Nino Iacovella

a cura di natàlia castaldi

Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel 1968. Ha pubblicato una prima raccolta di poesie nel 2001 Ballate di un giorno solo e della notte (ExCogita Editore, Milano), seguito da Latitudini delle braccia (deComporre edizioni, Gaeta, nel 2013). Dal 2011 al 2013 ha fatto parte della redazione de Il Monte Analogo rivista di poesia e ricerca. Sono presenti diversi contributi sulla sua poesia nei blog letterari collettivi. Vive e lavora a Milano.

Testi

Per non dimenticare i nomi
ogni dito che conta è fuori posto, non tiene il computo,
la somma che invece si fa con la voce è rotta
e per questo c’è sempre l’assenza di un volto
a discolpare il pianto

***

 

 La linea Gustav

Vorrei cambiare nome agli inverni
tenendo più stretto il ricordo del freddo
il gelo nelle dita dei soldati

Veder sparare ancora i tedeschi
a denti serrati dall’alto del muraglione
con occhi che spezzano a vivo
la coda inerme degli sfollati

E cercarvi lì, tra i vecchi a coprire le madri,
le madri come rifugi per sagome minute
(tra il seno e la spalla, insenature
come porti per piccole teste
spaurite nella burrasca)

Sul paese come un’ombra la linea Gustav,
tracciato d’inchiostro sulle rovine,
il confine tra chi si butta a terra
prima o dopo lo sparo


 

Dissero che fu la giornata storta del cecchino,
il freddo a cristallizzare l’occhio che mirava,
eppure la testa di Maria era un’orbita
destinata alla rotta del proiettile,
l’orma di un volto già
disegnata nel fango

(Il dubbio di una traiettoria
nel trovarsi di fronte al corpo:
puntare dentro, fermarsi all’osso
oppure schivare per lo sterrato)

Quando il sibilo rasentò la carne
la ragazza cedette sulle ginocchia
come fosse già in preghiera
corpo cavo per accogliere miracoli…

Tenève l’età tè, quand’à scuppiat la guerre
mi disse un giorno mio padre
so raccòte zijete da’nterre,
ca avè viste la morte’nfacce:
nu culp javé passate a du dete da lu colle
j’avè fatte sole nu busce a la sciarpe
(*)

(*) Avevo la tua età quando scoppiò la guerra / mi disse un giorno mio padre / ho raccolto tua zia da terra / che aveva la morte negli occhi: / una pallottola le era passata a due dita / dal collo, le fece solo un foro sulla sciarpa

 

Gli anni nascosti dietro la collina
ritrovati all’apice di un giorno:
adesso siamo il recinto di un giardino
dove nitido si scorge il filo spinato
A stringere questi nodi di memoria

è come mostrare il petto al nemico,
volersi ferire, rovesciando colori a terra,
far finta che non siano solo sangue

Con mani legate siamo in attesa
che si assesti di nuovo, colpo su colpo,
il battito sulla raffica

Del cuore rimane un proiettile irrisolto,
una traccia murale sfarinata.

Mentre la bocca è contro il muro
con la lingua si scioglie un sapore
di sabbia e calce viva che sa ancora
dell’attesa breve dei fucilati

***

 

Avrebbero sfondato la porta un passo più in là
quando tra gli stipiti era già evidente il vuoto:
non avrebbero trovato nulla, nemmeno i cardini

Albina, fiore dischiuso nel lutto dell’ombra,
piccole braccia che stringevano con forza
le ginocchia cedute della madre

Aspettava un vento che asciugasse l’inverno,
la lingua rigida di una filastrocca
ripetuta ad occhi chiusi,
per non inciampare tra le lacrime


 

Con l’alito delle bestie e il tepore
della paura, la guerra respira ancora
in quel ricovero, non si è spostata
di un giorno da quelle catene,
le mani chiuse dal freddo,
i muri ceduti delle case

Per questo tornerò a leccare la parte
vuota del bicchiere, unico superstite
di un tempo rovesciato sul tavolo,
che saprà di quel vino che macchia a fondo
e mostra il rosso dall’interno della giacca

Riconosco ancora i ganci del soffitto:
erano sempre stati lì per seccare la carne
o le altre cose buone da mangiare

Ma tu chiami
come se non ci fosse voce ad avvicinarsi,
fai poggiare un passo in più nel vuoto
sino a toccarmi

Rimango solo ad ascoltarti
e si chiude il cerchio attorno al buio:

la parte ruvida della corda che ti veste
mi sfiora, e ti sento quasi cadere dal soffitto
prima del silenzio definitivo
monocorde del cappio

Ci dissero di andare avanti
e noi svanimmo nella neve


 

Lettera
(Battaglia di Nikolajewka)

Abbracciami, come vedi il mondo
mi ha tranciato l’osso
che sostiene la carne,
per questo chiama da sotto i piedi
e mostra il vuoto
inesorabile dello squarcio

Attraverso le vene, prendimi,
prendi tutto quello che rimane

Se la mia faccia resta senza cielo
e gli ultimi sogni ad occhi aperti
soffocati nel fango
chiudili con la delicatezza della neve

e rivolgi il mio corpo
all’altezza del pianto


 

Martiri del 6 Ottobre

Sai che non riesco a vedere il silenzio,
la testa china di una città che ci fa strada,
che ci vede insieme io e te
Enzo, mio figlio che torna per sempre
tra le braccia della madre

Così ti ho tenuto stretto lungo il percorso
sino alla porta di casa

senza dire una parola
senza alcun pianto

Avevo quasi perso l’uso delle braccia


 

 

 

 

 

 

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