"La teoria del tutto"

teoria del tutto
Candidato a cinque premi Oscar, “La teoria del tutto” racconta la storia fuori dal comune dell’astrofisico Stephen Hawking. La sceneggiatura di Anthony McCarten trae spunto dal libro “Verso l’infinito”, scritto da Jane Wild, sposata per 25 anni con lo scienziato di Cambridge, dal quale ha avuto tre figli. Venticinque anni difficili, quasi eroici, a causa della malattia degenerativa che ha colpito Hawking. Un uomo che non si è arreso di fronte al male che ne ha imprigionato il corpo, divenendo uno scienziato di fama mondiale, autore di bestseller come “Dal bing bang ai buchi neri. Breve storia del tempo”. Già regista di “Man on Wire – Un uomo tra le Torri” (Oscar come miglior documentario nel 1998), James Marsh dirige il film in equlibrio tra elementi sentimentali, colpi ad effetto, fascino della narrazione e qualche caduta nel convenzionale, puntando soprattutto sulla forza interpretativa degli attori. Se lo Stephen Hawking di Eddie Redmayne si segnala per l’adesione totale sul piano fisico ed espressivo al personaggio, con buone probabilità di vincere l’Oscar come migliore protagonista, non è da meno Felicity Jones, una Jane ricca di forza di volontà e di conflitti interiori. Una donna capace, dolorosamente, di comprendere quando è il momento di arrendersi a un destino ineluttabile di separazione dal marito, dopo anni di lotta contro la malattia alla ricerca di una “normalità” impossibile da raggiungere. Con la sua fattura impeccabile, dalla fotografia nostalgica e avvolgente di Benoît Delhomme alla musica (coinvolgente ma a tratti retorica) di Jóhann Jóhannsson, “La teoria del tutto” colpisce per la combinazione di dolcezza e asprezza, invitando lo spettatore a farsi sorprendere dai miracoli del vivere. Tuttavia, la storia ricalca sentieri già battuti, sul piano narrativo, e mira ad assecondare lo spettatore senza scompaginarne le certezze.

Marco Olivieri

Dal settimanale “Centonove” del 12 febbraio 2015

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