Una lunga nuotata, Chiara Rossi, Macabor, 2020 Recensione di Ivano Mugnaini

di Ivano Mugnaini 

Nel panorama teatrale di oggi è raro trovare coniugati tra loro il valore artistico di un’opera con la sua valenza filosofica ed etica”. Inizio questo scritto citando un brano dell’introduzione di Violetta Chiarini. L’introduzione ci accoglie all’ingresso del libro, con un sorriso sobrio e generoso, e con l’atteggiamento schietto di chi sa di proporre ai visitatori un lavoro di reale spessore e consistenza, non improvvisato, non inconsistente. Con grande eleganza e con altrettanta chiarezza e profondità, Violetta ci invita a sederci e a leggere. Verrebbe fatto di dire a sederci ed ascoltare. L’introduzione è il primo ambiente, la prima artistica sala che ci troviamo di fronte. E, davvero, viene voglia di accomodarci su una poltrona e predisporci a ricevere parole ed emozioni che si collocano nei territori di confine tra il tempo attuale, un’epoca passata che riemerge vivida e un tempo che sublima e trascende le barriere cronologiche. A metà strada, anche, tra la realtà odierna, con le sue molte miserie e i suoi rari, salvifici splendori, e una realtà altra, mediata ed evocata dall’arte, dalla generosità, da ciò che eleva il singolo uomo e l’umanità intera.

L’introduzione di Violetta Chiarini è la prima perla di questo volume. Altro valore aggiunto del libro è la copertina di Verde Maria Bandini, che in un’immagine ha saputo riassumere e tradurre visivamente il legame profondo tra le tre figure femminili e i loro destini. È significativo e coerente che sia l’introduzione che l’immagine di copertina non siano solo abbellimenti estetici. Si tratta, al contrario, di elementi assolutamente utili, finalizzati alla comprensione e concomitanti all’evocazione dell’atmosfera, della suggestione, di quel senso ulteriore che incarna la magia del teatro e dell’arte in genere.

Di perle il testo di Chiara Rossi ne contiene molte. Si tratta di citazioni, rimandi, aneddoti, riferimenti all’arte, alla pittura, alla letteratura, ma anche a svariati altri ambiti e discipline. La curiosità, onnivora, è il primo propellente della scrittura dell’autrice. La sua cultura, basata non solo su avide letture ma anche sulla conoscenza diretta derivata da lunghi e in alcuni casi avventurosi viaggi, mette insieme dati e stati d’animo, modi di vivere e di pensare, creando connessioni, generando scintille che a loro volta danno luogo ad illuminazioni, fungendo da ponti, da strade percorribili.

Ancora una volta viene fatto di sottolineare la peculiarità dell’approccio drammaturgico e narrativo dell’autrice: la sua capacità, innata ma anche derivante dai suoi orizzonti culturali, di proporre scritti assolutamente attuali eppure collocati, di riflesso ma in modo nitido, in una dimensione temporale più ampia, potremmo dire universale, o comunque in grado di far pensare a qualcosa che si pone al di là del contingente.

Chiune Suhigara e la sua consorte, Yukiko, dopo averne a lungo discusso, decisero di disobbedire e di assecondare i sussulti della loro coscienza, consapevoli che questa scelta avrebbe compromesso la carriera di lui e forse anche la vita stessa della famiglia. Fu così che per ventinove giorni i coniugi Sugihara firmarono e registrarono permessi di transito: 2.139 visti, che consentirono a quasi seimila ebrei di trovare rifugio in territorio nipponico. Si racconta che prima di partire, Sugihara riuscì ad affidare il timbro del consolato a un profugo che fu in grado di usarlo ancora, per salvare altre vite”.

Le parole di Dalya, una delle protagoniste, ci confermano che l’aritmetica è in grado di diventare narrazione, filosofia, perfino poesia, nel contesto di alcune azioni, scelte, prese di posizione.

Senza togliere al lettore il gusto di scoprire in modo autonomo sia il legame che unisce le vite delle protagoniste, sia la figura di Chiune Sugihara, l’uomo che ha anteposto il valore della vita degli altri alla sua carriera e alla sua stessa sicurezza personale, si possono fare, qui ed ora, alcune riflessioni.

La prima è per così dire di ordine “disciplinare”: poco sopra è stata citata la parola poesia. Chiara Rossi scrive teatro, scrive racconti e dichiara di non scrivere poesia. Tecnicamente è vero. Ma se torniamo ancora alla bella introduzione di Violetta Chiarini e ci collochiamo al suo fianco, concordando sul fatto che dalla lettura di Una lunga nuotatasi evince che ogni esistenza influisce sull’altra, e che, al di là di allusioni, illusioni e delusioni, esiste una quinta stagione”, beh, allora il lavoro teatrale di cui stiamo parlando è, anche, poetico.

Perché la poesia, ammesso che si possa fornirne una definizione, di certo non è solamente andare a capo prima del bordo della pagina. La poesia, non si sa cosa sia,d’accordo, ma se diciamo che è quella “quinta stagione”, quel luogo dello spazio e del tempo che non vediamo ma c’è, quel posto in cui ogni esistenza influisce sull’altra”, forse ci avviciniamo al vero. O almeno ad un mondo possibile. Un’ipotesi, un auspicio.

La poesia di Una lunga nuotata è racchiusa negli oggetti, nelle azioni, nella cura cui il protagonista si veste o si rade, come a voler tener in ordine la parte sacra e salvabile del suo essere uomo. La poesia sta nella capacità dell’autrice di arricchire il suo testo di richiami ulteriori senza mai dimenticare l’urgenza e l’esattezza dell’azione e dei dialoghi. La pura denominazione diventa in tal modo, senza forzature, senza barocche e pedanti metafore, evocazione, riflessione ed emozione.

Chiara Rossi possiede un andamento saldamente classico, ma sempre ben abbinato ad una moderna immediatezza. E i suoi dialoghi sono credibili, autentici, senza rinunciare al diritto e alla scelta dello scarto, il volo oltre la limitatezza espressiva, rassicurante per molti ma castrante, in grado di annientare gli orizzonti culturali che spaziano da un continente all’altro, da un’epoca storica ben definita ad una connotazione atemporale, o meglio, in grado di abbracciare tutte le epoche e tutte le istanze di vita e di resilienza.  

Un’ultima considerazione si ricollega al titolo di questo libro: Una lunga nuotata: anche noi comuni mortali che non abbiamo il dono dell’eroismo di Chiune Sugihara, e non abbiano né il suo cuore, né i suoi polmoni né la sua mente, qualcosa potremmo provare in ogni caso a farlo. Come lettori, in primis, e, forse, anche come persone. Potremmo inalare un bel po’ di ossigeno e magari andare e cercare, e a leggere, libri come quello di cui abbiamo parlato. Volumi non scontati, non banali, non rassicuranti, non “usa e getta”. Pagine che richiedono impegno, perché ti portano a spazio nel tempo, nella Storia, nei territori accidentati degli eventi che ti impongono una scelta, una collocazione esatta. Quei libri che ti mostrano persone come tante che hanno saputo dire io sono un uomo, un essere umano, quindi mi comporto da essere umano.

Non è facile prediligere libri come questo di Chiara Rossi. Ce ne sono tanto di più comodi, di quelli che leggi e che un secondo dopo ti scordi serenamente, e torni alla routine di sempre, intatto, inalterato. Ma una lunga nuotata fa bene. Lo abbiamo provato tutti, almeno una volta. Lì per lì manca il fiato, ma poi senti allargarsi i polmoni. E forse anche la mente. Magari, a volte, perfino il cuore.

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