FLASHES E DEDICHE – 113 – LA BABAJAGA DELLA GIOVAGNOLI

Gaia Giovagnoli ha esordito lo scorso anno con un libro affascinante e tagliente: “Teratophobia” (Round Midnight edizioni), in cui si addensava una scrittura da minatore del profondo, una fascinazione dell’inconscio e si coglieva la personale preparazione antropologica dell’autrice. Questa affinità  mi ha fatto molto apprezzare l’opera che ha riscosso infatti il plauso degli addetti ai lavori. La soluzione antropologica, accomunata da studi di tradizioni popolari ed etnografiche ( un livello “magico” è consapevolmente presente) è contenuta in maggiore quantità nel lavoro in itinere che la Giovagnoli sta preparando, dal titolo provvisorio di “Babajaga e altri mostri”.  Se il dettato stilistico è intatto, ossimoricamente di dolce violenza, la lettura dei testi evidenzia la capacità di toccare gli archetipi del lettore. I versi sono un coltello per tagliare le sacche sia di un inconscio personale, sia di un inconscio collettivo riversato nei racconti e nella letteratura popolare, sommando culture, paure e risoluzioni vitali. Credo che questo nuovo lavoro, quando terminato, non avrà problemi a trovare un editore tanta è la forza, l’elan vital, contenuta e che, al contempo,  smuove in chi legge. Una bella riconferma, solida e strutturata.

(Foto Riccardo Frolloni)

 

 

Molti dicono che la strega
dei tarli
è bianca di gesso
molti dicono che corre
nel bosco
e ha pelle di tronco

 

Che si attacca dal ruvido
dei piedi
e beve dalla terra
con un sorso

 

L’albero

Molti dicono che la betulla
ha una chioma di dita:
un folto di ossa
che oscilla;
che fa groppi di funghi
dentro i piedi
e ha la pancia gonfia

A testa arresa non chiama
la sua madre mostruosa
che cammina nel verde
e le tocca la gamba:

 

Babajaga torna da sola
sul sangue che le assomiglia

*

C’era un anno dove
per un palo della luce
è mancata la corrente
nelle case

Riconosce dalla strada
il palo mozzo
a testa arresa

Ora gli si accosta;
lo striscia con il dito
e fa forza con l’unghia;
gli stacca una lisca di crosta

Poi fissa;
lo tocca;
ricontrolla stravolta:
dal graffio che ha fatto sul palo
esce una goccia

*

I cani

Babajaga riposa
sul collo dei cani

 

I suoi lupi sono mostri
con la gola a dirupo
con il fango che fa guscio
di cancrena

 

– Non toglievano la mano
sulla testa
i palmi che pestavano di gioia
alla carezza
la schiena tutta scatti di coda

Al ritorno sbigottivano
e urinavano a terra

*

 

Dice: quella si è ammalata
e non ricresce

– le annaffiava le piante
quando lei non c’era:
[lo ha spiegato così
all’amica
in un pomeriggio di caffè]

Dice: ma si infittisce
quella magra;
e l’altra laggiù
ha rifiorito

L’amica asseconda
– serve un po’ la mano
o ti muoiono tutte

La veranda sbatte
per la corrente;
il vaso grande si torce
per il colpo di vento;
cade un po’ di terra
sul pavimento

 

 

 

 

 

 

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