Scambio di sguardi: La La Land

LAND

Punti di vista a confronto: Francesco Torre e Marco Olivieri

LA LA LAND

Regia di Damien Chazelle. Con Emma Stone (Mia), Ryan Gosling (Sebastian), John Legend (Keith).

Usa 2016, 127’.

Distribuzione: 01.

La recensione di Francesco Torre

Mia lavora al caffè della Warner a Hollywood, partecipa continuamente (e invano) a audizioni e sogna di diventare un’attrice. Sebastian è un pianista con una sconfinata passione per il jazz, per racimolare qualche soldo suona in improbabili e mortificanti (per lui) contesti e ha come obiettivo personale e professionale dichiarato la gestione di un locale per appassionati di Miles David e Louis Armstrong. Del loro passato non sappiamo nulla o quasi, si materializzano dal nulla come ombre evanescenti, marionette nel cielo di carta di Los Angeles, completamente al di fuori di qualsiasi contesto socio-politico e culturale.

Dopo l’ottimo, intimista e sincopato “Whiplash”, Damian Chazelle conferma ambizioni e talento visivo, stavolta a servizio del musical, che non ricordavamo dai tempi di “Romeo+Giulietta” e “Moulin Rouge” di Baz Luhrman. La spettacolare sequenza iniziale in tangenziale, i continui movimenti di macchina, l’inseguimento perpetuo dei corpi degli attori sono segnali di incredibile vitalità, ed è esaltante il ritmo del montaggio nelle scene squisitamente musicali.

Godibile, anche se poco comprensibile, la colonna sonora: in un film che mette al centro il jazz come filosofia di vita, non si comprende perché il motivo centrale debba essere una lacrimevole sbobba melodica.

A parte questo, però, è la vacuità dei dialoghi, il facile citazionismo (che a tratti sconfina nel furto di idee: la sequenza finale del “what if” di grande impatto emotivo l’avevamo già vista e fortemente amata in “Mommy” di Dolan), l’assenza di muscolarità nelle scene di danza (Gosling può forse giocare a rifare Belmondo, ma non è lontanamente paragonabile a Gene Kelly) e più in generale la sensazione di un tentativo di regressione del meccanismo linguistico al periodo “pre-adolescenziale” del cinema classico hollywoodiano a disegnare un quadro d’insieme anacronistico e ultrapatriottico, utopico e distopico insieme, probabile primo esempio del nuovo (si fa per dire) cinema americano in epoca trumpiana.

 

Francesco Torre

 

Scheda pubblicata sul Quotidiano di Sicilia di giovedì 9 febbraio 2017.

La recensione di Marco Olivieri

Non è solo un intrattenimento di classe. Dallo strepitoso incipit, con i canti e balli in mezzo al traffico automobilistico, fino alla (in apparenza) prevedibile storia d’amore tra l’aspirante attrice Mia e il pianista innamorato del jazz Sebastian, “La La Land” è una rivisitazione del genere musical, ma non solo, frutto di una sceneggiatura in funzione di una regia curatissima. Dopo “Whiplash”, Damien Chazelle, classe 1985, in ogni inquadratura e ogni movimento della macchina da presa, si confronta in chiave gioiosa, eppure amara, con Hollywood, l’ingenuità di un tempo nel seguire il sogno cinematografico e la necessità di rifondare il mito del grande schermo.

Tra la libertà creativa (il jazz) e lo scontro con la realtà, l’esigenza di sbarcare il lunario e la grinta nel perseguire i propri desideri, si sviluppa una narrazione che indaga sulla dialettica tra realismo e favola, l’amore e il mestiere di vivere, la realtà e le sue rappresentazioni, le riprese nelle strade autentiche e l’antica idea del cinema di ricostruire tutto in studio. Gioco e invenzione visiva, situazioni narrative scontate ma reinventate in chiave creativa si mettono in evidenza grazie alla regia di Chazelle, con la fotografia (dalle molteplici variazioni cromatiche) di Linus Sandgren, il montaggio di Tom Cross e la colonna sonora di  Justin Hurwitz.

Alla prima parte musicale segue uno sguardo cinematografico sulla solitudine e l’incomprensione nei rapporti. Emma Stone (“Birdman”, “Irrational Man”), Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia, combina recitazione realistica e il fascino delle attrici senza tempo, ben affiancata da Ryan Gosling (“Half Nelson”).

Girato in pellicola con le lenti Panavision, “La La Land”, nelle intenzioni del regista, ha come modelli musical (tra gli altri) “Singin’ in the Rain” e “Les Parapluies de Cherbourg”. Modelli rielaborati senza celare una visione amara e contemporanea dell’esistenza, perché l’immagine filmica svanisce e ricomincia la vita, in una riflessione che pone al centro il mestiere dell’attore e di chi si esibisce su un palcoscenico, sempre nel segno del contrasto tra vita e rappresentazione.

Sette i Golden Globe vinti e 14 le candidature all’Oscar per un film che non va né esaltato acriticamente né ridimensionato a causa dell’attenzione dell’Academy e del clamore. Chazelle trasforma una sceneggiatura non impeccabile, in un equilibrio narrativo non sempre efficace tra prima parte musicale e seconda parte con spunti più complessi, in un bel film sospeso tra passato e futuro del cinema. Il suo senso della visione diverte e stimola con un retrogusto di amarezza.

Marco Olivieri

Buona parte della recensione è tratta dalla rubrica “Visioni” del settimanale “100nove Press” del 2 febbraio 2017.

Immagini tratte dalle pagine Facebook del film.

 

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