Nicola Romano

a cura di Cinzia Accetta

Nicola Romano è nato a Palermo, dove risiede. Giornalista pubblicista, dal 1987 al 1996 è stato condirettore del periodico «insiemenell’arte»; attualmente collabora a quotidiani e periodici con articoli d’interesse sociale e culturale. Con opere edite ed inedite é risultato vincitore di diversi concorsi nazionali di poesia, tra cui il “Rhegium Julii”, il “Città di Como”, il “Giorgio La Pira”, “Sìlarus”, “Poesia in Aspromonte”, “Anteka”, “Emilio Greco”. Alcuni suoi testi hanno trovato traduzione in esperanto e su riviste spagnole, irlandesi e romene. Nel 1997 ha partecipato, su invito, ad incontri di poesia in Irlanda insieme all’attrice Mariella Lo Giudice ed ai poeti Maria Attanasio e Carmelo Zaffora, con lettura di testi a Dublino, Belfast, Letterkenny e Londonderry. Nel 1984 l’Unicef ha adottato un suo testo come poesia ufficiale per una manifestazione sull’infanzia nel mondo svoltasi a Limone Piemonte. Tra le sue ricerche, particolare attenzione ha prestato ai poeti Vittorio Bodini, Raffaele Carrieri, Leonardo Sinisgalli, Giorgio Caproni, Alfonso Gatto ed allo scrittore Antonio Russello. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: I faraglioni della mente (Ed. Vittorietti, 1983); Amori con la luna (Ed. La bottega di Hefesto, 1985) con prefazione di Bent Parodi; Tonfi (Ed. Il Vertice, 1986); Visibilità discreta (Ed. del Leone, 1989) con prefazione di Lucio Zinna; Estremo niente (Ed. Il Messaggio, 1992) con una nota di Melo Freni; Fescennino per Palermo (Ed. Ila Palma, 1993); Questioni d’anima (Ed. Bastogi, 1995) con prefazione di Aldo Gerbino; Elogio de los labios (Ed. C.Vitale, Barcelona, 1995); Malva e Linosa, haiku, (Ed. La Centona, 1996) con prefazione di Dante Maffìa; Bagagli smarriti (Ed. Scettro del Re, 2000) con prefazione di Fabio Scotto; Tocchi e rintocchi (Ed. Quaderni di Arenaria, 2003) con prefazione di Sebastiano Saglimbeni; Gobba a levante (Ed. Pungitopo, 2011) con prefazione di Paolo Ruffilli.

Testi

D’IMPROVVISO LE FORME

Chiuso nel buio
di un lungo dormiveglia
misuro indefinite lontananze
il fiato che si scalda sopra i polsi
e il silenzio che fa tanto rumore
Non so capire: ascoltavamo nuvole
ed intanto andarono stagioni
e non sapemmo giocare
con le brezze ed i fragori
del cielo quando giunge la tempesta
che stacca i parapetti al lungomare…

… poi sopraggiungi qui
come un album scovato nel cassetto
nell’umida mitezza della sera
sei basola coperta dalle foglie
d’improvviso hai le forme
di un’orma incastonata nella neve
Pesa molto fermarsi
a carezzare i bordi d’un pensiero
ora che siamo fiacchi su ogni fronte
e d’altre schiume è fatta la marea
Pesa tanto (mi credi?)
assumerti nell’area dei ricordi
e tra rabberci e avvisi da pagare
dovere maneggiare la tua assenza…

… e chissà per quali sponde o labirinti urbani
la voce tua promuove un altro incanto
nella sera che senza fretta mescola parole
e sulle labbra scendono i pensieri
tra i fumi della broda nel lavello
e chissà se nuovi angeli ti parleranno al cuore
nell’inverno che d’infinito veste ogni gran pioggia
senza colore a picco sulle pietre
Breve stagione fu l’amaro dire se
via dicendo è un albatro che muore
sotto un cielo impossibile e stregato

Poi tutto tacque
e dolce fu il silenzio
come di bimbo al sonno della sera


SOLITARIA

Cartavelina e rondini migrate
sulla tastiera smorta della stanza
e fino a sera
stringo la memoria
del vento
che si gonfia nella tenda
Non c’è traccia di Orsola e madonne
per accordare il cielo alla mia mente
sul cane ancora
il muso della notte
e già spariglia il tempo alla ragione
Scordare ieri
agapi e canzoni
spinte in gravìne di malinconia
scordare il cuore
tra i giornali vecchi
(febbraio e il tuo vestito
sulla sedia!)
E nasco oggi senza più sonagli
nella mediocrità dei sogni nani.

Di pietra.

Come un angelo del duomo
che a sera spegne i santi
e le illusioni


L’ANSIA DEL PORTO

Io non conosco l’onda
che di notte scarroccia e si dimena
sotto il lucore muto delle stelle
né al distacco conosco
l’umido serpeggiare di gomene
dalla banchina dove inizia il mare

Parlami tu
del soffio che tracolla
in basso alle fiancate
mentre incupa la sera
che si torce fra le schiume
e dimmi ancora
l’alba che tinge rosa la carena
o la serena brezza che consola
quando una luce avanza
riducendo
l’ansia del porto
ed un tramonto dona
fili di rosso sangue
alle mangrovie


IL MIO RIONE

Il mio rione
ha voci di altre bocche
e i panni che non hanno più i colori
delle mie corse sul cemento a quadri
per cogliere un pallone
finito dentro al piscio dei cavalli
Il mio rione
ha la boutique dei fiori
dove prima una vecchia
scuciva il davanzale
per salutare bene
mia madre che con passo di cicoria
tornava dagli spruzzi del mercato

All’angolo che smemora stagioni
i ragazzi non sanno che i portoni
m’hanno prestato il buio a nascondino
e la canèa ai lati d’un carretto
per barattare un mestolo bucato
con l’uomo che sgolava i suoi canditi

Il tempo che annerisce sulle case
ha rastrellato immagini a un diario,
del mio rione resta solo il nome
e il cuore di mia madre per fanale


RIGHE D’AUTUNNO AL PADRE

Parlare con i vivi non mi basta
e allora torno a te
con il silenzio sciacquoso dell’approdo
per dirti
che il mio tempo ormai vaneggia
e i mesi sono come la marea
che batte nelle tempie e spinge dentro
senza riparo
insorda pure il cuore
Qui tutto si riduce ad un frammento
piove veleno
nascono babele
più non convince il fabbro del presepe
Il giorno nasce
(e più pensosa fa l’aria l’autunno)
per scrivere sui vetri
un abbandono
ed ogni sera
moriamo senza un fiore


LA MAGIA DELL’OMBRA

Da questa vena fradicia d’inverno
dove la pioggia
è linfa del mio cielo
ti parlerò della magia dell’ombra
che appesantisce la malinconia
eppure alcova rapinata al tempo
in cui rifugia una stranìa d’amore

Ombra che tace
al rullio del cuore
confuso in mezzo ad angeli e sparvieri
ombra che svaria prossima e lontana
buia sorella delle forme mute
come viaggio
senza una parola

Ombra che grida il nulla e lo scompone
in geometrie di bestie
e grattacieli
tana di vento lungo alla memoria
sferza che serra palpebre al pensiero

Ombra di miele
stesa sui sospiri
tenera come il vespro degli amanti
lingua di luna vergine sul faro
curvo sulle calanche della sera


ELOGIO DELLE LABBRA

Cadenza di passi:
è la luna che avanza
sulla punta segreta dei monti
il giorno si specchia nel branco
il grappolo spacca odoroso
sulle labbra del vento
la notte rimbalza di fianco
impaurita dai fulmini bassi
si perde nel nero fumante
e ti penso all’aurora

Meridiana di gelo:
t’aspettavo di fuoco
nel mezzo dei bianchi guanciali
che prendemmo in affitto
quando un prato di lino
era mare di grano maturo
da strappare alla noia
e le labbra impastavano acqua
zanzare d’agosto e capelli
i capelli sfuggiti al fermaglio
che scordasti in toilette

Sanguinava d’inverno la stazione:
le colombe del binario quattro
beccavano minuzzoli e parole
calde come il saluto degli amanti
finché nel verde negro della sera
si strinsero le mani
come labbra


MOMENTO UNICO

Perduti tra le corde del tramonto
tienimi la mano
come il sorbo
legato alla sua terra
e mentre un gregge
bela verso il mare
dimmi dell’aria morbida che nutre
le tue parole
placide e straniere
mite riparo
al giorno che conclude
il lieto viaggio
fino a queste plaghe
Bianca è la sera
come la mia marna
e se finiamo frasi con un pianto
è per la serie di favole inattese
che mutuano incredibili stupori
rotti soltanto
(ora che cambia il vento)
da un olezzo di pesce lavorato


DISPACCIO DOZZINALE

I.
Celeste compare la sera
al calore di luglio
che ha sciolto le case
Il giorno ha contato faville
sui grappoli acerbi
inchiodati nell’aria

*

II.
Tenersi stretti
all’unico pilastro
se intorno tutto cede
finché ritorni dono
l’incauto disattendere
la litania dell’onda

*

III.
L’erba del mare
solletica la chiglia
al chiarore che salpa senza mèta
Riporterà coralli seducenti
o solo un filo d’alga
sulla schiena

*

IV.
Neri puledri
discendono alla spiaggia
chiamati al vaticinio di sirene
Perderanno colore le terrazze
e sarà la mezza luna
come un seno impettito nel cielo

*

V.
Decidere i soccorsi
per un po’ di catrame alle caviglie
ci trova impreparati
nell’ora che s’impone ai mutamenti
mentre tutto risacca
e dire non vorremmo l’abbandono

*

VI.
Non c’è traccia di fiume
in questo bosco esausto
a rivelarci l’aritmia dell’acqua
Ti spedirò due foglie accartocciate
ed un tormento di cicale
sui pinastri

*

VII.
Son cresciuti i ragazzi
hanno gli occhi nel sole
e le guance scarnite dalla brezza
Nino smonta le barche dal tramonto
e si governa il ciuffo
innamorato

*

VIII.
Chiudendo gli occhi
naviga un nerischio
come di fotogramma consumato
Ho rischiato due forche di memoria
se non fossi tornato
a ritrovar la luce e il suo presente

*

IX.
Vuoi chiamarlo destino
questo bivacco sotto poche stelle
ma io martello attimi e ti porgo
i miei traguardi chiusi in una mano
e scusa se con l’altra
lenisco qualche morso di zanzara

*

X.
Glissare l’evidenza
ormai è un gioco meschino
che fa sentire amaro pure il miele
Fiaccò il cuore la rabbia
(qualche amico è colluso)
e il passo fa carambola fra i muri

*

XI.
Ascolta per favore
il calpestio del vento sopra i prati
se ti coglie l’incanto
del senso da trovare ad una vita
se ti cattura un volo
di rondini dirette all’abetaia

*

XII.
La tua voce scarlatta
per diradare la foschia del lago
e la pelle tua bruna
per sfiorarla in un tasto di pianola
Nella notte sospesa
i tuoi capelli come segnalibro


QUESTIONI D’ANIMA

A un certo punto – sai – esattamente al punto
in cui i tuoi anni
sono ruote di carro sopra i sassi
e i sogni d’una volta sono meduse
che sgonfiano se tolte al loro mare
all’anima non torna altra fortuna
che caricarsi
il mondo e la sua pena
e senza più anticorpi si consuma
gli strazi delle guerre pur lontane,
gli orrori, (le paturnie universali),
il groppo degli amici, il cielo nero,
le sorti più vicine e tutto quanto
avventa il fiato e innesca un’altra pena

e

a un certo punto – sai – esattamente al punto
in cui i tuoi anni
sanno di barche spinte sulla sabbia
all’anima non corre altra ventura
che assumere
del tempo la sua pena
e nuda di corteccia si consuma
i resti dei notturni devastati, l’orda incivile
e la logica che scade
dentro ad un putiferio di stagioni

e

a un certo punto – sai – per dire
che hai deciso un solo istante,
vorresti poi morire a mezzogiorno
per non subire almeno
quell’ultimo tramonto


 

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