Liberi e Uguali – Previsione di un fallimento annunciato

1. Alle elezioni, io voterò Liberi e Uguali, in quanto unica forza di sinistra (non considero Potere al popolo, seppure rispettabile: troppo marginale e troppo lontano dal poter arrivare al 3%).

Credo che LeU, se avesse un leader indiscusso e capace di comunicare, e se fosse unitario cioè non lista elettorale formata da tre soggetti politici, potrebbe sfondare a sinistra. Al contrario, credo che non raggiungerà il 7%, e temo che fallirà anche il 6%. Spero di sbagliarmi. Sono sicuro che non arriverà alla doppia cifra auspicata da D’Alema.

In poche parole, credo che LeU fallirà alle elezioni, e si dividerà dopo. Come mai? Perché Grasso e Boldrini e Bersani non dovrebbero essere i suoi leader. Dovrebbe esserlo il più bravo a comunicare tra Civati, Speranza e Fratoianni, ossia Civati. Questi tre quarantenni dovrebbero presenziare in televisione, descrivere il programma, avere una comune strategia comunicativa per creare consenso. Purtroppo non è così, i tre presunti giovani leader sono delle mascotte in mano ai vecchi. Inoltre pare non si parlino e non si intendano granché nemmeno tra loro. LeU, come dice giustamente Richetti del Pd, è solo una lista elettorale di tre soggetti divisi quasi su tutto, destinata a scomparire dopo le elezioni. Purtroppo LeU ha fatto gli stessi errori della Sinistra L’arcobaleno e di Rivoluzione civile di Ingroia.

Ci voleva un soggetto unitario, con un leader giovane e capace, per risollevare la sinistra. E un target: riprendersi gli elettori di sinistra, specie i giovani, che da anni votano il M5S. Il target elettorale di LeU dovrebbe essere quello di sfidare il M5S con una serie di proposte, e invece che fanno? Rispondono (e in modo contraddittorio) sulla possibilità di essere alleati con il M5S, dimostrandosi subalterni e incapaci di offrire qualcosa di meglio. Stesso errore fatto sulle candidature Gori e Zingaretti in Lombardia e Lazio: non hanno fatto proposte alternative al Pd, hanno solo deciso se votare i suoi candidati o no.

LeU avrebbe le possibilità di sfondare il 10% se solo avesse un vero leader con una linea chiara, capace di sfidare il M5S, di mettersi in competizione con i suoi temi, a partire dal reddito di cittadinanza, dai temi ambientali, dalla riduzione dello stipendio dei parlamentari. Purtroppo, invece, fallirà. E quel che è successo a Civati nel compilare le liste elettorali esemplifica i motivi del suo fallimento.

2. Civati. Non è stato candidato a Milano o Monza, sua sede naturale. È uno dei tre leader di LeU, eppure è stato sacrificato, forse non sarà eletto, essendo stato candidato nelle roccaforti leghiste di Bergamo e Brescia. Quanto conta Civati? Meno di zero. Ha detto: Se volevate la mia presenza solo per la foto con Grasso, bastava dirlo. Pare abbia scagliato il patto che avevano sottoscritto contro Fratoianni, quando hanno compilato le liste elettorali. Fratoianni ha imposto uno dei suoi in Sardegna, dove i circoli territoriali di LeU avevano candidato uno di Possibile. Causando un grave scandalo in Sardegna. Inoltre Boldrini, in forza SI, ha scavalcato Civati, decidendo di candidarsi a Milano. Un vero sfregio, una umiliazione per Civati. Possibile non ha suoi rappresentati in 9 regioni su 20 ossia è assente in quasi tutto il sud Italia. Il circolo di Possibile della Calabria, con un comunicato ufficiale, ha dichiarato che Possibile-Calabria non fa più parte di Liberi e Uguali. Il movimento Possibile di Civati è vicino alla disgregazione, perché Speranza e Fratoianni (ma forse più Grasso, Boldrini e Bersani) gli hanno lasciato solo le briciole. È una situazione incredibile. Civati ha dovuto inghiottire sangue amaro. Lo hanno clamorosamente estromesso da ogni potere decisionale. Da ora in poi, quel che dice lui, non conta più. Per quanto ripeta: chiederemo ai nostri elettori con chi allearci dopo le elezioni, è chiaro a tutti che dopo le elezioni a comandare e a dettare la linea saranno gli eletti (non certo gli elettori) ossia Grasso, Bersani e Boldrini prima di tutti. Forse anche Fratoianni, ma nel caso comanderà una fragia che si discosterà dal Art. 1 – Movimento democratico e progressista. Ora Civati si sta accorgendo (spero) dell’errore che ha fatto, quando ha accolto Grasso a braccia aperte. E si sta accorgendo di cosa vuole dire fare una coalizione con altri due partiti quando il proprio è il meno quotato. Avrebbe dovuto proporre a Speranza e Fratoianni delle primarie per eleggere tra loro tre il leader, e per formare, insieme a loro, la vera cabina di comando di LeU, ma non ne ha avuto la forza, o non c’erano le condizioni. E così ora si trova in una lista elettorale che ha annullato l’impegno di oltre due anni che Civati ha profuso in Possibile, una lista dove forse Possibile eleggerà due o tre parlamentari, e che probabilmente si dividerà dopo le elezioni. Non deve essere facile per lui fare campagna elettorale, a fianco della Boldrini, e con il sorriso sulle labbra.

3. Fratoianni e Speranza. Chi sono costoro? Speranza dovrebbe essere il leader del partito di maggioranza di LeU. Non si vede mai in tivù, pochi lo conoscono. In pratica è la mascotte di Bersani. Si è assicurato un seggio sicuro in Toscana. Fratoianni? Non pervenuto. Pochissimi lo conoscono. Molto bravo nell’ombra ad accaparrarsi seggi a scapito di Possibile. Anche lui ha un seggio garantito in Toscana.

4. Grasso e Boldrini. La strana coppia rappresenta la bandiera di LeU. Grasso sembra un vecchio frastornato, ogni volta che compare in televisione. Non ha minimante chiaro dove andare a parare. Dice solo di ridare vita alla sinistra. Non ha saputo mediare tra Civati, Speranza e Fratoianni durante la compilazione delle liste elettorali. Si è limitato a preoccuparsi di candidare alcuni suoi uomini di fiducia. Da quando è stato messo capo di LeU, le quotazioni di LeU sono diminuite. Laura Boldrini è una donna in preda a una specie di crociata missionaria personale. Ha deciso di candidarsi in Lombardia, a Milano, sottraendo il posto a Civati, per sfidare Salvini, che peraltro si è candidato anche altrove. Vuole fare lotte sui migranti, sulle donne, sempre apparendo come vittima di violenze da parte degli altri politici o dei cittadini dei social forum. Il suo personaggio, con gli anni, è diventato molto ingombrante, e ha acceso antipatie personali quasi quanto quelle accese da D’Alema. Di certo, non porta voti a LeU.

5. Bersani. Imperversa in televisione, rendendo evidente a tutti che è lui il leader di Liberi e Uguali. Rispettato se non stimato da tutti, giornalisti e oppositori. E questo è segno chiaro che parliamo di uno dei più incapaci politici di sinistra. Non dico che sia incapace come ministro, come amministratore, come parlamentare. Dico come politico, ossia come persona capace di comunicare, farsi capire, porre in atto una strategia per creare consenso sulle sue posizioni. Bersani non ha carisma, non sa mai quale target avere in campagna elettorale. Cinque anni fa, dopo la totale disfatta di Berlusconi, riuscì nell’impresa di vincere a malapena, raccogliendo solo il 26% dei voti, al termine di una campagna elettorale in cui parlava di smacchiare il giaguaro e di altre metafore incomprensibili. Nell’attuale, continua a parlare male del Pd, dice che è il Pd a fare il gioco di Berlusconi candidando Casini in Emilia, come se l’Ulivo o il Pd di cui lui stesso faceva parte non avessero candidato o sostenuto Mastella, Dini, Follini (se Follini sì, perché Casini no?). Poi, di solito, Bersani dice in televisione tutte le leggi del Pd che sono state fatte con Renzi o Gentiloni che non sono di sinistra, che sono sbagliate. Si ricorda che lui e Speranza le hanno votate? O è in preda a demenza senile? Come minimo dovrebbe dire che ha sbagliato a non essere uscito prima dal Pd! Proprio perché il Pd faceva tutte quelle leggi! A Marco Damilano dell’Espresso che, qualche giorno fa, gli ha chiesto: Se il Pd è diventato di centrodestra, voi di LeU dovreste avere spalancate intere praterie a sinistra, e allora come mai siete fermi al 6%, Bersani non ha saputo rispondere. Invano, poi, altri giornalisti hanno cercato di fargli fare autocritica. Non ha minimamente capito dove ha sbagliato il centrosinistra in passato. Sulle liste elettorali di LeU, si è vantato che sono riusciti ad aver rispettato nella stragrande maggior parte dei casi le indicazioni territoriali. Immagino che Civati non sia molto nei suoi pensieri. Sulle alleanze post elettorali, non sa cosa dire. Del M5S non sa cosa dire, oltre a porre dubbi sulla loro posizione circa l’antifascismo, il razzismo ecc.  Io mi chiedo: Bersani quando va in televisione ha chiaro nella testa che dovrebbe avere un target? Vale a dire, ha una chiara strategia per allargare il misero consenso elettorale di LeU? A chi pensa di sottrarre i voti? Non certo al M5S: da quel che dice, crede che voteranno LeU gli scontenti del Pd e le persone di sinistra che altrimenti non andrebbero a votare. E infatti non supereranno il 6%.

6. Veniamo a D’Alema. In Leu è l’unico che ha iniziato la campagna elettorale a fine dicembre, molto prima della compilazione delle liste elettorali. Da privilegiato, sapeva già che avrebbero rispettato il suo desiderio di candidarsi nel Salento, chi mai poteva dirgli di no? E così tornerà in Parlamento. Per anni ha detto che non era interessato a riprendersi la sedia di parlamentare, ha fatto finta di aver accettato la “rottamazione” di Renzi dicendo di volersi occupare solo della sua Fondazione Italianieuropei. Poi, ha deciso di far fuori Renzi che, non solo lo aveva eliminato dal Pd, ma voleva fare la riforma elettorale e istituzionale che a D’Alema era fallita (la famigerata bicamerale). Lo smacco personale era troppo. Così D’Alema ha fatto apertamente campagna per il No al referendum, rifiutandosi di confrontarsi con Renzi; aiutato da Berlusconi, che sul referendum ha mollato Renzi (così come aveva mollato D’Alema per la bicamerale), è riuscito a far dimettere Renzi. E da lì Renzi e il Pd sono caduti in disgrazia. Per farsi rieleggere, Renzi ha dovuto subire la scissione di Mdp, ossia della sinistra del partito, che finalmente si è allineata sulla posizione anti-renziana di D’Alema. Vale a dire: occorre eliminare Renzi, un alieno che si è impossessato del Pd. Questa posizione, va detto, non è riconducibile solo a una rivalsa narcisistica personale, ma anche a valutazioni politiche, perché di certo D’Alema è sinceramente contrario alle riforme centriste compiute dai governi Renzi-Gentiloni. Fatto sta che D’Alema, ora come ora, se la gode, sta per essere rieletto, e si tiene ai margini della mischia elettorale, aspettando di vedere quale sarà l’assetto di LeU dopo le elezioni. In una intervista al Corriere, ha pronosticato un “governo del presidente” dato che nessuna coalizione avrà la maggioranza elettorale; scopo di questo governo dovrebbe essere quello di scrivere una nuova, decente legge elettorale. Facendo questa affermazione, D’Alema ha fatto intendere che farà di tutto affinché LeU partecipi a un governo di larghe intese, con lo scopo apparente di limitarsi solo a legiferare sulla legge elettorale. Ora, poiché questo ipotetico governo non potrebbe fare a meno di Forza Italia, non si capisce come, storia alla mano, potrebbe partorire una decente legge elettorale. Inoltre, dal governo Dini (che prese il posto di Berlusconi, sostenuto dalla sinistra di D’Alema dopo essere stato ministro di Berlusconi; lo stesso Dini rimarrà poi per molti anni nel centrosinistra per far cadere il secondo governo Prodi, insieme a Mastella) dicevo, dal governo Dini in poi, la storia d’Italia parla di molti governi di transizione che dovevano solo limitarsi a una o poche riforme: sappiamo come è finita, quei governi hanno fatto tutt’altro, hanno rotto coalizioni, creato nuovi partiti, prodotto scambi di personaggi ambigui tra destra e sinistra e a lungo andare hanno portato la sinistra alla situazione attuale. Ma D’Alema è uno coerente, che persevera. Purtroppo nell’errare. Questa sua uscita ha screditato LeU, ma di certo è condivisa da Grasso e Bersani: non si capisce allora perché accusare il Pd di voler governare insieme a Berlusconi: in fondo, tra le righe, è quel che ha proposto anche D’Alema, con l’escamotage di parlare di governo del presidente con un programma limitato alla legge elettorale.

Conclusione. In realtà, la proposta di D’Alema presagisce la fine di LeU che, con tutta probabilità, si disgregherà dopo il fallimento alle elezioni. Ma non tanto per il fallimento in termini di voti, quanto per i diversi progetti tra le diverse anime della liste: MdP da una parte e SI e Possibile dall’altro. Vale a dire, dopo le elezioni, Possibile sarà distrutto, o quasi, con Civati probabilmente fuori dal Parlamento o del tutto marginalizzato. Sinistra Italiana tornerà a non voler far alcun patto con il Pd, mentre MdP, con quei geni di D’Alema, Grasso, Bersani, cercherà in tutti i modi alleanze, ossia di tornare forza di governo, rivolgendosi, è inevitabile, al Pd di Renzi. Probabile anche Grasso da qui a qualche anno lascerà la politica, per godersi la pensione. Chi resterà? Speranza?

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