“Sangue del mio sangue”

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Marco Bellocchio continua a raccontare per immagini le sue ossessioni, le sue radici tormentate, le sue idee sulla Chiesa come istituzione storicamente repressiva e su un presente, quello italiano, oscuro e disastroso. In “Sangue del mio sangue”, presentato in concorso alla 72esima Mostra del Cinema di Venezia, si rapporta ancora di più, sempre con stile psicoanalitico, onirico ed evocativo, alla propria origine, a partire dall’ambientazione nel suo paese, Bobbio, in provincia di Piacenza (sulla genesi del film si veda: http://www.minimaetmoralia.it/wp/intervista-a-marco-bellocchio/).

Il protagonista della prima parte del film, Federico Mai (non a caso il figlio del cineasta, Pier Giorgio Bellocchio), deve fare i conti con la morte del gemello, un trauma vissuto dallo stesso regista, e dalle regole oppressive e dai sadismi della Chiesa del Seicento. La seconda parte, invece, vede ormai, negli anni Duemila, l’antico convento e le prigioni di Bobbio trasformati in un luogo abbandonato, abitato misteriosamente da un tipo piuttosto singolare, il conte Basta, interpretato da un paradossale e sempre esilarante Roberto Herlitzka.

Lo spettatore viene dunque sorpreso dal passaggio da una rielaborazione d’epoca, che ricorda la storia della Monaca di Monza, a un’analisi contemporanea, con momenti da commedia, dei poteri occulti e della crisi di ogni autorità, in un’Italia segnata dagli scandali. Nel passaggio dal Seicento ai giorni nostri, ritroviamo alcuni personaggi dell’episodio precedente, a partire dal Federico Mai di Pier Giorgio Bellocchio, diventato ora un truffaldino di basso profilo. Nel finale, le conclusioni dei due differenti racconti si intrecciano, nella sceneggiatura di Marco Bellocchio, ritrovando un’intensità e una forza emozionale che si erano un po’ perdute nella seconda parte del film.

Fanno parte del cast anche Lidya Liberman (la suora Benedetta, colpevole di avere amato un prete poi suicidatosi), Toni Bertorelli, Alba Rohrwacher, Federica Fracassi, Filippo Timi (in un ruolo comico e grottesco), Ivan Franek, il poeta Alberto Bellocchio ed Elena Bellocchio (rispettivamente fratello e figlia del regista).

Da ricordare alcune scene di rara bellezza visiva, in equilibrio fra inquadrature, fotografia di Daniele Ciprì e musiche inedite e originali (strepitoso l’utilizzo della canzone “Nothing Else Matters”). Non tutto si armonizza sul piano narrativo, in questa analisi dello scenario italiano tra passato e presente e angoscia del futuro, ma vi sono lampi visivi (Benedetta nel fondo del lago o quando riemerge, nuda e miracolosamente giovane, dopo essere stata murata viva) che colpiscono e rimangono nell’inconscio dello spettatore, a turbare ed emozionare.

 

Nella Multisala Apollo di Messina.

 

Dal settimanale Centonove Press del 17 settembre 2015.

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