Pietro Russo

a cura di natàlia castaldi

Pietro Russo, nato nel 1986 a Catania dove vive. Insegna materie letterarie nei licei e negli istituti tecnici e lingua e cultura italiana agli stranieri. Collabora con varie riviste, blog e webzine con articoli di critica letteraria, cinema e arti visive. Nel 2013 è uscito per i tipi di Bonanno Editore il saggio La memoria e lo specchio. Parole del Petrarca nella poesia di Sereni. Alcune sue poesie tratte dalla raccolta A passo strabico, allo stato attuale in fieri, sono apparse su Poetarum Silva, L’estroverso, Fonti coperte – L’Unità, PordenoneLegge – Il censimento dei poeti under40.

Testi

A passo strabico

La misura del passaggio

A occhio e croce
penseresti a due pellegrini fuori posto
in ritardo di un millennio. A passo d’uomo
o quasi, tra Reggio e Lagonegro
dove l’autostrada divide le scarpate
dalla costa, o taglia da una parte all’altra boschi
frutteti campi aperti. Lì fuori
indovino mondi
possibili nel fondale delle diottrie. E
papà, la paura di volare, nei chilometri toccati
si fa radice verticale, attrito
che misura le distanze che riscatta
in qualche modo il nostro tempo – questo
affondarci almeno un piede e tenerlo
a terra, e l’altro strabico, con permesso di deviare.


Terminale

Dublino, dice come se avesse detto Pisa
o Montpellier o Sidney, non più nomi sull’atlante
sbocchi propizi, luoghi che per altri
si chiamano Milano e Vietnam e Appennino emiliano.
Li vedo davanti a un enorme tabellone
ognuno di loro impietrito per qualche minuto
per qualche istante perso come chiunque
dietro quella babele alfanumerica, dietro
la stessa idea plurilingue da seguire:
Departures Vertrek Départs Abflüge.
Si confondono così geografie per chi rimane.
Per quelli che agitano un fazzoletto bianco
e cercano solo di non farsi stritolare dalla storia.


Mille e una morte

Ti so all’incrocio tra cardo e decumanus
nel pallino rosso che pulsa
sullo schermo, fra quarantatre anni
con largo margine di approssimazione.
Ho un numero tondo a quella data, nessun capello,
vincente al cinquanta l’altra metà
spulciabile nel curriculum
e il dubbio è ancora chi o cosa sei,
la tua natura d’angelo o peripatetica sui viali,
di passante forse, comunque imprecisa.


Testamento

«Vi lasciamo questo conto alla rovescia
di anno in anno, gli auguri il brindisi a capodanno,
un pugno di speranze contraddette dagli oroscopi
e che altro ancora? Rimanete imbronciati
se volete, ve lo concediamo, siete e sempre sarete
i nostri bambini. Noi i padri, voi ciò che resta.»


Questo non è Magritte

Sogno (dunque sono?) rovine antiche,
iscrizioni in lingue morte e morti
tutti tranne io come sgomento, privo
della chiave, del chiavistello
quando mi sveglio solo di rapina
estorco un senso in buona fede
faccio quantomeno finta di crederci.


Motrice

Questa notte dimentico l’artrite, la cervicale
infiammata, stavolta mi lascio andare
vieni, ti dico, usciamo sotto le bombe
vediamo se riescono a prenderci ma non credo
i droni mentre danzano sulle nostre teste,
muoviti, così, mi muovo anch’io, guarda,
scomposto, scoordinato, non importa
è il movimento che vanifica la mira
se stiamo fermi è già una fine, lanciamoci
ancora per questa notte, poi si vedrà.


No Time No Space

Si riduce a uno spazio da occupare
se allargo le gambe, le braccia, stendo i muscoli
fino allo stremo, a farmi male, o seduto
o se rannicchiato in posizione fetale
la notte quando si ripete lo stesso non-sogno.
Padri nostri il physique du rôle, la padronanza
che avete di stare in ogni caso sulla scena
non è scritta in cielo in terra
e neanche sul copione, ve la invidiamo
rachitici e goffi di lunga data. È questo
che reclamiamo: una libertà di defilarci,
di non sapere quello che vogliamo.


Pietra

Trenta volte avrei dovuto rinnegarti
strozzare il gallo con le mie mani
se avessi saputo, se almeno fosse finita
in quell’alba o con uno scherzo… E quella voce
dal freddo delle galassie mi scruta
seziona ogni millimetro la voce
tremenda con cui mi chiami: «Pietro,
tu mi ami?» Fosse stato maledetto
il mio nome «… su questa pietra…»
avrei dovuto spaccarmici la testa, lasciare
che il sangue mi abbandonasse a fiotti
o cingerla al collo e giù nel primo fiume.
La tengo tra le mani, la soppeso, la interrogo
invece, il suo silenzio come le tue parole
mi spaventa la sua compattezza, già
dirama in sé una cattedrale mentre mi sgretolo.


Finale

La palla che esce dai polpastrelli
mentre beffa l’attimo scolpito dalla luce, la sirena
– e gira…

Lo schiaffo secco del nylon
quando entra.

Seguono volti amici, tutt’intorno, deformati
da una gioia che risale i millenni
il trionfo. Non poteva essere un altro il finale
lavorato per anni in una stanza. Assoluto.
C’era in palio molto più di adesso.
Nemmeno erano contemplabili
una tempistica diversa, il ferro,
un tremore inopportuno del polso.


Per nome

Mettiamoci d’accordo su questo almeno
non è uguale a sé stesso il tempo
c’è tempo e tempo e per ognuno
un nome diverso, anche quello
dove non stiamo insieme si deve battezzare
assieme al tempo mai avuto, il più brutto
come quello che non avremo.


Rispondi