FLASHES E DEDICHE – 107 – LA PERLAMARA DELLA LAMBERTINI

” Dans le fond de la terre, ô ma tombe, délivre-moi de moi, je ne veux plus l’être”, con una citazione di Bataille inizia “perlamara“, l’ultimo splendido libro di Sonia Lambertini, edito da Marco Saya Edizioni, uscito da pochi giorni. Siamo davanti ad un’opera preziosa, a cui approcciarsi in maniera totale. Siamo davanti ad un puro libro di poesia, sulla poesia, intorno alla poesia e con un riflesso ontologico che fa da baricentro al tutto. Questo fulcro è in sostanza l'”essere è da nessuna parte”. La Lambertini  c’è, c’è in una maniera determinata, colta, appassionata, ( in questo baraccone poetico è una presenza bellissima, raffinata e discreta) ma al contempo traspare la voglia di non esserci, coerente con il suo modo di “essere”. Dopo la bella scrittura di Danzeranno gli insetti, ci troviamo qui davanti ad una ulteriore evoluzione e fortificazione stilistica e di scelte.  Novità nei significati, plasticità del dettato, uso di parole-simbolo, non mero simbolismo astratto spesso non significante. Dagli insetti si passa agli uccelli in una connessione sequenziale. La circolarità della poesia, la distrazione di vivere al pieno anche delle naturali negatività quotidiane. Quindi la parola, il linguaggio si fanno spazio, niente è perfetto, niente è duraturo, la lezione francese del novecento è ben presente. La Lambertini ci mette di suo, ulteriormente, una sfumatura di chiara oscurità in cui il lettore può e deve immergersi per comprendere la legittimazione della poesia, di questa splendida poesia. L’incapacità di esistere è una perlamara chiusa dentro ognuno di noi.

 

 

 

Cosa ne faccio dei fiori
gingilli a strappo,
sul corredo corrono a crocchio
soffio di aliti pollini
e l’antèra mia dondola,
autofertile il mio fiore
ha il fiato corto giù, nell’anello
ancora il centro del mondo, pare.

 

 

 

In alto e circolare, respira
alza il fiato e l’occhio
mezzaluna la sera
è naturale : leggera, un grammo
più o meno la piuma,
il ventre è spezzato da un nido di uccelli.

 

 

 

Giocavo a rotola parola
corpocarta perla amara,
ripetevo a sgrana dita
sfilavo dalla bocca
bacche, lingua secca
filigrana di preghiera
corpocarta perla amara,
ripetevo a squarcia noia.

e poi un vento dal deserto
le coprì tutte, le parole

 

 

 

Affermo con cautela
e contro la mia natura
il mio interesse, si può dire!
l’attaccamento alla terra
architettura della fossa,
teorema ad armi pari
lo scontro d’ossa, perimetro
aiuola di rosa tormentosa
e io stesa, gli affanni
batter cassa al morente.

Rispondi