Biagio Cepollaro

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Biagio Cepollaro, poeta e artista visivo, è nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. E’stato co-fondatore della rivista Baldus (1990-1996), promotore del Gruppo 93 e tra i primi in Italia a pubblicare libri di poesia on line.

Poesia:
Le parole di Eliodora, pref. di Carlo Villa, Forum/Quinta generazione, 1984. Scribeide, pref. di Romano Luperini, Manni, 1993, Luna persciente, pref. di Guido Guglielmi, Mancosu, 1993 e Fabrica, pref. di Giuliano Mesa, Zona, 2002, costituiscono una trilogia dal titolo De requie et natura.
Versi nuovi, pref. di Giuliano Mesa, Oedipus, 2004. Lavoro da fare, postfazione di Florinda Fusco, e-book, 2006. Le Qualità, La Camera Verde, Roma 2012.

Arte visiva:
Nel fuoco della scrittura, La Camera verde, 2008,
Personali a Napoli (Il filo di Partenope, 2009), a Piacenza (Laboratorio delle Arti, 2009) e a Milano (Archi Gallery, 2009). Da strato a strato, introduzione di Giovanni Anceschi, La Camera verde, 2009; mostra all’ Antiquum Oratorium Passionis – Basilica di S.Ambrogio a Milano 2010. La Cognizione del dolore. Otto tele per Gadda, La Camera verde, 2010.  La materia delle parole, catalogo a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011. L’Intuizione del propizio, Officina Coviello, Milano, 2011. Collettiva da verso. transizioni arte-poesia, Accademia di Belle Arti di Brera, ex chiesa S. Carpoforo. Mentre il pianeta ruota è il titolo della mostra del 2013, Laboratorio Primo aprile.
E’ del 2014 la mostra Le tre vie in otto tele, Voyelles et Visions, Torino.

siti e pagine web:
www.cepollaro.it www.poesiadafare.wordpress.com http://cepollaroarte.wordpress.com/

Testi

Inediti (2013-2014)

*
occorre stabilire i confini del silenzio non rispondere sempre
non sempre essere informati fare in modo che ogni parola
sia pleonasmo a fronte di ciò che già c’è. non dicendo
di sé ma dando voce alle spalle alla schiena curva dell’intuizione
che ha percorso tutta la stanza trafiggendo in uno i molti pensieri
occorre che ogni parola distillata sia essa stessa una guardia
di frontiera che vigili insonne i confini dall’alba al tramonto
con gli occhi rivolti al silenzio sia la sua unica verità corporale

*

il corpo scrive il suo poema e lo fa a giornate
questa è la sua scansione accordata al pianeta
e alle stelle che gli coprono il sonno
ogni mattina prova a riprendere dove
di sera aveva lasciato talvolta aspetta
che asciughi talvolta mescola e sovrappone

*
occorre stabilire i confini del corpo: anche una casa
con le sue camere e le sue funzioni è una guaina
e aderisce ai suoi moti. dormire al riparo dalla pioggia
cucinando i cibi assaporando carni di altri animali
e foglie e frutti. dormire ancora dopo ogni rientro
sistemando lenzuola e coperte lavando con cura
il piatto e il bicchiere affilando il coltello per il pane
occorre lasciar passare da quei confini la notte
e lasciar mescolare i corpi perché parlino tra loro

*

il corpo sa che tra i suoi mobili confini e le strade si accumula
una gran massa d’acqua che piove dal cielo. è questo mare rovesciato
che suona la sua risacca di gocce sul legno delle finestre e sulla tela
degli ombrelli a inchiodarlo in un ascolto senza azione e costrutto:
il suo movimento vorrebbe la secchezza dell’asciutto la precisione
di ciò che non perde non si frammenta piuttosto una linea tracciata
tra due punti come un’idea illuminata nel centro da un raggio di sole

*

sotto pioggia battente il corpo coperto non si bagna
e la bici scorre con un sapere ovvio di ruote e di gomme
mentre l’asfalto e le piccole buche sono un pensiero
non visto il contesto immaginato di quest’andare
fisso davanti con lo sguardo tagliato dalle gocce
ma che lascia ricomporre dopo ogni lampione il paesaggio
pedalare è senza sforzo mentre il corpo galleggia
sul suo respiro: è una sera della vita è attraversare il bosco

*

il corpo ha conosciuto vari livelli e profondità
della luce e di ognuno ha preso biologica
nota anche dello spiraglio anche dell’abbacino
ora vorrebbe stare in una luce distratta e calma
che può continuare se stessa senza pena
per puro irraggiamento di semplice attesa

*
il corpo è come se inciampasse nella sua psiche: reazioni
non desiderate vanno a ferire altre menti allontanandone
i corpi. non si scioglie la sedimentazione degli anni
e piccole o grandi corazze difendono anche in assenza
di attacchi come tracce di parole ridotte a gesti o a tic
la mente ha tanti strati quanto l’archeologia che il corpo
porta con sé: il rettile e il bambino stanno a tavola con noi

*

il corpo controlla le provviste di cibo il livello del sonno
l’assenza di dolori i nomi pochi e fidati che fanno della rubrica
il puntello dell’amicizia gli ingredienti più umani della festa
scorre le foto dei passati momenti e ancora stupisce della forza
che ha il passato di sparire quanto più prova a far di sé testimonianza
ci rinuncia e a questa incessante di sé cancellazione si adegua o ci prova

*

il corpo nella sua vivente e distratta concretezza non si riconosce
nella collettiva narrazione che lo vuole eterno e senza increspature
e neanche partecipa di ciò che all’esterno viene posto come necessario
il prestito a rate l’interesse da pagare il saldo e lo sconto né crede
sia davvero una promozione l’indicazione truffaldina per l’acquisto
il corpo si tiene a debita distanza e appare da solo sol perché si astrae
dalla cattiva compagnia di un mondo di parole fallaci e dall’idiozia

*

il corpo non si pone problemi di metrica
a lui pertiene il respiro che dice ed è questo
il ritmo che non solo esprime ma anche lo fa
felice: il sapere talvolta ha questo potere
di dare al corpo vita quando gli dà coscienza
ed è qui la misura e il piacere della sua danza

Bruno Galluccio è nato a Napoli nel 1953. Laureato in fisica, ha lavorato per molti anni nell’industria, occupandosi di telecomunicazioni e sistemi spaziali. Ha esordito in poesia con il volume “Verticali” (Einaudi 2009) con il quale ha vinto il Premio Pisa 2009 sez. poesia.

1
esercizio lungimirante
fare calcoli sulle parti
riflettere su rimanenze
addentrarsi tra le parentesi
(sospendendo quel che premeva fuori)
e dire così addio all’eden degli interi

e impariamo che non possiamo sommarci subito
ma dobbiamo prima denominarci comunemente
conoscere la minima essenza condivisa
che ci moltiplichi

da “Verticali”

2

era come lago l’ascolto
sulle foglie del tuo raggio il compasso
l’accoglienza il riflesso

ora sagome dubbie forano le nebbie
frasi dimesse allagano le strade

verbi resi inabili al presente
non ancora diluiti nell’assenza

e cosa coglieresti se ora fossi
intenta su di un foglio ?

certo avresti misure
il cadere simultaneo del dolore
l’attrazione ancorata alla sua ellisse

da “Verticali”

3

poi liberi affrancati
sottratti a collaborazione ancestrale
all’obiettivo sottile si lasceranno
dimessi migreranno verso altri agglomerati
oppure tentati come in principio al caos
non più cellule, messaggi
in DNA cifrati soltanto
idrogeni ossigeni carbonii

inedito