Enzo Rega

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Enzo Rega, nato nel 1958 a Genova da genitori napoletani, abita ora a Palma Campania (Napoli), dopo aver vissuto a lungo a Bergamo e, per periodi, a Siracusa. Laureato in filosofia all’Università di Napoli con una tesi su Heidegger interprete di Nietzsche, si occupa di letteratura, filosofia e critica della cultura. Insegna nel Liceo del suo paese e collabora con l’Università di Salerno. Redattore di “Gradiva” e “Levania”, scrive per “Poesia”, “L’Indice dei libri del mese”, “Poeti e Poesia”, “Poesia Meridiana”, “Quaderni di Cinemasud”, “Le Fate. Arte cultura identità siciliana” e per il portale “saperincampania”. Di poesia ha pubblicato: Acroniche angolazioni, Forum/Quinta generazione, Forlì 1982; Ishtar, Scuderi, Avellino 2003; Indice dei luoghi. Poesie da viaggio (e d’amore), Mephite/Laceno, Atripalda 2011. Ha pubblicato anche volumi di narrativa e saggistica, l’ultimo dei quali è Derive mediterranee. Immagini letterarie da Napoli all’altra sponda, l’arcael’arco edizioni, Nola 2012 . Nel 2014 è uscito con Zanichelli un suo manuale scolastico di scienze umane. Con Carlangelo Mauro ha curato A colloquio con i poeti: Milo De Angelis, Luigi Fontanella, Giampiero Neri, Stango, Roma 2003.

Testi

da Acroniche angolazioni, Forum/Quinta generazione, Forlì 1982

ACRONICHE ANGOLAZIONI

ma il caldo ronfare di queste campagne
ha l’estenuante torpore di arcani
ciclici
tempi
ecateo
la tua intuita rettilinearità
ancora rimuore nell’eco
dell’eterno-momento
senza eco
i figli dei padri
fattisi loro padri
rinunciarono finanche
alla feconda replica di stagioni
loro
riconsegnate
dai nuovi figli
cosa di più falso allora
delle piaghe delle nostre mani
presunte
missionarie?
– i cieli
i cieli
ci hanno tradito
mentre a sud dei nostri cuori
si compiva la tragedia
(se qualcuno chiamò
(si straziarono pure i cuori
(ma ciascuno si rinchiuse
(al sicuro
(nel cerchio della propria paura

il caldo ronfare di queste campagne

sulla faccia dello stravolto mezzogiorno
i nostri stravolti volti
disperatamente volti
a negare rivolgimenti
(ossidate prospettive

estenuante torpore del giro tutt’in tondo

anche noi
missionari del tempio
– di nuove religioni –
per tempo
il caldo seme del membro
sacrificammo al (l’atavico) tempo
– magari! –
ciclico

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da Indice dei luoghi. Poesie da viaggio (e d’amore), Mephite/Laceno, Atripalda

INDICE DEI LUOGHI – 5

Il luogo
sotto quei portici fintogotici
le cui arcate avevano cadenzato i
passi della mia infanzia
– l’abbraccio ad abbracciare tutta te tutto me
come
un
preludio
di

d i s p e r a n z a

distensio animæ
prolessi dello spirito

anticipatore tremante
pur nella pienezza del presente
del futuro vuoto:
l’arco delle mie braccia
intorno al fantasma d’una presenza

– non poté il freddo,
che pur negava – nella città di mare –
che il salino nell’aria giungesse fin là,
conservare quel tanto di noi
a future sglaciazioni

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NIENTE FIORI AL FLORIAN

giapponesi ai tavolini del
florian e un quartetto di
qualcosa, a suonare qualcosa
cornici di legno scuro alle
finestre, cornici di interni
(di legno scuro)
traffici insensati di persone
tra i giapponesi e il quartetto di
qualcosa e ombrelli in diagonale
tra un portico e l’altro
a sfidare la pioggia
velo umido e continuo
fra me e me
troppa l’acqua dal
cielo e dai fondi
ma il florian e la musica
e libri introvabili fra
donne introvabili ma
tanto tanto troppo si
frappone fra sì
(davanti al florian)
(o l’altro Caffè dirimpetto)
fra me e me

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ITINERARIO

(In una ricapitolazione di luoghi)
Non sapevo allora
partito da
questa
stanza
alle spalle al Vesuvio
(già abbandonata e poi ritrovata)
– controcampo rispetto a Napoli
(qui in fondo alla campagna
ai piedi delle montagne)
partito per arrivare alla città falce
sullo stretto
– con l’Etna controcampo all’altro vulcano
– il mare ritrovato (quello perso un giorno)
a parlare del poeta occhio di cinepresa
scarne inquadrature scarno volto sofferto novecento
non sapevo
dell’isola delle correnti
dove approdai al tuo sorriso
sotto gli occhi grandi
caldi
e prima le maschere barocche di Noto
e Ibla magnifica e nobile
calda pietra del sud
e Ortigia soprattutto punta protesa
a oriente
(Ragusa Siracusa come un gioco di parole)
nella città dei tiranni dei matematici dei filosofi
ma poi appunto più giù
punta
la punta a mezzogiorno
laddove
come le correnti – vedi dicevi i colori diversi delle acque
noi io e te ci incontrammo
per mescolarci
e scambiarci il sangue
e il sale
salario delle mia della tua (della nostra) vita

*

PLANETARIUM, GREENWICH PARK

Con i piedi sulla linea che
decide l’indecidibile
il tempo sullo scherzo di fango
che calpestano i nostri piedi
qui è l’ora zero per convenzione
ma la linea divide davvero il tempo
fra quando non c’eri
e ora che ci sei
e nel parco lui ci attraversa la strada
scavallando la linea
veloce come il tempo
ma un attimo si ferma
e furtivo ci guarda
un attimo come eterno
ci fotografa lo fotografo lo scoiattolo

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LISBONA

L’Alfama è un balcone sul Tago
fiume come mare
che va al mare
e rimane indecidibile
la linea che li divide
o unisce
ma il pensiero del mare calma
come dice l’ortonimo Pessoa
e con lui t’ho detto stamattina
di svegliarti,
Vem atéa o mar,
sì fino al mare vieni
perché anche le onde amano
vago amar del Tago
e nel mio pensiero
come al suo
vengono la tua presenza
e quella del mare
e sul mare ci affacciamo
dal balcone dell’Alfama

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