Pillole di poesia – Serena D’Arbela

di Ilaria Grasso

Il primo articolo della Costituzione italiana dice che l’Italia è “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il lavoro è essenzialmente un dovere che abbiamo per noi stessi e per gli altri. Abbiamo il dovere di creare lavoro, tutelare il lavoro, avere rispetto per il lavoro altrui e dobbiamo anche sentirci responsabili per chi quel lavoro non lo ha e predisporre azioni e politiche attive del lavoro. Spesso si confonde il termine “lavoro” con “capitalismo”. Assimilandoli facciamo un errore clamoroso perché il lavoro ha come fine ultimo il sostentamento delle persone; il capitalismo ha come fine ultimo il capitale che come sappiamo non è nelle mani di tutti. La nostra carta costituzionale, già dal suo primo articolo, è la più bella di tutte e dobbiamo esserne consapevoli e fieri. Ma dobbiamo sapere anche che chi esercita i principi costituzionali siamo per prima noi e questo ahimè oggi langue nella realtà del nostro agire quotidiano e ci priva di quelle basi che ci fanno “sentire popolo”. Avere cioè dei valori condivisi, guardarci l’un l’altro per tutelarci reciprocamente, avere la coscienza e la responsabilità dei doveri che abbiamo soprattutto nei confronti degli altri. L’imprenditore che non assume donne, omosessuali o persone del colore della pelle diverso dal proprio per partito preso è complice del reato di disuguaglianza. Il politico che intasca tangenti è responsabile del declino del paese. Il cittadino che paga in nero è responsabile dell’impoverimento dell’Italia. Il lavoratore che ruba il lavoro di un altro lavoratore contribuisce alla svalutazione di quest’ultimo. Dovremmo leggere e rieleggere  la Costituzione e meditarla provando a capire come essere buoni cittadini tutti i giorni affinché essa non sia lettera morta o, come dice bene D’Arbela nell’ultimo verso, un monumento lasciato lì solo per essere visto.

Libertè ègalitè fraternitè

Ancora il motto

della Rivoluzione francese

risuona come un canto

elettrizzante

per gli uomini

vessati

da sbarre e schiavitù

Ha viaggiato

di paese in paese

nel tempo

con la speranza

di società migliori

Libertà di pensare

di parlare di scegliere

Eguaglianza dello Stato

di simili e diversi

Fraternità

di rapporti umani

Rispetto delle idee

e dell’essere

individuale

Da noi

il messaggio è arrivato

nella Legge suprema

stabili come le radici

degli alberi

come i piedi

per camminare

con una nuova ragione

il Lavoro

Diritto, rispetto e giustizia

per ogni lavoro

quello operaio

femminile e maschile

necessario alle case

alle città alle fabbriche

quello ospedaliero

aereo, netturbino

su ferro su ruote

il lavoro pensante

cartaceo cibernetico

cellulare poetico

inventivo astronautico

E dignità per L’Uomo

Fabbro

che lo produce

con sacrificio

quotidiano

per sé e per noi

Se il mondo laborioso

si fermasse di colpo,

indignato

per tutte le ingiustizie?

Che farebbe il nostro formicaio

globale

in prenda al kaos

nell’inerte paesaggio?

Rileggiamo questa carta

che non è solo musica,

brilla l’articolo primo

è un principio

una meta

la vera qualità

del nostro Edificio

e non potremo

soltanto

rimanere a guardare.

Da I POETI INCONTRANO LA COSTITUZIONE – Ediesse

 

 foto di Valter Sambucini

 

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