Bartolomeo Smaldone

a cura di Pasquale Vitagliano

Bartolomeo Smaldone è nato ad Altamura nel 1972. Pubblica la sua prima raccolta di poesie, “Del vento e del rovescio della medaglia”, nel 2003. A questa segue Gente nel 2009, un percorso polisensoriale che si avvale, tra gli altri, della collaborazione del cantautore Max Manfredi, vincitore del Premio Tenco. Riceve riconoscimenti in premi letterari nazionali ed internazionali. Nell’aprile del 2010 fonda il Movimento Culturale “Spiragli”. Scrive e dirige, nel 2011, un’opera teatrale dal titolo “L’amato albero”, messa in scena, per la prima volta, ad Altamura nel giugno del 2011. Per la raccolta di poesie Atomi, edita da questa casa editrice, ha ricevuto il prestigioso Premio Nazionale di Arti letterarie 2011.

Testi 

 12 agosto 2006

Così arrivi , come un sentiero
come il raccolto e il buon cane
da qualche sorriso d’angelo
da tutte le pietre del mare
Per me arrivi, uomo imperfetto
come piovesse acqua benedetta
come il giusto che bussa alla porta
se dietro una luce rimane accesa
Arrivi leggera e prendi il tuo posto
un angolo d’aria
un bicchiere, un fiore
un ricamo di vento e d’aghi d’abete
ornato sulla tua pelle sottile

(alla mia piccola)


Fragile

Stanotte ti ho sognata
eri di vetro
Tutto era di vetro
fragile.
Mi salutavi da lontano
e la tua mano era di vetro
e anche il tuo sorriso
luccicava e mi diceva
“ho vinto”.
Poi ho sognato
che il vetro si faceva a pezzi
e quelle parole
cadevano tra i pezzi
e insieme il tuo sorriso
e la tua mano di vetro.
Mi mancherai.


Come mi ricorderai

Mi piacerebbe che un giorno
annusando la mia cravatta postuma di sudore
tu pensassi a me come a un padre degno
Che almeno una parola ti venisse in mente
delle tante che mi avrai sentito pronunciare
Che il gesto di un passante
un cappello che vola tra la folla
il tavolino di un bar
in una piazza
di una qualsiasi capitale
ti ispirassero brevi attimi di malinconia
E immediatamente dopo vorrei tu sorridessi
e te ne andassi libera
per cercare nell’alba
la quinta essenza dell’arcobaleno


Giugno

Sapevi che saremmo riusciti a nuotarlo
che lo avremmo diviso in due
a caccia di topi di campagna
Non che fosse scritto il nostro destino
solo il sudore e il fazzoletto intorno al collo
erano uguali, come il sole era alto per tutti
Avevi imparato ed io da te
a discernere la gramigna dal resto
e mi incantavo a seguire le curve della falce
le mezzelune che disegnavi sibilando
Ad ogni taglio secco, repentino
ne faceva eco un altro
nello stesso campo, alla stessa ora
perché quello era il nostro campo
e la storia si scriveva a giugno
Ti stavo dietro per non dimenticare nulla
nemmeno la paglia che mi volava in faccia
percorrendo lo stesso solco
per starti dentro ogni tasca
Bevevo come te, ma non ti somigliavo
tu lo facevi per sete io per piacere
e ti fermavi per necessità io per fatica
Questo ricordo, insieme al giorno che finiva
alle canestre raccolte in grandi tovaglie
ai calli che mi baciavo per farmeli passare
Lo ricordo come si ricordano le cose che non accadono
o che spariscono in fretta
o che ci stanno di traverso in testa


Ginestra

Eravamo divisi da curve
o era un’infanzia diversa
o forse era il lago di Lesina
C’era tanto verde che gli occhi inumidivano
e sul verde camminavi come una sposa
promessa al suo devoto
Parlavi poco per un dogma di discrezione
un pudore impigliato tra i capelli
che scendevano lunghi sulle pertiche spalle
Mai una volta che tu abbia detto – basta
ho anch’io un sospetto –
Di quale dubbio parli, piccola ginestra?
(ti avrei chiesto)
– che le stagioni non siano solo quattro –
E come darti torto
se questa crepa si apre su ogni muro
se anche il vento passa da ogni porta


Anna

Lasciati amare
perché il tempo non è mai troppo
e nulla ci è dato per sempre
se non quest’ultimo abbraccio.
Lascia che il mio canto ti culli
quando il sonno ti cingerà il capo
e porta con te la mia voce
perché non smetta mai
di carezzarti.


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