J.R. Wilcock – poesie

J R Wilcock

Dopo tanto silenzio, con grande piacere noto che tra gli addetti ai lavori si torna finalmente a parlare e prestare attenzione all’opera vastissima di J.R. Wilcock, di cui trascrivo una selezione di testi tratti dalla raccolta Adelphi del 1980, pagg. 233.

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24.

Due case avevano per confine un ruscello,
di qua viveva una pazza, di là un bambino,
e si parlavano da una riva all’altra.
Quello è un racconto, leggilo, di amore puro
se qualcosa di puro c’è nell’amore.
Parlavano di piante e di furetti.

*

31.

Adesso sono completamente solo,
adesso che mi riempi l’universo,
questo allegro universo in espansione
con galassie, cefeidi, supernove,
e tu dietro ogni grado dello spazio,
che a una parola tua si rattrappisce
e si concentra nella tua sola persona
di nuovo come un astro in pulsazione;
non ho più amici, non ho più interessi,
sto qui a studiare la tua cosmografia,
le tue emissioni radio, le tue sizigie,
più esattamente la tua bocca ed i tuoi occhi,
più esattamente quel che c’è in fondo ai tuoi occhi,
e ancora più esattamente, te.

*

5.

L’amore che fa dolce chi aspro era
non si concede ai gregari.
L’amore che ordina le varie percezioni
non resiste alle musiche volgari.
L’amore che fa azzurri l’acqua e l’aria
non può tutto transustanziare.
L’amore che dà senso al mondo esterno
ama il silenzio, la solitudine, il mare.
Tu fuso di fuoco interno,
casta rosa radioattiva,
che il transitorio in eterno
muti nella fiamma viva,
effluvio della materia
per te spirito rifatta,
e della nostra miseria
singola ricchezza astratta,
tu brace di ghiaccio emani
la tua immortalità
solo a chi ha pure le mani
dalla comune viltà.

*

4.

La saggezza non è un dono degli anni
bensì una qualità aristotelica
che si ha o non si ha fin dalla nascita,
un equilibrio fra il fattibile e l’impossibile,
una conoscenza previa alla conoscenza.
Non piove dal cielo ma con noi fiorisce;
non indifferenza ma trattenuta passione,
gioiosa e melancolica accettazione
dell’umana effimera fantastichezza.
Poche cose sa il saggio, ma le ricorda:
che l’uomo è al servizio della donna,
e questa al servizio della maternità,
e gli uni e le altre muovono perpetuati.
Inoltre esiste la parola,
con cui gli oggetti vengono nominati
e i concetti creati,
ciò che ci fa diversi dalle bestie,
un poco, ma non troppo.
Ma non è questa la sapienza da salvare
se ogni uomo in sé la può trovare.

*

3.

Non tutto è stato detto, e ciò che è stato detto
è stato tante volte dimenticato
che il mondo si direbbe appena nato
e la vita dell’uomo, e quella dell’insetto
un universo ancora da scoprire,
e il sole e l’albero che si ostina a fiorire:
tutto è così nuovo e così sorprendente
da sembrare creato di recente.
Ora viviamo con gli occhi nel passato
quasi fosse un futuro da raggiungere;
ma anche il passato è stato creato
qualche minuto prima del presente
non mèta ma ornamento, non precedente
ma complessa decorazione del minuto,
non giudice degli atti, ma teste muto.
Siamo qui dunque con la nostra esperienza
logoro strascico di pelurie e rifiuti
sulla soglia sempre dell’attimo rinnovato,
questo dono che a nessuno è negato
di scorgere un paesaggio ad ogni istante,
fra gli archi del presente un mondo luccicante
dove un’idea non fa soffrire,
nel mare immersi del puro percepire.

*

II

10.

Dobbiamo imitare i saggi della tribù,
gli anziani che impartiscono il segreto secolare;
e i saggi della folla non hanno alcun segreto
né da impartire né da occultare. Eppure:
ciascuno cerchi il suo modello,
quelli che non ne hanno sono schiavi,
come quelli che scelgono per un modello uno schiavo.
L’uomo libero insegna libertà,
il veritiero insegna verità,
il nobile insegna nobiltà.
La terra è piena di figli di nessuno;
eppure là, sulle vette dei secoli
si ergono come statue i grandi antenati
che a tanti morti diedero volto e voce.
Non troverete nel baratro un padre
ma in ciò che ancora non è stato travolto,
cospicua eredità rimasta senza eredi.

*

5.

Chi è legato alla carne deperisce,
come la carne che è in noi deperisce.
Ma la morte mentale avviene prima,
forse alla prima accettazione
di un ordine che non è concordia dei diversi
ma inganno e privilegio del potere.
Per non tradire bisogna avere cento occhi,
ma la ricompensa è la miseria.
Per non mentire bisogna avere cento braccia
ma la ricompensa è il disprezzo.
Per non essere leggeri bisogna essere leggeri
ma la ricompensa è il silenzio.
Per non essere crudeli bisogna essere crudeli
ma la ricompensa è la solitudine.
Seguire il Vangelo, non peccare in spirito
può portare in prigione, ma la prigione è aperta.

*

Spazio

Nella mia stanza non c’è nulla
tranne il fonografo e il letto:
e anche nel cuore non c’è nulla
tranne un figlio da me diverso.
Così c’è spazio per muoversi
sia nel cuore che nella stanza;
ho buttato gli stracci al fuoco,
i sentimeni li ho buttati in mare.
Non tutti hanno vuota la stanza,
non tutti hanno il cuore vuoto:
ci si può lasciare entrare
ogni mattino un mondo nuovo.

*

2.

Preghiera al caso

“Possa tutto mutare e non mutarci;
che i nostri cambiamenti siano identici,
le nostre morti simultanee”
Dev’essere un dolore intollerabile
sentir cessare la felicità.

*

  1. p. 64

Dall’erba verso il cielo slanciati steli
alzano ombrelle, complesse simmetrie
gialle con semi sullo sfondo azzurro.
Eppure laggiù, si stende la città
come una malattia della pianura,
con le sue file di case biancosporche.

E in ogni stanza un apparecchio
di metallo e di vetro con antenne:
tetri lemuri, spiriti folletti
ballano e cantano intrecciando il messaggio
segreto sullo schermo che colgono gli idioti:
non si è felici se non si è idioti.

In una gabbia del giardino zoologico
è stato visto l’ultimo animale;
nelle altre qualche schema ideologico
fa la parte del cane e del maiale.

*

  1. p. 65-66

Chiudiamo gli occhi per attraversare la strada,
chiudiamoci gli orecchi per entrare in casa,
forse così riusciremo a ricordare
quella visione lontana di un mondo di foreste
e laghi e il sole tra le foglie,
autunni rossi, il rosso sotto i piedi,
crepitio di bestiole sui ramoscelli,
pensieri sparsi a caso ma privati.

E l’estate era l’uccello che cantava
dietro le persiane, nelle acque del silenzio.
Stridulo un grido, un richiamo di bambino,
non turbava le pagine del libro;
i pesci ghiotti nel fiume melmoso
disegnavano scatti, lampi d’oro.

Oggi il mare ci tende sulla riva
le sue mani rognose tra due fabbriche.

Ma ancora si può vivere, basta chiudere
gli occhi gli orecchi il naso e anche la bocca;
gettarsi avanti come sotto la pioggia,
dimentichi, protetti dai pensieri.

Le strade sono tutte polverose
le facciate delle case lebbrose
e gli urli dei figli dei portieri
tremanti ancora dell’atavico strazio,
come dapprima gli angeli, riempiono lo spazio.

L’uomo dall’uomo si difende uccidendo,
oppure, finché può, fuggendo.

*

LUOGHI COMUNI

  1. p. 15

A chi giova il piacere dei sensi? All’intelletto,
che d’altronde sopporta dolori e infermità
indipendentemente dalla sua capacità
di godimento proprio; perché non è perfetto,
e sfoggia carne e peli come altri animali,
senza mai liberarsi degli ingombri carnali,
senza essere del tutto lieto neppure del tutto abietto;
lui che sognò di volare sul mare senza confine
con dietro le spalle un paio di ali turchine.

*

  1. p. 17

Nonostante i trionfi della scienza applicata
gli strumenti migliori per osservare l’universo
sono ancora la penetrante lampada del verso,
la musica, la voce di una gola privilegiata,
oppure nella penombra delle candele sparse
il pulpito cosmatesco di diorite incrostata;
qualsiasi luce indicante dove un pensiero arse,
semplici torce o splendidi lampadari,
monasteri carpatici tra i boschi secolari,
rune d’Islanda con principi bruschi,
falli d’ambra nella foresta, sarcofaghi etruschi.
Alla luce di questi lumi l’uomo si muove più sicuro,
vede tramonti, vede le rive del mare,
e pronuncia parole il cui senso oscuro
gli si comincia infine a rivelare.

*

  1. p. 18-19

La nostra idea del tempo è ineffabile
e quella che ci vien proposta è quasi sempre puerile,
sial il tempo statico che quello misurabile,
quello che scorre all’inverso o il semplice tempo civile;
nessuna di queste ipotesi riesce abbastanza universale,
se si pensa, per esempio, a un morto o un animale.
Poiché la soluzione del problema la si trova in fondo a noi stessi,
non è facile scendere a questi recessi
il cui il tempo della materia e il tempo della coscienza
non conservano la stessa corrispondenza;
infatti non conservano alcuna relazione
accessibile alla conprensione.


  1. p. 31

Talvolta ho visto alberi secchi che irti
sul tramonto imitavano
il fogliame degli alberi viventi.
Esuli, ignorano l’estate glauca
e a poco a poco li distrugge il vento.

*

  1. p. 32

Questo silenzio che da me dipende,
echeggia pure d’infiniti dèi;
ci sono mille mondi sovrapposti
presso quell’albero fra gli alti cardi,
e questa foglia che mi vola innanzi
può sconfiggere u uomo, cancellare
un verso millenario, essere un sogno;
i mille dèi stanno a guardare l’albero
e ognuno vede un mondo, e non si vedono.

*

  1. p. 32

Come quell’erte brulle, roccia nuda
dove l’erba che aprile ha suscitato
l’aridità d’agosto non consente,
né l’elitra vetrosa dell’insetto
svolazza morsa dall’uccello assente,
è il pensiero dell’uomo finché amore
con la sua grazia azzurra e gialla e rosa
non vi si posa.

*

  1. p. 126

Mettiamo che io fossi un cacciatore
come nei tempi, vestito di verde,
e fossi uscito a cacciare qualcosa
con un’arma, mettiamo, da fuoco antica
e un cavallo qualunque, nell’Alto Lazio
per i boschi che franano nell’argilla
e scendendo con gran difficoltà
per via del cavallo dietro un cinghiale
nei pressi di un ruscello a cascatelle
avessi visto te. Non so che dire,
la cosa sembra troppo straordinaria,
eppure accade, persino a Porta Furba:
com’è, lo sanno tutti, si apre il cielo,
cala una luce che cancella tutto
cavallo, cane, cinghiale e ruscello,
tutto tranne la luce che promani,
ma questa non è luce vera e propria,
piuttosto è un caldo che penetra dagli occhi,
un sentimento fatto forma visibile,
una metafora, un abbigliamento,
vai a descrivere il viso dell’amore,
sarà diverso per ogni cacciatore.

*

  1. pag. 56

Ballano stanchi sfruttatori e sfruttati.
Con lunghe fruste girano intorno al cerchio
industriali, politici e pensatori,
ma la stanchezza di frustare è pari
alla stanchezza di dover ballare.
E nel centro, follemente contenti,
ballano i giovani, ignorando i lamenti.

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Un sole rosso e una luna azzurra
accendono di sbieco la danza infernale.
Urla si levano: “Papé Satan aleppe!”
ma nessuno ne intende ormai il senso.
La gioia è acre in questo girone
come una smorfia di disperazione.

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Arida è la terra, frastagliata da crepe,
e nelle crepe si annidano larve umane.
Rauchi, barbuti, frugano con le unghie
tra le rocce per funghi, esili insetti.
La peste li ha lasciati senza cervello,
nei crani vuoti sono entrati i ragni.
Ma loro non praticano la danza
ché sono stati già sfruttati a bbastanza.

*

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