Carteggi di viaggio: Octavio Paz

Octavio Paz e le cisterne di Ustica

di Nicola Romano

Anni fa, leggendo il volume «Vento cardinale e altre poesie» del poeta messicano Octavio Paz, m’imbattei  con mia meraviglia nella poesia intitolata “Ustica”, un testo sorprendentemente attento e minuzioso che in base ai suoi versi mi fece intuire che il poeta avrebbe fatto un non breve soggiorno in quest’isola dal momento che dimostrava di averne assimilato con esattezza l’anima e quasi tutti gli aspetti storici, ambientali e naturali, anche perchè da Ustica non si passa, ma si va di proposito; solo nell’antichità rappresentava una tappa intermedia per i navigatori che dall’Africa dovevano raggiungere determinate città del Mediterraneo.

Ricordo che nella speranza di sapere qualcosa di certo, chiamai alcuni amici usticesi, e soprattutto i due fotografi amatoriali “ufficiali” che rispondevano al nome di Nino Bertucci e di Bruno Campolo, ma questi non seppero dirmi nulla, sia perché in verità Paz allora non era molto conosciuto e sia perché non è che gli usticesi fossero molto attenti ai personaggi che avrebbero transitato nell’isola, a meno che non fossero personaggi famosi dello spettacolo come Gina Lollobrigida, di cui esistono ancora foto sugli asinelli, aiutata dal vigoroso Camillo Padovani, detto per l’appunto “Camillone”. Chiesi pure a Padre Carmelo Seminara, parroco di Ustica per 54 anni, ma i suoi interessi culturali erano rivolti soltanto ai reperti archeologici dell’isola.

Sta di fatto, insomma, che nella suddetta poesia di Paz ricorrono i vocaboli “aduste”, “sole”, “arrossato”, “acceso”, “fulvo”, e noi sappiamo che il nome Ustica può probabilmente derivare dal latino “ustum” (bruciato) che giustifica la sua formazione lavica a seguito dell’esplosione d’un vulcano sottomarino, ed il cui particolare riferimento lo troviamo anche in altre espressioni come “pigna di lava”, “rupe dirupata”, “rocce color zolfo”, “materia raffreddata”, “goccia di sole pietrificata”. Altri sintagmi presenti nel testo come “osso”, “ossario”, “morti” richiamano l’altra possibile derivazione del nome Ustica da “osteòdes” (ossa), forse dovuto al fatto che ai tempi delle guerre puniche migliaia di legionari che si erano ammutinati ai Cartaginesi (per il semplice fatto che a un certo punto non vennero più pagati) furono abbandonati sulle coste usticesi senza acqua né cibo, trovando sicura morte e lasciando come testimonianza del loro passaggio una bianca catasta di ossa. E come non dare rilievo ai seguenti versi: Di notte s’ode il respiro delle cisterne, l’ansito dell’acqua dolce turbata dal mare… se è vero che chi soggiorna ad Ustica (e a me succede da venticinque anni nel tempo d’estate) sente di notte il gorgoglìo dell’acqua che scende nelle cisterne private, praticamente acqua dolce pompata dalle navi ancorate all’approdo di Santa Maria, navi che durante lo scarico possono risultare cullate dal mare quando questi non è proprio calmo. E agli unici e singolari tramonti che tendono al verdognolo e che si godono dal Passo della Madonna in direzione dello Scoglio del Medico potranno sicuramente riferirsi i versi L’ora è tarda e rigata di verde e La luce s’inabissa. Così come il Nostro si sarà fatta la bocca buona col vino di Ustica (che insieme alle lenticchie costituisce i prodotti tipici del luogo) se, leggiamo, Il corpo scuro del vino assopito nelle giare oppure Se allungassi la mano spiccherei un grappolo di verità.

A soddisfare in parte la mia feroce curiosità, nel 2006 è giunto un articolo di Laura Scarabelli, allora ricercatrice di Letterature comparate presso la Iulm di Milano e specialista di Letterature Ispano-americane, pubblicato sul numero 23-24 della rivista Lettera, del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica. La Scarabelli suppone che la visita di Octavio Paz a Ustica sia avvenuta tra il 1958 e il 1962, in compagnia dell’amante Bona Tibertelli de Mandriagues, pittrice d’ispirazione surrealista e nipote di Filippo De Pisis. Una pittrice- aggiungo io – le cui opere godevano d’un taglio metafisico e visionario, “con una forte radice tellurica ed erotica”, e quindi si saranno unite le due esigenze artistiche per toccare con mano una realtà che avrebbe appagato il desiderio di solitudine e di ricerca dei contrasti in Octavio Paz e il coinvolgimento nel mistero creativo della sua amante.

E comunque sia la visita a Ustica non fu solo propedeutica per altri viaggi in Italia, ma fu soprattutto l’inizio di un feeling con la terra siciliana se nel 1989, seppur già pubblicato ma ancora poco conosciuto nel nostro Paese, gli fu conferito il “Premio Mondello” per la letteratura, a seguito dell’uscita per Garzanti della raccolta di saggi sulla storia contemporanea Una terra, quattro o cinque mondi. E il battesimo siciliano fu di buon auspicio se l’anno seguente gli fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura. Da quel momento in poi risulterà molto diffusa in Italia l’opera di Octavio Paz, e la sua contiguità con la Sicilia è continuata dopo la sua morte avvenuta il 19 aprile del 1998 a 84 anni di età, se l’editore Armando Siciliano di Messina ha pubblicato nel 2006 il volume Libertà sulla parola.

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USTICA

Il susseguirsi dei soli d’estate

la successione del sole e le sue estati,

tutti i soli,

il solo, il sole di soli,

divenuti ormai osso caparbio e lionato,

nubi tempestose di materia raffreddata.

Pugno di pietra,

pigna di lava,

ossario,

non terra,

nemmeno isola,

rupe dirupata, pesca petrosa,

goccia di sole pietrificata.

Di notte s’ode

il respiro delle cisterne,

l’ansito dell’acqua dolce

turbata dal mare.

L’ora è tarda e rigata di verde.

Il corpo scuro del vino

assopito nelle giare

è un sole più nero e più fresco.

Qui la rosa delle profondità

è un candelabro di vene rosee

acceso in fondo al mare.

A terra, il sole lo spegne,

pallida trina calcarea

come il desiderio inciso dalla morte.

Rocce color zolfo,

alte pietre aduste.

Sei al mio fianco.

I tuoi pensieri sono dorati e neri.

Se allungassi la mano

spiccherei un grappolo di verità intatte.

Giù, tra rocce scintillanti,

va e viene il mare pieno di braccia.

Vertigini. La luce s’inabissa.

Guardai il tuo viso,

mi affacciai sull’abisso:

mortalità e trasparenza.

Ossario, paradiso:

le nostre radici annotate

nel sesso, nella bocca sfatta

della Madre sepolta.

Giardino di alberi incestuosi

sulla terra dei morti.

Un pensiero su “Carteggi di viaggio: Octavio Paz

  1. Assopito sulle giare/ questo è il bosco e lo spicchio/di giungla e verità/ nel grappolo/ di bromeliadi nati/ da Ramide Semyour/ il nome amico del romanzo/ seppure collegato al libro/ che fu vece di mondo infero di maggio/ e di vita la bellezza ai gerundi/ impegnati e verdi regni/ che non sono i Re/ ma tutti i degni.

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