Nessuno è Cristiano.

La terza virtù e il paradiso a portata di mano.

Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1435
Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1435

Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro,
ed ecco, tutto per voi sarà mondo.

San Luca, 11, versetto 41
(Versione riveduta e finalmente riconosciuta dalla CEI)

Dopo aver letto il brano del fariseo[1] che invita Gesù a pranzo, Vangelo di San Luca, 11, 37 e 54 – ci si imbatte nel versetto 41, in greco antico: “….. πλὴν τὰ ἐνόντα δότε ἐλεημοσύνην, καὶ ἰδοὺ πάντα καθαρὰ ὑμῖν ἐστιν”.
E fin qui ci siamo, testo greco ufficiale e punto! L’inghippo si presenta al momento della traduzione e interpretazione del versetto 41, di fondamentale importanza per l’esatta comprensione della terza musa del Cristianesimo:
_________________________ La Carità.
Come insegnatomi dal mio primo maestro di pensiero, il prof. Enzo Ranieri (per la cronaca, mio nonno), mi sembra doveroso sottolineare che secondo la traduzione italiana dell’edizione Salani, di 1954 anni dopo Cristo (SIC!), con introduzione e note di G. Ricciotti[2],– traduzione dovuta peraltro a una schiera di traduttori che elenchiamo in nota[3] -, così come molti testi ufficiali, che riportavano cioè la versione e interpretazione italiana ufficiale della Chiesa, veniva erroneamente interpretato e tradotto quel “τὰ ἐνόντα” come la traduzione italiana dal corrispettivo latino “quod superest”, ovvero “quanto [vi] avanza”, ciò che avanza nei vostri piatti.

È bene dire che la Chiesa fino all’edizione Salani del “54 e per quasi altri due decenni, quindi colpevolmente per secoli, ha interpretato la parola del Nazareno facendogli dire di fare Carità, ποιεῖν ἐλεημοσύνην, con ciò che avanza nel proprio piatto, quindi ciò che per il buon cristiano sia inutile avanzo che andrebbe buttato. Ad avvalorare la tesi che l’interpretazione del versetto 41, quel “τὰ ἐνόντα”, fosse una forzatura non innocente da tanta parte della Chiesa Cattolica (tutt’oggi tanto cara alla Chiesa Anglicana, Protestante, Mormoni etc… che è bene ricordarlo, considerano il benessere dell’uno privilegio voluto da Dio, a discapito dei miliardi di poveri e affamati, …), si fa presente che nello stesso brano di San Luca, un altro versetto recita un “τό έξωθεν”, che a sua volta viene tradotto in latino “[4]quod deforis est” (calicis et catini), e successivamente in italiano con “ciò che è fuori” (dal calice e dal piatto), ovvero “esterno”, la parte esteriore del calice e del piatto.

Sillogisticamente potremmo quindi dedurre che se quel “τό έξωθεν” è “quod deforis est”, “ciò che è fuori”, il suo contrario, ovvero il famoso “τὰ ἐνόντα”, – come impone il participio neutro plurale di “ἐνεἰμί”= “sono in”, “sono dentro” – andava chiaramente tradotto dal principio come “ciò che dentro”, “le cose che sono o stanno dentro” il piatto!!!

Appare chiaro dunque quanto la “comoda” traduzione latina “quod superest”, “ciò che vi avanza”, sia stata per secola seculorum un vessillo di carità in totale contrasto col pensiero cristiano, e assoluta volontà del [5]potere temporale della Chiesa:

si dia al povero ciò che non ci occorre, che avanza, dopo che avremo gozzovigliato e soddisfatto noi stessi
(non solo a livello materiale: i nostri bisogni, le necessità di cibo o qualsivoglia autosoddisfazione si possa condisiderare, ma anche le nostre ingordigie, i nostri stravizi).

Ecco il paradiso a basso costo, lì ad aspettarci a braccia aperte, un paradiso creato e predisposto per accogliere la nostra cialtroneria, le nostre furbizie, la nostra bacchettona ipocrisia!

Sia ben chiaro che qui non si sta né si vuole togliere valore alla Carità, terza musa della nuova mitologia del Cattolicesimo, che costituisce la rivoluzione umana originale ed eternamente moderna della dottrina Cristiana, che scuote animi e coscienze sotto lo sguardo infallibile di Dio; bensì restituire alla stessa ἐλεημοσύνη tutta la carica esplosiva e non blasfema della “caritas”, di quel “τὰ ἐνόντα” che costituisce l’integrità dell’essere che dona e si dona all’altro.

E’ assolutamente inutile recitare a memoria passi del Vangelo interpretandone la versione a noi più comoda, o funzionale. Sarebbe più opportuno – al di là di un qualsivoglia sistema religioso che prevede una ottusa accettazione di/per “fede” – ricordare che lo stesso Cristo si sciolse “il cinto” e frustò, cacciò e minacciò i “mercanti” che profanavano il tempio, laddove la parabola sarebbe sempre da interpretare non alla lettera, mettendo in discussione noi stessi, la nostra identità, convenienza personale, mercificando le nostre coscienze fino alla prostituzione intellettuale.

Il pensiero di Cristo, a noi tramandato dalle Sacre Scritture, insegna al contrario che oltre alla Carità, certamente elemento di edificazione e di salvificazione nella sfera individuale, occorre anche la protesta, lo sfascio del tempio, la rivolta, la giustizia sociale nella sfera del collettivo.

Mi piace dunque concludere questo forse noioso e puntualizzante excursus, citando le parole “incazzate” di un Cristo rivoluzionario, come riportate nella “[6]Lettera di San Giacomo”, 5:

Ebbene adesso ricchi piangete, urlate a motivo delle miserie che verranno sopra di voi, le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state rose dalle tarme, l’oro e l’argento si sono imbruniti….” e continua “… voi avete frodato la mercede degli sfruttati e il grido di vendetta è giunto all’orecchio del Signore degli eserciti”.

Come si fa dinanzi a un tale rabbioso grido di dolore per il male che l’uomo coscientemente organizza per il suo prossimo, a non rispondere con un doveroso: “Amen”, “e così sia!”?

 

natàlia castaldi

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Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who’s there
 
Feeling unknown
And you’re all alone
Flesh and bone
by the telephone
Lift up the receiver
I’ll make you a believer

I will deliver
You know I’m a forgiver
Reach out and touch faith
Your own personal Jesus
Reach out and touch faith
Reach out and touch faith
Reach out and touch faith

Martin Gore, Depeche Mode, Songs of Faith and Devostion

[1] Dal dizionario Garzanti: sostantivo maschile; al femminile farisea, pl.m. -ei, pl.f. -ee

  1. chi ostenta rigorismo morale, preoccupandosi però più dell’apparenza che della sostanza; ipocrita
  2. presso gli antichi ebrei, seguace di un movimento politico e religioso che teorizzava una rigorosissima osservanza della legge mosaica

Etimologia: ← dal lat. tardo pharisāeu(m), dal gr. pharisáios, adattamento dell’aram. parschi pl., propr. ‘i separati’; il sign. di ‘ipocrita’ si riconduce alle caratteristiche attribuite ai farisei nel vangelo.

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Ricciotti

[3] traduzioni di G. Bonaccorsi, G. Castoldi, G. Giovannozzi, G. Mezzacasa, F. Ramorino, G. Ricciotti, G.M. Zampini.

[4] google book

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Potere_temporale

[6] E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che 
cadranno su di voi 2 Le vostre ricchezze sono marce, 

3 i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni![4] Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente.[5] Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e 
vi siete ingrassati per il giorno della strage. 

[6] Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto 
resistenza.

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