Oltre i titoli di coda – Giovanna Marmo

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Giovanna Marmo (Foto: © Dino Ignani)

In “Oltre i titoli di coda” (Aragno 2015) Giovanna Marmo conferma la peculiarità della sua scrittura poetica, approfondendone i landmark con un riuscito cambio di passo. I temi della disidentificazione, di un’alterità psicotica che sgretola il confine tra un io compresso/compromesso e gli oggetti dotati di inquietante vita autonoma, restano centrali, costituendo l’area – e l’aura – della ricerca dell’autrice, nella scomposizione quasi cubista del corpo, ridotto a pezzi man mano reificati (si pensi, ad esempio, al titolo del suo libro precedente “La testa capovolta”), e in una realtà tanto più angosciante quanto più ignota.

La capacità di modulare questi echi kafkiani in brevi quadri fiabeschi e raggelati, istantanee angosciose di un orrore dolente, registra peraltro una nuova strada espressiva, che lascia trapelare – in controluce potremmo dire (vista la valenza allegorica del film come realtà del fenomenico che traversa la sezione centrale del libro) – una tensione al poemetto, se non a una vera e propria narrazione. Il passaggio dal fermo dell’istantanea al fotogramma che scorre sullo schermo, sia pure privo di qualsivoglia sceneggiatura, consente di cogliere da una diversa angolatura l’impasse “visuale” dell’assenza di senso.

Suddiviso in tre sezioni, “Oltre i titoli di coda” si apre con un richiamo ma anche una curvatura di distanza da quella poetica dello sguardo che a partire da Magrelli in poi ha influenzato tanta parte della poesia italiana contemporanea. “Al di là delle palpebre”, che è il titolo della prima parte, riconosce infatti la limitatezza dell’occhio: occhio che non /riesci a conoscere/la natura delle cose, con un richiamo decisamente lucreziano e la presa d’atto che il regista, sbagliato, è la mente (Non ti do colpa, occhio/ di questo difetto della mente). Al di là delle palpebre, quindi, in uno spazio chiuso, peraltro, valgono cose mai viste. E’ da questa costatazione che prende l’avvio il vero e proprio poemetto centrale del libro che allegorizza l’esistenza fenomenica come un filmato cinematografico dove ogni spettatore/attore è un posto vuoto, …tutto ciò che conta/ è già avvenuto fuori campo, e qualcosa continua senza il pubblico, persino senza traccia sonora. La postura dell’io parlante tende in questo scenario meccanicistico a una soggettività neutra (E’ difficile capire chi davvero stia scrivendo./Vorrei parlare solo in terza persona, /attraverso la lingua di cui nessuno/può vantare la proprietà), quando non a una vera e propria afasia (Parlo, senza bocca) di fronte a un’agonia preconizzata e vissuta (Un laccio emostatico unisce/le linee di fuga del linguaggio). La stessa memoria e la conseguente possibilità di un’identità si profila bruciata ..in un film dal montaggio sempre uguale, dove predomina la confusione, l’impossibilità di oltrepassare uno spazio – tempo di plasma e di campi d’onde.

E’ in questa sezione che la scrittura di Marmo assume in modo deciso una versificazione lunga, indagando il “mal essere” con uno scavo che fuoriesce dalla dimensione volutamente secca di un precedente minimalismo formale per articolare campiture più sfaccettate, sia pure nei consueti scenari post-apocalittici, e un ritmo a tratti dialogico. Si tratta di una tensione rintracciabile anche nella sezione conclusiva (“Case riflesse”), che sulla metafora rovesciata della casa inanella il noto trasmutamento tra vivo/inerte (Non creo una distanza/tra le cose e i mobili-umani) che è tratto fondante della poetica dell’autrice. Se la casa è generalmente simbolo di calore e di accoglienza, qui diventa un quid estraniato e ignoto (“Casa senza vita”, “Casa in prestito”, “Casa ombra”, “Casa animale”, “Casa onda” sono alcuni dei titoli dei testi) popolato di spettri, topo senza voce, di oggetti (che) cadono, si perdono e poi ritornano./Come al solito nel posto sbagliato, un luogo dove Non sono io, è l’universo/intero a essere abbandonato. E, tuttavia, in questa continua e confusa deprivazione di sensi (Solo onde di spazio), la ricerca di una forma, la tensione a un esser-ci, modulata già nella frequenza di elementi naturali presenti nel libro (Cielo mare fiume/e montagne; “Nuvole e stelle”, vapore acqueo e nebbia), emerge pienamente con lo zoom conclusivo del libro, quando nell’entropia distopica di una medusa scura che pulsa nel cielo appare il rimosso, umano, che è l’affetto: Baciatemi presto, /sto lottando contro il crepuscolo……Non c’è tempo, /baciatemi.

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testi

Occhio che non

Occhio che non
riesci a conoscere
la natura delle cose:
in qualunque luogo
tuo compito è vedere
luce e ombra,
ombra e luce.
Ma se sia o meno
la medesima ombra,
e se l’ombra mia che era qui
si trasporti laggiù, deve saperlo
l’intelligenza della ragione.
Non ti do colpa, occhio
di questo difetto della mente.

*

Al di là delle palpebre

Vediamo. Ma ogni angolo
sfugge ai sensi.
Si che valgono cose
mai viste.
Al di là della palpebre.
In uno spazio chiuso.

*

Oltre i titoli di coda

Prigionieri in due riprese distinte,
ma speculari, non potevano incontrarsi.
Tuttavia la direzione era la stessa.
Attraversavano chilometri e chilometri
di immagini in movimento.
Si muovevano con sicurezza,
perché conoscevano il ramo paludoso
che collega tutti questi luoghi.
Raccoglievano gli oggetti
morti nella contemplazione.
Adoperavano la lente sfocata della malinconia
per osservare il presente.
A tratti credevano di parlare ad alta voce.
La vista diventava udito.
I sensi si confondevano.
Consapevoli che l’altro era lì, stendevano
in avanti le braccia per comunicare
e guardavano verso la macchina da presa.
Gli spettatori erano in difficoltà,
perché non erano loro i protagonisti.
Solo una volta, in un montaggio mal riuscito,

si parlarono attraverso i sottotitoli

  • Conosci il mio nome?
  • Non posso proteggerti, cosa hai fatto?

Erano le comparse di un film
senza traccia sonora,
girato in due piani sequenza paralleli.
Si incontrarono oltre i titoli di coda.

*

Casa in prestito

Gli oggetti non hanno un loro posto.
Un pezzo di carne cade sul pavimento,
nell’angolo un mucchio di piccole braccia.
Segnali elettrici attraversano gli infissi,
un residuo di gomma si stacca dal fondo.
La loro distanza non può essere misurata.
Cammino sul tappeto di cellule,
nella casa in prestito.
Non ricollego le mie percezioni alla realtà.
Quando giro gli occhi il mondo non si muove.
Mentre un animale urla, nella camera accanto
qualcuno respira.

*

Lavagna vuota

Sono la casa con un piano solo,
una frase isolata,
Apro la bocca-lavagna:
nessuno a cui chiedere da bere.


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