Scrissi d’arte: le arti figurative a Messina

Vincenzo Bonaventura

Uno sguardo appassionato sullo stato dell’arte a Messina. Su artisti e realtà che, nonostante disattenzioni politiche e crisi economica, si ostinano a creare bellezza, a immaginare nuovi percorsi e a non soccombere. Si tratta del libro “Scrissi d’arte. Testimonianze più o meno utili sulle arti figurative a Messina (2008-2017 e qualche passo indietro)”, pubblicato nel 2018 da Pungitopo e scritto da un giornalista poliedrico e di profonda ispirazione culturale come Vincenzo Bonaventura.

Per anni responsabile delle pagine di Cultura e Spettacoli del quotidiano “Gazzetta del Sud”, oltre che critico teatrale e autore di libri e racconti, tra gli ultimi “La Sicilia al tempo del Grand Tour” (GBM, 2009) e “Teatranti” (Pungitopo, 2013), l’autore riprende i suoi articoli per ripercorrere dieci anni di arti figurative, mettendo in evidenza una settantina di artisti e alcune realtà di valore.

Scrive Bonaventura nella sua premessa: “(…) anche a distanza di pochi anni, il decennio è ‘storicizzato’, come dimostra il fatto che due gallerie, importanti e molto attive, come Orientalesicula e FortunaArte non ci sono più, oppure che un’iniziativa meritoria quale il Museo del Fango non abbia trovato una sede pubblica. Conferma che la cultura in genere a Messina è sempre molto ricca di fermenti ma tutti di difficile stabilizzazione. (…) La testimonianza, dunque, vuole essere anche sulla qualità e sulla perseveranza di un ambiente e di questi artisti (con qualche rara eccezione, ma la testimonianza ovviamente non prevede scelte o censure) e un pubblico riconoscimento di tutto ciò che hanno portato avanti tra mille difficoltà e costanti incomprensioni. Con la capacità di stare, molto spesso, al passo con i tempi, mai digiuni di ciò che di importante avveniva nel mondo artistico internazionale. È anche per questo che, con voluta esagerazione, ho inserito articoli sui grandi del passato (Antonello e Filippo Juvarra) o su eccellenti messinesi di parzialissima adozione, anche loro malgrado, quali Caravaggio e Giulio Aristide Sartorio (peccato che non mi sia mai capitato di scrivere di Montorsoli o di Calamech). Credo che quest’idea, che può sembrare balzana, arricchisca la lettura dei coraggiosi che vogliano affrontarla, ampliando gli orizzonti e ricordando quella Messina al cui porto si arrivava per rimanere e non soltanto si partiva per non tornare. Ho riservato uno spazio anche al compianto collega Lucio Barbera che di tanti artisti messinesi è stato mentore e critico, sempre con lucida competenza.”

Una lettura, dunque, che rappresenta un invito al coraggio creativo e ai suoi punti di forza alla ricerca di sfumature e risvolti complessi, mondi interiori e trasformazioni nel nome delle potenzialità infinite dell’espressione artistica. Si comincia con Giovanni Allio, e con la sua mostra dal titolo “Astrattismo cinetico e optical”, e si termina, dopo una carrellata densa e ricca di dettagli e annotazioni critiche, con le opere “gioiose e inquietanti allo stesso tempo” di Ranieri Wanderlingh nella mostra “Pop romantic art”.

Da intellettuale curioso e appassionato, Bonaventura si mette in gioco con tutto sé stesso: emozioni, sensazioni, stimoli e osservazioni si trasformano in parole e analisi, affidate non a un esperto in senso tecnico ma a un giornalista che sa indagare e scavare. La scrittura, appassionata ma anche rigorosa,  è diretta a interrogare e interpretare tra le pieghe del gesto artistico, in spazi e segni che si prestano a più decodificazioni e suggestioni.

Conoscendo il percorso di Bonaventura, con il passaggio da Messina all’impegno professionale a Milano fino al ritorno nella città dello Stretto, è come se egli, di fronte a una città decaduta e che riconosce sempre di meno, cerchi un varco nell’arte per intravedere nuovi orizzonti e non cedere alla rassegnazione. Da qui un viaggio approfondito, fra impressioni e interviste, dove l’autore ricrea  le immagini e i colori con i quali si confronta, nel segno di un’interpretazione sempre aperta all’inatteso e all’intuizione originale, senza la pretesa di commenti esaustivi o chiusi nei confronti di possibili nuove deviazioni e ipotesi di lettura.

Come esempio di un’analisi attenta a dettagli e sfide interpretative, si possono citare, tra gli altri, i commenti sulla pittura di Gianfranco Anastasio: “Le superfici colorate, lentamente, diventano come grandi ‘buchi’, che a colore stanno in antitesi con ciò che intendiamo per buco nero. Perché, ammesso che siano ‘buchi’ o meglio aperture invisibili – immaginarie e metafisiche nello stesso tempo – sono colorate pastosamente con tonalità trascinanti, siano esse rosse, bianche, verdi o altro ancora. Ecco allora che il titolo di questa mostra del pittore messinese, Porte eretiche, diventa una guida per muoversi tra le pareti della galleria FortunaArte (…), con l’impressione – entusiasmante e inquietante – che noi quelle pareti potremmo anche oltrepassarle, come se fossimo diventati monaci orientali. Non con il corpo, anche se la suggestione a poco a poco diventa sempre più forte, ma certo con qualcosa di noi. L’anima? Il cuore? I sentimenti? La ragione? La voglia di trascendente? La curiosità per l’oltre, qualunque esso sia? Ognuno può dare una risposta personale a questi interrogativi, certo è che la pittura di questo artista rigoroso che, come dice egli stesso, «usa la geometria ma non fa pittura geometrica», ha la capacità di irretire (nel senso più buono e avviluppante del termine) chi vi si specchia.”

Di conseguenza, questo libro va letto da tutti coloro che abbiano a cuore arte e e cultura, senso dell’immagine e apertura verso strade ignote, bellezza e tendenza alla riflessione, in un ponte che lega emozioni e pensieri alti.

Marco Olivieri

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