FLASHES E DEDICHE – 89 – FERO FERS TULI LATUM GIANFERRI

Julia Gianferri lavora la materia sillabica con un nervosismo travestito da quiete. La lettura dei suoi inediti rivelano, da subito, una ottima capacità di attraversamento sia della base mnestica sia di duttilità linguistica. Il suo approccio e la sua resa fanno traballare l’attesa, ovvero appare in filigrana una parola nascosta, quasi come se la poesia diventasse un Es da espungere, una pulsione al di fuori di una categoria apparentemente logica. Il medium sono i versi, che non sono ciò che sembrano. In queste prove d’autore la Gianferri sembra voler preparare un serbatoio per un futuro lavoro organico (e non uso questa parola a caso) che sono sicuro darà risultati sorprendenti. Lascio qui alcune poesie da leggere, ripeto, con molta attenzione al di là dell’apparenza evidente.

 

 

 

 

 

 

A poco vale la stanchezza di una vita condannata a dio

se non si diviene capaci di guardare come lui

dinnanzi, non avere nessun focolare in mano

ma soltanto occhi.

Non illuminando un cammino che di per sé è buio

per impedirmi di vedere

tasto il suolo come se avessi piedi prescelti

dimentico l’intensità delle promesse

nella mia lingua un solco

un emottisi

di segreti

che non ho.

 

Giocavamo ai giorni di festa

ad osservarle la vecchiaia

rendere l’odore del forcluso

un altro senso

 

mia madre ci trascinava su una coperta

per il corridoio

il gioco era rimanere aggrappati

per non sentire il pavimento.

 

 

 

 

Coagulano le innocenze

ad effettivi rancori

l’unità non rapprende

 

la gente continua a passarmi dietro

la parusia mi risucchia

non riesco ad averne pietà

 

dirti di smettere sarebbe confessarmi una finitezza

che è propria dei morti.

 

 

Credevi forse che ci fossimo avvicinati?

Era allora solo l’obliquità necessaria.

Abbiamo coltivato il tuo giardino d’infanzia

solo per il gusto di vederlo oltraggiato;

ricordare è un frutto tra quelli

che non ho mai colto.

 

 

 

 

Per lo sforzo sovrumano dei tuoi occhi

avrei predisposto le diottrie più incredule

si sarebbero corrose solo a forza di ridere

l’aridità del pianto è un abbaio che disturba la notte

ma non la sveglia.

 

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