BHAKTI: il concerto di Gianni Gebbia e Riccardo Gerbino per Accordiacorde | Filarmonica Laudamo

 

di Marta Cutugno

Messina. “Perdermi nella fuga di questa musica, non ne patirei, tanto questa melodia m’è cara.” Perdersi, per ritrovarsi. Mentre un flusso di energia sonora, intima e composta, si propaga nella sala del Palacultura, il pensiero corre a questi versi del premio Nobel indiano Rabindranath Tagore, in occasione del concerto incredibilmente suggestivo di Gianni Gebbia e Riccardo Gerbino, il 9 febbraio, per i giovedì di Accordiacorde della Filarmonica Laudamo. Ad avvolgere lo spettatore è un momento musicale in cui è stato possibile sperimentare la dimensione dell’abbandono, un concedersi tempo e spazio interiore, e lasciarsi cullare tra le fibre di una partitura eterea. Protagonisti, il sassofonista Gianni Gebbia e il tablista Riccardo Gerbino, dalla cui collaborazione artistica è nata la performance “Bhakti” che, in sanscrito, indica la devozione nei riguardi di una divinità personale o di un maestro spirituale. Si tratta di un progetto molto interessante che coniuga la musica devozionale a quella ambient, senza trascurare minimalismi e sperimentazione. Alla base delle musiche composte ed eseguite da Gebbia e Gerbino sta il “raga”, che nella musica indiana fa riferimento ad una struttura di suoni, lontana dal concetto di scala musicale appartenente al sistema musicale occidentale. Ogni nota di un raga diventa un grande contenitore entro cui mettere da parte ogni freno in termini di improvvisazione.

Ma considerare “Bhakti” un concerto di musica indiana sarebbe estremamente riduttivo, sarebbe un errore. In questo concerto, nato dal felice incontro tra le loro professionalità, i due artisti lasciano convergere molte altre correnti ed espressioni, dentro una scrittura che fluttua libera, una danza che riesce ad investire i sensi di chi ascolta. Nei brani, che uno dopo l’altro compongono il programma, Gianni Gebbia – tra i maggiori esponenti del sassofonismo internazionale – suona il sax soprano e, con finissima maestria tecnica, diventa la voce regina della performance, accompagnata da un tappeto sonoro di effetti elettronici che lui stesso gestisce su un dispositivo. Riccardo Gerbino, percussionista e cultore di musica indiana, indaga tutte le potenzialità del suo strumento formato da una coppia di piccoli tamburi, uno di legno ed uno di metallo o argilla, sui quali si tende la membrana di pelle. Al centro di questa, si trova un cerchio di pasta nera detto “Syahi”, su cui è possibile giocare con le intonazioni e produrre sonorità particolari. Come un mantice, l’energia percussiva si dilata e si contrae alternativamente, e poi si dissolve, mentre Gerbino l’accompagna e saluta gradualmente fino al più assoluto silenzio. La partecipazione dei due maestri sul palcoscenico è completa, totalizzante e permea l’aria di misticismo. L’intera performance è tutta in dialogo con una dimensione che appare certamente più alta di quella terrena e suscita nell’immaginario del fruitore anche un senso di unione viscerale con la natura. Ne è esempio il “Gospel delle balene” che già a partire dal titolo richiama alla preghiera e, sensibilmente, affronta il disagio del mondo animale dinanzi all’invadenza della crescente tecnologia sottomarina. Come spiegato ai presenti dal maestro Gebbia, il sottofondo che accompagna il pezzo riporta le registrazioni dei versi di alcune balene, fissate tramite sonar grazie al lavoro di ricerca di studiosi in etologia. Il pubblico in sala, che una brutta giornata di allerta meteo non ha scoraggiato, si è dimostrato entusiasta e parecchio ricettivo e aperto nei riguardi di una tipologia di concerto meno solita ma altamente ricca di punti di interesse. 

Foto Alessandro Grussu

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