ArnesiDaSuono – Sarangi: sonorità magnetiche della musica indiana

di Marta Cutugno

Quando uno strumento musicale offre al musicista la possibilità di spaziare abbondantemente nel campo delle colorature dinamiche, il protagonista – che è tramite tra l’impercettibilità dei suoni e la materia chiamata a produrli – può usufruire non di una ma di mille e più voci espressive per comunicare attraverso la sua musica. Così avviene per il sarangi a cui è dedicato questo spazio per la rubrica ArnesiDaSuono.

Strumento ad arco, strumento principe della cultura indiana: il sarangi. Etimologicamente, il termine deriverebbe da seh (tre) e rang (colori) oppure da sau (cento) e rang (colori), con chiara allusione alle “centinaia di colori” ovvero alle innumerevoli possibili sfumature di suoni che è possibile ottenere dallo strumento. Nella storia della musica indiana, le primissime tracce del sarangi risalgono al XVIII sec ed ancora oggi, questo strumento risulta estremamente conosciuto ed utilizzato nel nord dell’India, del Rajasthan, del Pakistan dell’Afghanistan ed in Nepal. La sua prima destinazione è quella di strumento solista e successivamente verrà impiegato nella musica etnica, classica e popolare anche per accompagnare la voce o le rappresentazioni coreografiche. Ricavato da un unico pezzo di legno di cedro che comprende cassa di risonanza e manico, il sarangi si presenta come una viola dalla forma tozza. La cassa è coperta di pelle di capra, mentre la tavola armonica è sostenuta e rinforzata da una correggia in cuoio; il ponticello in osso sostiene quattro corde di cui tre di budello – accordate su tonica, dominante e ottava del raga (impianto strutturale di base della musica indiana, sorta di modo) – ed una metallica al’ottava. Le quattro corde di base vengono accordate e registrare nell’intonazione grazie ai quattro grossi piroli sistemati nella parte alta dello strumento e sono, a loro volta, accompagnate da più di quaranta corde di risonanza in metallo dette Tarab, suddivise in due distinte sezioni, una accordata secondo il raga e l’altra secondo la scala cromatica. Le corde Tarab sono collegate a piccoli piroli sistemati in alto e lateralmente e non sfiorano mai l’arco o le dita dell’esecutore.

Per suonare il sarangi, la posizione ideale che lo strumentista deve assumere impone di tenere il corpo dello strumento in posizione verticale sulle gambe, adagiandolo al collo ed al grembo. La mano destra, con il palmo rivolto verso l’alto, tiene l’arco, che deve essere necessariamente robusto come quelli utilizzati per gli strumenti occidentali. La mano sinistra blocca le corde non con i polpastrelli, come è abitudine per gli archi, ma con il dorso delle unghie – premendole di lato da sinistra verso destra – stabilendo così l’intonazione delle note da eseguire sulla tastiera e producendo, quando richiesto, anche l’effetto glissando, che è tipico delle sonorità indiane. Entrambe le mani vengono solitamente cosparse di talco per agevolarne lo scivolamento delle dita sullo strumento. Nella rosa di tutti gli strumenti musicali esistenti, il sarangi si distingue ed è noto per le difficoltà esecutive e di accordatura, per l’intonazione flessibile e per le sonorità morbide ed espressive che riportano inevitabilmente a quelle della voce umana.

Immagine di copertina da rajacademy.com

 

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