Autori estinti, n. 6: Maksim Gor’kij (terza parte)

Maksim Gor’kij compie 150 anni nel 2018. Ho parlato di questo autore qualche mese fa, nel 2017, per ricordare il suo romanzo più famoso, La madre, e i suoi primi racconti, che hanno iniziato la letteratura proletaria in Russia. Dopo quei racconti, Gor’kij divenne famoso per le sue prime opere teatrali (Piccoli borghesi, 1901; L’albergo dei poveri, o Bassifondi, 1902) e per i suoi primi tre grandi romanzi (Foma Gordeev, 1899; I tre, 1901; La madre, 1907), tutti fuori commercio.

Agli inizi del Novecento, Gor’kij conobbe Lev Tolstoj, da cui fu profondamente colpito. I due erano molto diversi, sia per ascendenze familiari (Tolstoj aristocratico, Gor’kij proletario), sia per temperamento. Gor’kij apprezzò la grandezza di Tolstoj ma nello stesso tempo lo considerò un “diavolo”, un “vecchio stregone”, per il suo vizio di interrogarsi e fare domande imbarazzanti a Gor’kij. La ricerca di Dio, anzi il desiderio di Dio di Tolstoj (“Dio è il mio desiderio” è un aforisma del suo diario, che Gor’kij lesse) influenzò Gor’kij che nei primi anni del Novecento ebbe una crisi religiosa, e cercò di portare il problema religioso dentro il bolscevismo di Lenin, a cui decise di aderire, non senza i propri distinguo. Nacque così, sulla scia del libro La confessione, di Tolstoj, Ispoved, ossia Confessione, di Gor’kij, un romanzo turbinoso, in gran parte autobiografico, che racconta la vita di un ragazzo e la sua ricerca di Dio, un Dio proletario, umano, tanto che Gor’kij parlerà di creare Dio e in effetti nella Russia di quel tempo c’era il movimento dei creatori o costruttori di Dio.

Ispoved è a mio parere un grande romanzo e un grande documento storico. Purtroppo ancora una volta è fuori commercio.

Su questo tema, ha scritto una analisi approfondita Giuseppe Mario Tufarulo, nell’articolo che ora riporto.

Spesso l’uomo ha rapporti di contrasto, d’inimicizia o d’indifferenza con Dio. Le cause ed i misteri che generano le “ombre” tra la creatura ed il suo Creatore ricadono tutte nella sfera dell’immanenza? Questi uomini perché non hanno ricevuto il dono della fede? La Trascendenza non c’è data di conoscerla! Il primo scrittore proletario della storia che rapporti ebbe con la Trascendenza?

Il tormento di Gor’kij era tra il Dio dell’umanesimo cristiano, padre della storia ed il Dio sociale o socialista, figlio della storia. L’Ente che Maksìm Peskov aveva conosciuto, nella sua tenera età, era un “Essere” vendicativo, irato e spesso sordo alle preghiere che i Russi facevano per i loro bisogni materiali. I postulanti pregavano Dio, affinché con i suoi fulmini e malattie colpisse i loro nemici, congiunti, amici e sconosciuti, dai quali avevano ricevuto dei torti.

Era la Rus’ dei popi, degli “starez”, dei santuari, dei derelitti, dei deportati, dei contrabbandieri, del brigantaggio, della vodka e delle spezie, una società patriarcale, rozza, ignorante, violenta e pervasa da un fanatismo religioso. Di contro c’era una Russia di gran poesia e letteratura, di filosofi, d’artisti, di scienziati.

Un giorno, il piccolo Alioscia inseguito, lungo le anse del Volga, dal padre, costantemente ubriaco, e dalla sua muta di cani feroci, che cercava di comminargli la razione quotidiana di sevizie, si rifugiò in chiesa. Il silenzio, la solennità del luogo, i chiaroscuri, l’odore dell’incenso, l’atmosfera ovattata, le vetrate a colori del tempio, fecero entrare il piccolo Maksìm in un mondo speciale, favoloso, in cui volava con l’anima e si sentiva protetto. Da allora il Nostro, nei momenti più tristi della sua terribile infanzia (sempre), entrava in chiesa, perché era la cosa più bella che conosceva e che, questo straordinario bambino, aveva scelto come casa elettiva.

Il bosjak del Volga, nella sua educazione religiosa, assorbiva la fede, radiosa, romantica e lirica, della “Baba”, Akulina Ivanovna, contadina analfabeta, dolce, buona, pia, misericordiosa, unica luce celeste in una famiglia di violenti e prevaricatori, tribù di Caino. Essa godeva di una felice “intimità” con il Signore, compagno gioioso e speranza nella sua tragica esistenza e, come il “poverello d’Assisi”, parlava anche agli animali.

Il Dio della “nonna” materna per il Nostro era il Signore della gioia, della comunione con l’anima, delle meraviglie, dei prodigi e l’amico dei bambini. [Ferrari, C., Gor’kij. Fra la critica e il dogma. Editori Riuniti, Roma, 2002.]

Il nonno materno Vasilij Kascirin faceva leggere al piccolo Maksìm il “Libro dei Salmi” e la “Vita dei Santi”. Il Dio del nonno, però, era un giudice severo, diffidente delle azioni umane, che si compiaceva ad attendere il pentimento ed a comminare il castigo.

Nel deserto, spirituale ed affettivo, della sua disgraziata esistenza infantile, il piccolo orfano, ripudiato dai parenti, solo con il suo inferno e la miseria, aveva l’anima come vita e la “nonna” come madre e famiglia. Il Signore era il migliore, il suo mondo, la luce, i colori della natura, lo sguardo d’ogni creatura, l’amore.

La distinzione infantile tra il Dio della Baba, quello del nonno e l’altro dei russi sdoppiava l’anima del piccolo monello del Volga. Nelle prediche del pope, egli riconosceva il Signore del nonno, nei canti angelici del coro il Dio dell’anima, della vita, della letizia e dell’eternità della nonna, nel Dio della vendetta quello dei russi.

Spesso in chiesa recitava dei salmi, che nonno Vasilij gli aveva insegnato:”Liberami, difendimi per la tua giustizia,/ porgimi ascolto e salvami..” oppure”..Sei tu Signore, la mia speranza / la mia fiducia fin dalla mia giovinezza..”.

Aleksej, all’età di quattordici anni, andò a lavorare nel laboratorio di un mercante d’icone ed in seguito passò a fare il commesso nel suo negozio. Il mondo mistico degli anziani bigotti, dei teologi autodidatti e delle sette religiose si svelava al Nostro. Era un’altra Russia, che leggeva i salmi e che parlava di un Dio severo che puniva le colpe d’Israele. “Questo è il Dio del nonno ..”, affermava il giovane bosjak. Di contro era attratto dalla dialettica di questi autodidatti religiosi e settari che, perseguitati dal regime zarista, avevano l‘alone poetico e romantico di martiri. In seguito, Alioscia ritornò su questi personaggi, per forgiare i derelitti della società borghese. La religione, dunque, non costituiva un tormento per il giovane Peskov. Spesso qualche frase tradiva la presenza di Dio.

Nel 1900, Gor’kij, scrivendo all’amico Cechov, diceva: ”..Le persone sono delle bestie! Per rendere più facile la loro vita, avrebbero bisogno di Dio, ma lo rifiutano e si prendono gioco di coloro che l’affermano! Si ha bisogno di Dio, che ne pensate?”. Anton Cechov di rimando: “..Maksìm, l’uomo o deve essere un credente o deve cercarsi una fede, altrimenti è un uomo vuoto..”. Il giovane scrittore, allorché incontrò, per la prima volta, Lev Tolstoj (in seguito da lui chiamato “vecchio stregone”), scoprì che la forza magnetica, che emanava da questo personaggio, era tale che non poteva essere un credente, nonostante parlasse di Dio. Tolstoj, difatti, era ateo e, capendo che l’anima di Gor’kij era divisa tra Marxismo e Dio, così disse al Nostro: ”..Voi amate e la fede è amore intenso, siete nato credente e sbagliate a sforzarvi. Voi siete offeso, poiché il mondo non è stato creato com’era necessario a voi..”.

In seguito, il problema dell’Ente divise i due grandi scrittori. Il figlio della matushka Volga era pervaso dallo scontro tra la fede in Dio e quella nel Socialismo. Lev Tolstoj, invece, affermava che tutto (la fede) era nella “ratio” critica dell’uomo, che insorgeva contro l’Eterno. Il Nostro era un credente inconscio, poiché era vissuto nel dolore e nel male e dal loro abisso aveva implorato il suo Dio, quello dell’adorata e santa Baba, dolce icona degli umili, dei derelitti, dell’amore, delle virtù, della bontà e carità [Costineiras, A., Maximo Gorki (su vida y sus obras), Buenos Aires, 1919.].

Il richiamo della fede era sempre presente nel “Figlio del vento”, senza cristallizzazioni. Nel romanzo “Troe” (I Tre,1901), una tragica vicenda avviluppava Ilja Luniev, amante dell’atmosfera ovattata e solenne delle chiese, giovane inquieto, tormentato da una fede religiosa imprecisa e fanatica, nelle cui vene scorreva il sangue tumultuoso degli antichi “starez”. Il dramma si sviluppava in un ambiente d’estremo degrado. Ilja, invaghitosi di una prostituta, uccideva il vecchio usuraio che la manteneva. L’opera, per alcune atmosfere e per il tema, era da accostare a “Delitto e Castigo” di Fedor Michajlovic Dostoevskij.

Il crimine era l’effetto di una grave turba religiosa, totalizzante come il verbo espresso da questi santoni carismatici autodidatti, che interpretavano la parola di Dio, con il senno della loro ignoranza. La Bibbia, per il grande scrittore russo, aveva un valore altamente letterario. L’alto pathos e la purezza dell’idioma facevano intravedere alcune atmosfere della Trascendenza. Il riferimento alla religione era, anche, presente nel romanzo” Mat’” (La Madre,1907), unica opera proletaria del Nostro. Il quadro del Cristo, con i discepoli sulla via d’Emmaus, era appeso al muro della casa di Pavel Vlasov, il novello eroe rivoluzionario socialista, condannato ai lavori forzati. Il Cristo, agnello sacrificale delle contraddizioni dell’umanità, non essendo profeta in patria, era stato condannato al supplizio e messo a morte, poiché spaccava la società.

La similitudine con il piccolo martire del marxismo era occulta. Egli spaccava l’ordine costituito della società borghese tra i portatori e costruttori di giustizia sociale (socialisti) ed i reazionari che non la volevano. I protagonisti del romanzo, compresa la “Madre”, presi dall’azione dinamica diretta per la “Costruzione di Dio” (proletariato), non dimenticavano il Dio cristiano. In quest’opera si stagliavano due simbolismi: il primo ineriva alla “Madre”. Con la scoperta di un’umanità diversa (Socialismo), Pelageja Nilovna Vlasova scopriva un nuovo Dio  (popolo/massa o proletariato), che agiva e cambiava il mondo ingiusto e crudele della società borghese/classista.

Il secondo rappresentava il legame tra il Dio sociale o socialista, figlio della storia, ed il Dio cristiano, padre della storia. La Vlasova affermava: “..Non ci sarebbe stato Cristo se degli uomini non fossero morti in suo nome..”. Gli attivisti socialisti, compagni di lotta di Pavel, dicevano:..” Cristo mancava di fermezza e riconosceva Cesare, un uomo al disopra degli altri. Come può Dio riconoscere un uomo al disopra degli altri, quando Lui è l’Essere ed il potere eterno?”.

La gran crisi religiosa di Maksìm Gor’kij esplodeva nell’opera “Ispoved’” (Confessione,1908). Nell’eremo di Capri, Il Nostro, lontano dalla patria, subiva una profonda ed irresistibile corsa della sua ansia religiosa [Satta, Boschian, L., La cultura e il potere. Da Ivan il Terribile a Sacharov. Edizioni Studium, Roma, 1987.]. Dopo il fallimento della rivoluzione di Febbraio del 1905 e la repressione sanguinaria dello zarismo, l’intelligencija liberale, sconfitta e fortemente perseguitata, abbandonava l’azione rivoluzionaria e la filosofia materialista, cercando approdi nella filosofia religiosa.

La nuova strada, presa dall’intelligencija, elevava i moti rivoluzionari a vita spirituale interiore. I marxisti gridarono al tradimento, poiché il cambio di fede degli intellettuali era l’abiura della visione utopica e delle cause storiche rivoluzionarie del proletariato. I reazionari (nobili, clero e borghesi) salutarono questa svolta, invece, come il fallimento dell’utopia e dell’azione marxista.

La “Bogoiskatel’stvo”  (La Ricerca di Dio), fatta nei primi anni del ‘900 da un gruppo d’origine simbolista, legato alla poetica del filosofo religioso Vladimir Solov’ev, cercava di fondere la rivoluzione con la religione. Presto, però, ci fu una scissione e l’ala radicale, rinnegando la ricerca di Dio, creava la “Bogostroitel’stvo” (La Costruzione di Dio). In sintesi, i “cercatori di Dio” erano fedeli al Cristianesimo tradizionale e ricercavano un “Terzo Testamento”. I “costruttori di Dio”, al contrario, volevano creare un Dio sociale o socialista, il proletariato.

A Capri, lo scrittore del Volga fu uno dei creatori di questa teoria [Strada, V., L’altra rivoluzione.- Edizioni La Conchiglia, Napoli, 1994.] . La “Costruzione di Dio” di Don Massimo (come Gor’kij era chiamato dai capresi) fu sempre” sùi gèneris”: amore per l’umanità, entusiasmo nell’uomo, umanesimo marxista o oggettivo, compatibile con il Cristianesimo. Era un mixer di Populismo, Marxismo e religione.

L’aspetto sociale quale visione utopica del marxismo sceglieva? Naturalmente, la bogdanoviana! Bogdanov, però, attendeva la salvezza dalla ragione, poiché, essendo uno “scientista”, affermava che la coscienza degli uomini doveva determinare il loro essere. Il Marxismo, respingendo questa teoria, dichiarava che l’essere sociale determinava la coscienza dell’uomo.

Il problema ideale dell’autore di Niznij-Nòvgorod era come “dominare” il suo essere sociale con la coscienza, che infrangeva, impietosamente, il suo idealismo primario.

La narrativa di “Confessione”, dedicata al caro amico d’infanzia e di tante battaglie Fjodor Saljapin, ci presentava lo scontro violento, nell’anima del protagonista Matvej, tra l’ansioso bisogno di fede e la ferma volontà d’essere marxista.

Il magma dello spirito edificava un poema in prosa con un vivo turbamento, insorgente da comprensione, partecipazione, commiserazione, pietà per il dolore altrui, riscoperta di una natura piena di meraviglie e di lirismo. Era una prosa, adagiata in ritmi religiosi, peccato veniale del gran narratore russo [Dillon, E, J., Maxim Gorky, his life and writings, London, 1902.].

La trama si dipanava con il racconto della storia di un uomo. Un bambino abbandonato era scoperto e soccorso dal diacono Larion, uomo meraviglioso, solitario ed affascinante (simbolo della Provvidenza), che lo portava in canonica. Con il passare del tempo, il piccolo, a cui era stato dato il nome di Matvej, si appassionava al padre putativo che, con una voce angelica, intonava canti liturgici in chiesa. Il trovatello cresceva in un mondo incantato tra bellissime giornate passate in chiesa, in un’atmosfera divina, e quelle delle passeggiate e dei giochi nella foresta (motivi che in seguito troveremo in “Detstvo”).

Matvej, diventato adulto, chiese al diacono: ”..Perché Dio aiuta così poco gli uomini?…” Il tormento della durezza della vita, i quesiti dell’età e le domande senza risposte all’Eterno fecero del giovane un” Cercatore di Dio”.

Questi, dopo tre anni di vita in convento e dopo aver consultato monaci, eremiti, starez, diventava un pellegrino illuminato, senza aver trovato la risposta al suo tormento.

Matvej, nel contempo, registrava l’aggravarsi del dolore nel mondo (tirannia della società classista/borghese) e la sua fede, nel Dio giusto ed onnipotente, vacillava precipitosamente. Un giorno, sul limitare di un bosco, il giovane incontrava un allegro vecchio forestiero di nome Jèhudilius  (pseudonimo di Gor’kij agli esordi nel giornalismo). Il viandante non parlava di verità ma insegnò al giovane tormentato che Dio era ancora da creare. “Da creare..? Chiese esterrefatto il giovane” cercatore di Dio? “I costruttori di Dio, chi erano? Gli operai! La fabbrica era la loro chiesa o luogo di pellegrinaggio!

Il simbolismo, qui, rappresentava lo sdoppiamento dell’anima di Gor’kij-Matvej, che cercava Dio e che lo trovava costruito dallo storicismo cosciente del Marxismo. Jèhudilius-Gor’kij era l’inviato, il messaggèro, l‘angelo del Socialismo (l’altra parte dell’anima d’Alioscia-Matvej), che annunciava la gloria dell’umanità socialista, il suo Dio sociale e la costruzione dell’Eden.

Ricalcando il principio evangelico che l’amore per il prossimo era l’amore per Dio, l’amore tra le masse dell’umanità socialista era l’amore per il loro Dio (Il proletariato), signore della vita e dell’eternità.

Il secondo simbolismo, usato dallo scrittore russo, ineriva alla persecuzione poliziesca di Matvej e degli operai socialisti, che chiudeva il periodo della” Ricerca di Dio” ed apriva il processo storico della “Costruzione di Dio”.

L’edificazione della Trascendenza avveniva quando il giovane operaio abbandonava la fabbrica (chiesa e luogo di ricerca contemplativa di Dio) per costruire, con la parola, l’azione, l’anima, la vita, la storia, la sua filosofia ed il Positivismo, il proletariato socialista (Dio sociale).

Il terzo simbolismo, presente in quest’opera, rappresentava il potere del Dio socialista di operare miracoli. Una paralitica, stesa su una barella, alle porte di un convento, attendeva che il Dio della vita e padre della storia compisse un miracolo. Al passaggio del corteo dei dimostranti socialisti, che chiedevano giustizia sociale, l’inferma, percorsa da un forte entusiasmo per questi giovani ed attraversata da una forza misteriosa e divina, si alzava dal giaciglio e si metteva a camminare, andando felice incontro al corteo.

“Va, la tua fede ti ha salvato!.”avrebbe detto il Rabbì Jeshoua, il Figlio dell’Uomo e padre della storia. La fede e l’amore nel socialismo, invece, avevano salvato la giovane paralitica, miracolata dal Dio socialista, figlio della storia.

In “Detstvo” (Infanzia, 1913), l’opera che iniziava l’autobiografismo del Nostro, il Dio di Gor’kij non era il Sabaoth (Dio degli eserciti) dello Shabbath del “Vecchio Testamento” ma quello dell’aspra critica parallela alle virtù ipocrite, alle analisi e sintesi intellettuali ed utopiche. Un “Ente”, quindi, diverso da quello del “vecchio stregone” (Lev Tolstoj).

Il disadattato Alioscia, suo malgrado, aveva edificato il suo “cristianesimo”, senza che l’ideologia marxista potesse scardinarlo. L’opinione pubblica, dunque, che pensava che il Nostro fosse l’antidio, il nemico della borghesia e dei popi della vecchia Russia, aderiva ingenuamente alle fantasie del proletariato. Il grande scrittore russo fu sempre ricordato come il poeta dei vagabondi, dei diseredati e disadattati. Il senso era religioso, non letterario, perciò da un punto di vista ideologico, significava non addottrinato e quindi non marxista. La considerazione estetica della critica bolscevica trascinava Lenin, amico fraterno di Gor’kij, in una furibonda diatriba con lo scrittore. Nell’attacco durissimo che, nel 1913, i bolscevici massimalisti condussero alla “Ricerca di Dio” di Dostoevskij anche il “Figlio del Volga” precipitava nella spirale della polemica. Una voce interiore, quella dell’anima ma soprattutto quella della sua adorata nonna, lo faceva recedere e, per non urtarsi con l’amico Uljanov, dichiarò: “La Ricerca di Dio va accantonata temporaneamente!”. Questo ripensamento strategico faceva inferocire Lenin. La lotta di classe, elevata a dogma e distruttrice dell’Umanesimo cristiano non aveva “humus” nella religiosità e bontà di Maksìm, vaccinato da questa forza, nella sua disgraziata infanzia, come aveva dichiarato il vate del Simbolismo russo AA. Blok [Bjalik, B, A., M. Gor’kij, literaturnyi, Moskvà, 1960.].

Nell’analisi e sintesi caratteriale e formativa dello spirito e dell’anima russa, l’ex “Figlio del vento” assunse una posizione di forte contrasto con i comunisti massimalisti, accusati di usare la Russia come laboratorio d’esperimenti per il mondo rurale delle tante etnie, sollecitato, a viva forza, a diventare di colpo marxista. La tragedia (Gor’kij fu buon profeta) colpì, immediatamente, la classe operaia, perché addottrinata dalle cellule comuniste e perché rappresentava la forza industriale del futuro. Una delle sue ultime opere “I sopravvissuti” fu falcidiata dalla critica della Pravda, organo del regime, poiché l’autore l’aveva definita”..un’imprecisata allegoria cristiana..”. “… L’anima (il Nostro si riferiva a Dio) è forza ma anche un equivoco che nemmeno lo storicismo cosciente ha abbattuto nei russi…”, affermava lo scrittore di Niznij-Nòvgorod. Essa, stanca della sua doppiezza, delle menzogne e del potere staliniano, si abbandonava a se stessa. Lo spirito vigile, allora, parlava di lei e narrava i suoi slanci geniali. Il tormento della verità, libertà ed il pensiero del Dio della baba erano degli elfi che lo assalivano, durante la tirannia stalinista. La speranza del Nostro nutriva un sogno che, con un’atmosfera strana, aleggiava nella possibilità che il suo mondo (umanità e società) donasse al lettore il bisogno ma soprattutto il desiderio di credere che il domani, senza la filosofia della storia ed il sole rosso del socialismo, sarebbe stato migliore. Gor’kij divenne una fonte nello scacchiere del mondo metafisico e, nel contempo, una pedina nel gioco cruento della storia, più grande di lui, che il “Piccolo Padre” (Stalin) muoveva e che alla fine distrusse [Tufarulo, G,M., Gor’kij, l’autobiografismo realista e il Socialismo senza sponde. “Corriere del Giorno”, Taranto, 2002. Tufarulo, G, M., Gor’kij ed il mito della letteratura cosciente. Dall’uomo-eroe al popolo-eroe, viaggio nel romanticismo rivoluzionario. “Corriere del Giorno”, 10 dicembre 1996, pag. 3]

Da qui: http://www.literary.it/dati/literary/t/tufarulo/il_costruttore_di_dio.html

Rispondi