“Inside Out”: non portateci i bambini

Inside-Out

Vorrei partecipare al ricco dibattito che si è sviluppato attorno al cartone Inside out realizzato dalla Pixar, con alcune riflessioni, e sollevare delle criticità.  Il film è la storia delle emozioni umane, rappresentata da simpatici personaggi colorati e movimentati che giocano in squadra. Tristezza, Gioia, Rabbia, Disgusto e Paura.

Il racconto si centra sulle vicissitudini di una bambina e della sua famiglia impegnati ad affrontare il trasferimento in un’altra città e l’integrazione in un nuovo nucleo.

Per tutti i protagonisti della storia, non sarà facile. Imprevisti, delusioni e frustrazioni, minano la loro collaudata serenità e fanno precipitare la bambina protagonista (un po’ sfumata per la verità) nello sconforto.

Ed ecco che crollano le certezze, la fiducia nel prossimo, anche quella verso i propri genitori, l’amarezza verso gli amici, la delusione data da fallimenti inattesi, in una sola parola crolla l’idealizzazione e tutta la realtà appare cupa e brutta. Crollo realizzato mirabilmente dalla distruzione catastrofica di isole ideali che si inabissano irrimediabilmente di fronte alle vicissitudini della bambina.

Il testo è sicuramente ben reso dalla maestria immaginativa degli autori che sviluppano la storia non tanto dal “di fuori”, quanto “dal di dentro”, cioè con un’attenzione precipua per il mondo interno della bambina, quello delle emozioni e dei sentimenti. La trama del cartone si centra soprattutto su questo piuttosto che sul racconto della vita della protagonista. E’ una scelta editoriale. A me non è dispiaciuta, anzi  l’ho trovata innovativa.

I personaggi del cartone non sono perciò la piccola e la sua famiglia, non è centrale neanche la storia della famigliola, come di solito ci si aspetterebbe, quanto il racconto del travaglio delle  emozioni, del movimento del mondo interiore della bambina, anche se prevale un taglio cibernetico piuttosto che relazionale che, personalmente, ho poco apprezzato, poiché riduttivo.

Trovo indovinata l’idea di rappresentare le emozioni con dei personaggi, peraltro realizzati con cura.

In particolare Rabbia, dove si vedono bene certi aspetti della mente, quelli più primitivi, grezzi che inducono a reazioni sconsiderate, e Paura il personaggio forse più divertente del gruppo.

 Ma la trovata geniale è l’accoppiata Gioia e Tristezza.

“Tristezza” è di tutti i personaggi quello più intenso e interessante, mentre Gioia, inizialmente travolgente e simpaticona, a lungo andare si rivela noiosa e stucchevole, nonché ininfluente quando il gioco si fa duro.

Il messaggio straordinario, che è a mio avviso la cifra del cartone, è il riconoscimento che il dolore, la sofferenza, danno all’individuo una marcia in più. “Tristezza”, che all’inizio della storia sembrava essere la palla al piede di tutta la compagnia, piagnucolosa e inattiva, nel crescendo del film, diventa il personaggio chiave, surclassa persino l’immancabile propositività  di Gioia e riesce a stagliarsi imponente e significativa, anzi risolutiva. Senza il suo intervento sembra infatti che nessuna soluzione creativa sia possibile e che, anche se la sua presenza convoca condizioni complesse e non usuali, il successo sta proprio nella capacità di saper affrontare le situazioni più difficili, di essere capaci di soffrire senza soccombere al dolore, anzi trasformarlo in nuove chance.

 La presenza della tristezza nell’individuo ecco che diventa un patrimonio.

Tuttavia, a mio avviso, Inside out non è un film per bambini.

Il messaggio del film è ben lontano da ciò che i piccoli possono accogliere emotivamente e li “ingozza” di contenuti, colorati e vivaci, ma tutt’altro che digeribili dalle loro giovani menti, piuttosto li costringe ad uno sforzo di comprensione non adeguato né armonioso per la loro età.

In poche parole, cartoni come “Il libro della giungla”, per esempio, permettono ai piccoli di apprendere senza appesantirli, non angosciano ma fanno pensare.

La domanda è: cosa stiamo dicendo ai bambini? Quale messaggio stiamo trasmettendo? Come ci avviciniamo al loro mondo?

A mio avviso Inside out è il cartone-specchio del nostro tempo, dove la pensabilità è saturata da una intellettualizzazione divenuta ormai insopportabile e sembra non esserci più spazio per la semplicità e l’immediatezza. Camuffato da  cartone animato, dove portare il proprio bambino la domenica pomeriggio, in realtà a me sembra un film stressante e indigeribile. Il messaggio che arriva ai bambini è che le emozioni siano telecomandate da un Sistema Operativo (peraltro poco affidabile) che si può comandare con un joystick, dove, ancora una volta, passa l’informazione (scriteriata) che non siamo noi in prima persona a gestire le nostre emozioni, anzi  esse appaiono come qualcosa di sconnesso dalla nostra persona. Tutto ciò alimenta la convinzione dell’esistenza di un impianto interno precario e alienante mentre foraggia la dipendenza e l’impotenza. Il risultato è ricavare un vuoto, un’assenza di significato interiore.

Al di là del prodotto finemente confezionato (e forse proprio per questo), di ineccepibile spessore tecnico, come genitori, educatori, psicologi, dobbiamo tuttavia prestare massima attenzione, nel selezionare le informazioni – anche se sono le news più smart del momento – che trasmettiamo ai nostri figli,  sia che siano bambini sia che siano adolescenti.

Certe scelte di mercato, dirette ad una fascia d’età giovanile, sostenute da un Sistema votato alla produttività economica, possono scandalizzare la condizione autentica e semplice dell’infantile, o maltrattare la complessità dell’adolescente. Certi editing possono sfruttare bene (ahimè) la velocità in cui vivono i nostri figli, cioè la pochezza della nostra epoca.

Devo essere sincera, la visione del film, a tratti, mi ha irritato poiché, realizza un protocollo troppo sofisticato, lontanissimo dalla psicologia infantile ma tuttavia pubblicizzato come  film per bambini, sicché, come un cavallo di Troia, offre contenuti ingannevoli e fuorvianti ad un piccolo pubblico che non si sa difendere.

 Ẻ già successo ai danni degli adolescenti. Cerchiamo di non danneggiare anche i bambini.

Donatella Lisciotto

 

Membro Ordinario  della Società Psicoanalitica Italiana (SPI)

2 pensieri su ““Inside Out”: non portateci i bambini

  1. Trovo che il commento della Dott.ssa Lisciotto Donatella sia molto acuto e stimolante. Non sono del tutto d’accordo però sull’interpretazione della gestione delle emozioni da parte di un Sistema Operativo inaffidabile. Non sono convinta che ai bambini passi davvero l’idea che “non siamo noi in prima persona a gestire le nostre emozioni, anzi esse appaiono come qualcosa di sconnesso dalla nostra persona”, o che favorisca una rappresentazione delle stesse come parte di “un impianto interno precario e alienante mentre foraggia la dipendenza e l’impotenza”. Spiegare a un bambino, e tutto sommato anche ad un adulto, cosa sono le emozioni è un compito arduo. Non mi è parso che si desse allo spettatore la sensazione che le emozioni siano sconnesse e difficilmente gestibili. Tutto sembrava guardato dall’interno della protagonista, che peraltro essendo una ragazzina potrebbe, in modo del tutto plausibile, sperimentare l’essere preda delle emozioni che si alternano modificando il nostro rapporto con la realtà (capita anche agli adulti del resto). Il messaggio che alla fine resta, a mio avviso, è che alcune emozioni apparentemente negative, come la tristezza, possano diventare una risorsa e come tale vadano accettate nell’insieme della vita reale, senza essere considerate di serie B. E che l’adattamento a situazioni sgradevoli richieda l’abbandono di alcuni tratti infantili. Sicuramente è un film complesso per i più piccoli, e infatti credo che il target più appropriato siano i pre-adolescenti, ma non son sicura che alla fine abbia un potenziale davvero così fuorviante.
    Certo, è doveroso ribadire che questa è solo l’opinione della spettatrice media del prodotto cinematografico, priva dei mezzi che un’esperta addetta ai lavori possiede e utilizza sapientemente.

  2. allo spettacolo a cui sono andato io, la maggior parte dei bambini era evidentemente annoiata, probabilmente delusa da un film lontano dalle aspettative e decisamente di scarso interesse. le implicazioni e le riflessioni che un adulto è in grado di fare su un film come questo, sono basate su strumenti che difficilmente ritengo siano disponibili in età preadolescenziale, provo ad immaginare me da bambino guardare lo stesso film e ritengo che mi sarei soffermato a una lettura ben più superficiale. la stessa cosa può dirsi di Alla ricerca di Nemo, film attorno al quale sono state spese milioni di parole da parte di encomiabili studiosi, filosofi, psicologi e sociologi, in particolare (ovviamente) sul discorso dello schema familiare e del rapporto padre-figlio. tematiche che immagino siano del tutto impercepibili per menti più semplici come quelle di un bambino.

    detto questo, Inside Out mi pare che ricalchi in modo coerente lo schema storico della favolistica, ovvero quello della doppia chiave di lettura, da una parte quella infantile, più immediata e semplicemente parabolica, dall’altra quella morale, in cui la favola rappresenta una fonte di speculazioni su argomenti sociali, contestuali per certi versi e ancestrali per altri. ci sono state chiavi di lettura (talvolta probabilmente anche forzate) di favole come Biancaneve, Cappuccetto Rosso o Cenerentola che hanno fomentato per anni il dibattito su pilastri della nostra struttura sociale, a partire dal rapporto uomo-donna.

    ieri al cinema ho visto bambini annoiati e adulti in lacrime. quello che per lo spettatore medio può essere un minishock (o forse non troppo mini) emozionale, a mio avviso ha un ritorno decisamente più positivo rispetto a quello che ritengo il rischio ridotto che un bambino possa analizzare così argutamente il senso del film a tal punto da mettere a repentaglio il suo equilibrio o la visione di se stesso. la psicologia è una roba da adulti che da bambini mai vorremmo affrontare.