile per occhi umani, forma universale.

Il Trascendente che si offre per un brevissimo istante di sguardo sovrumano, pur nella sua indicibile eccedenza, non basta.
L’unione col divino chiede lo spasimo e il piacere del corpo.

[1] Dal Padma-purāṇa.

Laura Liberale

In copertina: Genesis Breyer P-Orridge

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