Fabio Bonasera, “Libero, anzi no, disoccupato”, Ferrari Editore, 2015

“Siamo tutti liberi, almeno ai blocchi di partenza. Almeno alla nascita. Liberi da impegni e obblighi giuridici, etici, morali. Liberi perché non abbiamo una compagna, un compagno che pretendono fedeltà assoluta. Liberi perché non abbiamo un lavoro che ci qualifica staticamente come occupati. Liberi di dire cazzate perché tanto siamo bambini e ci perdonano tutto. Poi, crescendo, evolviamo nel ruolo … Così, diventiamo dei mediani. Condannati a faticare, a combattere ogni giorno calato giù dal Cielo per grazia ricevuta, pur di arrivare ad avere almeno un motivo valido per viverne ancora un altro”

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di Marta Cutugno

Precaria epoca, la nostra. E la formula? sempre la stessa. Densi percorsi formativi fanno da ouverture ad anni di instabilità occupazionale ed economica e certezze uguali a zero. Tanto ci sguazziamo dentro da non fare più notizia. Lo sa bene il protagonista del romanzo di Fabio Bonasera che, con sottile ironia, affronta la questione senza veli e senza mezze misure ma con tutta la profondità delle riflessioni che ne derivano. Le vicende narrate – nitida fotografia del sistema sociale del nostro tempo dalle latitanti meritocrazia ed onestà umana ed intellettuale – intrecciano la vita personale e professionale di Alighiero Riccardo in uno specifico contesto, il mondo dell’informazione che l’autore, nonché giornalista, ben conosce.

Ho optato per il giornalismo: sveglia dopo le 9, orario di lavoro concentrato nella fascia serale, niente cartellino da timbrare, buona libertà di movimento. Peccato che gli editori italiani avessero altri progetti per me…così mi hanno ritagliato su misura una vita da precario”

Ricky è un giornalista precario dalla forte personalità e dai mal di pancia premonitori che accompagnano una scottante inchiesta. Con astuzia, riesce a mettere insieme importanti documenti che attestano attività illecite e corruzione da parte degli “intoccabili” di turno. Come accade a chi osa profanare il perimetro dei favoritismi politici, puntuale giunge il prezzo da pagare, nel caso di specie, il mancato rinnovo del contratto. Per non incorrere in tali conseguenze, giustizia e amor di verità avrebbero dovuto soccombere in favore di omertosa “prudenza” ed indifferente “buon senso” ma il nostro personaggio non vuole proprio saperne e decide di non piegarsi.
Il racconto corre velocissimo, ornato da descrizioni al limite del maniacale, da irriverenti epiteti affibbiati ad amici e conoscenti, da cocenti metafore che non risparmiano nessuno. Lontano da ogni retorica, Bonasera offre all’idealista Ricky non una ma tante vite ed è per questo che è molto semplice, per il lettore, riscontrare diversi punti di personale contatto. L’immobilità dinanzi ai poteri forti non esula da nessun contesto, men che meno dal giornalismo che “oggi non esiste più. La gente che tenta di farlo seriamente è tagliata fuori perché, per farlo bene, non bisogna avere padroni. E senza padroni, oggi, si rimane ai margini”.

La presenza delle donne, nel romanzo di Bonasera, è funzionale alla comprensione del carattere più intimo del personaggio principale. Attraverso l’analisi di legami diversi, alle volte opposti, con l’universo femminile, è possibile cogliere mille sfaccettature tra incontri furtivi, sveltine da garage, scenate di gelosia, istanti di sincero abbandono ed un finale che non ci si aspetta. Non esiste precisa definizione per ciò che lo unisce a Bronte: “Ma cosa siamo? cosa siamo io e te?…Condannati a questo reciproco bisogno, perennemente irrisolto. Incapaci di rinunciare l’uno all’altra. E incapaci di fidarci, fino in fondo, l’uno dell’altra”. In parallelo, c’è l’Amore come dolcissima perdizione per una ragazza incontrata per caso ad una sagra paesana del Basso Polesine, Maria Sole che era andata dritta verso lui come “creatura tentatrice, travestita da angelo”. Sullo sfondo c’è l’amara e perenne consapevolezza di quanto sia difficile conciliare ottimamente sentimenti e prospettive per il futuro con “uno a cui nessuna banca farebbe mai in prestito. Uno costretto a girovagare alla ricerca di un posto di lavoro per … non dover chiedere niente a nessuno. Per poter mantenere intatta la propria dignità“.

E come in un paradosso temporale, il rientro nell’ amata/odiata terra d’ origine, “un viaggio indietro nel tempo, un viaggio alle origini del male“, lo trova immerso e nel contempo sradicato: Ricky aziona la macchina dei ricordi, rivive spassosi momenti insieme ai vecchi amici, richiama alla mente i primi amori, celebra il suo attaccamento nei riguardi della famiglia e l’amore per i suoi nipoti.
Con piacevole, simpatica leggerezza e peculiare ricchezza di spunti, Fabio Bonasera compie un valido esercizio di scrittura e di coscienza, tracciando debolezze, frustrazioni ed impotenze del cittadino medio dinanzi ai grovigli burocratici e al perseverare delle “dinastie” che contaminano parlamenti, tribunali, università, redazioni, ospedali, riuscendo, così, a dare voce a chi, nonostante ripetuti sacrifici, non vede riconosciuti meriti, diritti, dignità.

“Per anni avevo scritto centinaia di articoli sui tanti disservizi cui vanno incontro i contribuenti, sulle calamita quotidiane in cui incappano i pendolari, sui salari troppo bassi dei metalmeccanici e non solo, sulle disavventure della gente comune…poi la svolta..ero diventato uno di quelli. Per anni, avevo scritto, parlato, raccontato di me…e non lo sapevo”.

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