Il trionfo del male in “Suburra”

 

 

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Bentornato cinema di genere. Nel segno della serialità, da “Romanzo criminale” a “Gomorra”, i film di partenza e le  puntate successive su Sky sono ormai di moda anche in Italia. In questo ambito, Stefano Sollima (“Acab”) è un regista di valore e “Suburra”, dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini (anche sceneggiatori con Rulli e Petraglia), mantiene le promesse. Grande tensione e spettacolarità, campi lunghi e sequenze di continui ammazzamenti, con variazioni del punto di vista, dominano una Roma invasa dalla pioggia e immersa in un film d’azione notturno e privo di redenzioni.

Con la fotografia ad effetto di Paolo Carnera e il montaggio quasi sempre incalzante di Patrizio Marone, il male trionfa, tra situazioni condizionate dalla droga e amplessi disperati senza erotismo, e tutte le figure rappresentate evocano lo scandalo nazionale di Mafia Capitale. Il cast appare azzeccato, arricchendo la storia di realismo e forza emotiva: da Claudio Amendola (nome di battaglia Samurai, vero e proprio collante tra malavita, politica e Curia) a Pierfrancesco Favino (il politico Filippo Malgradi in un’ammirabile adesione a ogni sfumatura del personaggio), Elio Germano, Alessandro Borghi, Greta Scarano, Giulia Elettra Gorietti, Adamo Dionisi, Giacomo Ferrara e Jean-Hugues Anglade.

La sceneggiatura, però, non sempre riesce ad amalgamare i tre piani narrativi: la politica, la religione, la malavita stile banda della Magliana, tra leggi da approvare in Parlamento e i sei giorni prima dell’Apocalisse, compresa l’invenzione di mescolare le imminenti dimissioni di Papa Benedetto XVI con quelle di Berlusconi. Si rimane in superficie, in modo da apprezzare la forza estetizzante di “Suburra” senza andare in profondità. Il male raccontato è più vicino a quello di un videoclip coinvolgente, che non trasforma lo spettatore né lo invita davvero a riflettere.

Marco Olivieri

Dal settimanale Centonove Press del 22 ottobre 2015.

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