Enrico Fraccacreta

a cura di Pasquale Vitagliano

Enrico Fraccacreta, poeta e scrittore, è nato a San Severo nel 1955. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia: I nostri pomeriggi (Scheiwiller, 1995), Tempo Medio (Bastogi, 1996) e Camera di guardia (I Quaderni del Battello Ebbro, 2006).
Fraccacreta è anche l’autore di una fortunatissima biografia narrativa dedicata al suo grande amico d’infanzia Andrea Pazienza. Il libro in questione si intitola Il giovane Pazienza (ZeroZeroSud, 2000 – Stampa alternativa, 2001).
Nel 1995 Enrico Fraccacreta ha vinto il Premio Montale per la poesia inedita. Alcune sue poesie sono state pubblicate su Astolfo ed altre importanti riviste letterarie.

Testi

Chi attese all’angolo della sventura trent’anni prima
nell’ora della guardia abbassata del crepuscolo
che al mio paese timbra i pettirossi,
vide la luce arancione dalla persiana
sospettare la sequenza a ritroso nei fossi
dove è diverso l’odore dei tigli.


Quando tornano in formazione sparsa,
sette nuvole prima della sera,
ne parlavano le pietre:
credono d’esser guariti
e sono tornati da molto lontano
fischiando in strada
il vento delle stazioni.
Erano loro
dietro le persiane semoventi,
il più vecchio di quel nugolo di passeri
era il loro passaggio
il rombo delle decappottabili sulla provinciale
era la loro visita
nel modo come i risvegli annunciavano
interrotti i profili sconosciuti
erano i loro occhi
le castagne abbattute sui tornanti
e guadavano sulla strada
le istantanee del tempo quando ancora
s’abbassava un poco ad ascoltarli
nei cristalli dei saluti.


Si levava ad ogni turbamento
su ogni divina penitenza,
nel fruscio del mattino
quando toglieveno le frasche
sfrondando il cuore dai sospiri,
appariva tra gli ulivi
nella cornice della camera
con lo sguardo che seguiva sino a scuola
quando mi calavo dal terrazzo
col suo laccio di misericordia.
Noi tornati dal sottobosco
sotto il pulsare di un cedro debole
l’abbiamo vista poche volte, forse tre
forse solo sentita
in mezzo al grande tentativo
sul crinale doloroso della chiocciola,
colei che passa sul cammino.


Ci manda tuo nonno, dicevano
tenendosi gli angeli
per futuri risvegli,
lanciandoli ai figli
che non tornano a casa.
Perché è sempre lo stesso
il vento perso del passato
senza una riga netta
lasciata sul capo.


Nella camera schiusa dove il segreto
era una sagoma indecisa sulla porta,
il mio involucro cresceva
con le tempie tese gli occhi verdi
di chi sogna sotto la pineta,
si voltava tardi
come ad una richiesta d’aiuto.
Non fosse stato per l’odore dei gelsomini
non avrei saputo riconoscerlo
distratto dai tappeti gialli sotto i pini
da un frate cercatore lungo la statale
la strada degradava verso il mare
oltre i vuoti che non potevo scorgere
sulle balze che non sapevo scendere
sull’impronta delle pietre dissipata
come un velo imperlato sulla roccia
un vapore delle case una nostalgia
volata nel fumo dei camini
col colore grigio degli anni
persi per la via.
La voce parlava col silenzio
tra i lecci luccicava:
non lasciate le corolle
inseguite dal giorno
sul colle dei girasoli,
se è il volto degli uomini
consegnato alla notte
palmo a palmo i figli
batteranno l’orizzonte
per scoprirne la luce
arrossivano sui campi bagliori persi nelle valli,
ogni mia sera passata
spegneva un lume alle finestre,
dormendo nel freddo incompiuto
attendevo la love luccicare tra i lecci:
non spegnete le lampade
fuori gli usci
io passo sulle loro fiamme tremule
come una grande sofferenza,
conosco di ognuno di voli la lamina sottile
del volo schivato nel tramonto,
il riverbero sul viso
di quelle notti infantili
quando il cuore
tenuto nella destra
scioglierà il morso
seduto sugli affanni
io non tarderò
lascerò ancora della poca fede il tarlo,
sul legno trapassato riuscirà
il lampo necessario a illuminarlo.


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