FLASHES E DEDICHE – 115 – L’ESTATE GALLONIANA

Ho più volte parlato di Gabriele Galloni, la sua trilogia iniziata con Slittamenti fino a Creatura breve passando dal piccolo gioiello di In che luce cadranno, fino alla boutade/provocazione delle poesie di Olimpia Buonpastore, prestandomi volentieri all’esperimento. Mi sono astenuto da una analisi di “Sonno giapponese” perchè fuori dai parametri di questa rubrica. E’ in uscita adesso per la collana “Sottotraccia” diretta da Antonio Bux per Marco Saya Edizioni, il nuovo libro “L’estate del mondo”. Difficile adesso in poche righe dare una visione completa di questo splendido lavoro. Il Trismegisto dal volto angelicato della poesia contemporanea, ci regala un’opera veramente interessante, studiata, ispirata, piena e senza affossamenti. Definirei questo libro “metamorfico”, in quando il substrato è una metamorfosi continua del corpo, della memoria, dello straniamento dell’Io che narra una storia senza autoreferenzialità. Galloni ci ha lavorato a lungo e si vede. C’è uno studio novecentesco a cui si aggrappa per la metrica e le soluzioni retoriche, un’immersione nella quotidianità contemporanea che porta ad una sinestesia della poetica, coinvolgendo il lettore. Tocca vari livelli e stratificazioni interiori, salti spazio/temporali, il caldo che strabocca dalle parole, il mare e la figura, tra l’archetipo e il rituale, della Luna con la lettera maiuscola. C’è anche la narrazione di genealogie familiari che si incontrano nel niente, si invertono e si vedono generandosi l’un l’altra. C’è un “tu”, ma non un tu lirico di basso livello, anzi una ventata di buono che pone il dettato fuori dalla pletora di scritti asettici e spersonalizzanti. Galloni lascia le divertenti provocazioni da parte, con una maturità impressionante, un ulteriore salto di qualità. E’ un libro da leggere assolutamente…ma non fatevi trarre in inganno, la costruzione, i richiami, gli omaggi insiti, sono soltanto specchi e dislivelli. Galloni ha la sua scrittura, la sua forte personalità e questo a molti provoca l’assunzione di Maalox letterario.

foto di Fabiomassimo Lozzi

 

 

Io non ti domandavo; solamente
ascoltavo in silenzio, interrompendoti
per mostrarti le foto che prudente
ti coglievo di spalle. E riprendendo
perdevi sempre il filo; ti arrabbiavi
ma un attimo, per finta: ché ignorandomi
presto ricominciavi.
Le corse a perdifiato tra i canneti;
l’eco pomeridiana e l’eco a notte.
L’animale brusio e le sue interrotte
chiamate; e certi libri di poeti
scovati in biblioteche sotto il mare.

 

 

 

Arrivasti alla storia della Luna:
di come capitò che la scoprissi
nella sua casa una notte di eclissi;
nella sua casa dove mai a nessuna
viva persona era dato di accedere.
La descrivesti nuda, la tua Luna;
la descrivesti coperta di cenere
dal capo ai piedi; Luna che più Venere
sembrava e penitente. Non avresti
potuto dirmi certa la paura;
né sotto i piedi l’umido e le tenere
felci; solo che ai giorni del Miracolo
è bello correre, andarsene via
da ogni luce che sia
troppo grande per queste nostre mani

 

 

 

Abbiamo superato Fiumicino
e tu hai fatto, ricordo, una battuta
su tutto ciò che era passato in questa
vita senza per noi lasciare traccia.
E poi hai indicato il fumo che saliva
dal mare. Tutte le strade erano bloccate
e noi già pensavamo ad altro; a quello
che tutti quanti pensano d’estate.

 

 

Come si chiamano, chiedi, quegli alberi
delle zone di mare; quelli secchi,
con rami tipo mani che si tendono
a chiedere invisibili elemosine?
Pini qualcosa, dico; e il resto non so dirtelo.
Ma quanti ce ne sono, adesso; tanti
fino alla spiaggia, che dalla collina
scendiamo lentamente; e ai nostri passi
non chiediamo che continuare a scendere
senza inciampare: non sarebbe bello
al primo appuntamento già raccogliersi
sotto la luna, vicendevolmente:
non siamo – è notte – nel duemilaeventi.

 

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