“Tira Scirocco”, il romanzo di Monica Gentile

Pubblichiamo l’incipit e un estratto dal capitolo nono del romanzo “Tira scirocco” di Monica Gentile (Pacini Editore), premio letterario “Edizione Straordinaria” e menzione al Premio Calvino.

INCIPIT
S’è messo a piovere a tradimento, l’acqua cade a secchi, i santi hanno deciso di strizzare il cielo. Al camposanto sono le quattro passate, ma sembra notte. Poi tutt’assieme, così com’è arrivato, l’acquazzone finisce. La strada davanti alla baracca dell’americano è allagata, perciò il barone manda Luzzo, il suo autista, a comprare i fiori. Col mazzo di crisantemi bianchi in una mano e l’ombrello nell’altra, il barone supera la cancellata di ferro, inghiottito dall’odore rancido di fiori andati a male e di muffe di terra. Di solito Luzzo si piazza davanti la Lancia Aurelia berlina col braccio sopra al tetto lucido, e si fuma due, tre sigarette. Oggi l’umidità gratta le ossa, ma pur di fare quattro tiri, Luzzo s’è acceso una Nazionale e s’è messo a passeggiare avanti e indietro per scaldarsi.
Il cimitero di Bagnomaria è una colata di cemento. I vicoli s’assomigliano tutti: bianchi come ossa di morti. D’estate dal marmo salgono vampate che ti scorticano vivo, gli unici a star bene sono i vermi, al fresco dentro alle tombe e ben nutriti. Dicono che la morte tratta a tutti uguale. Questa regola a Bagnomaria non vale. Chi ha soldi si fa costruire angeli, vergini piangenti o cappelle in travertino decorate; per i morti di fame, invece, solo una coperta di terra, una lastra, una croce nuda e una scritta.
Il barone va spedito verso il “gesso”, così la chiamano la scultura dell’ultima cena con Gesù e i dodici apostoli alti quanto un uomo. Il gesso fu regalato al comune dal notaio Vinciguerra, donazione che gli servì a sgravarsi l’anima e a lustrarsi la coscienza. Il peccato suo più grosso era una figlia nata da una donna a servizio che morì di parto appena la collocò al mondo. Per nascondere il frutto del peccato e della vergogna, la piccola bastarda fu affidata al Pio Istituto Caritatevole degli Orfani di Santa Teresa. Giacomino Vinciguerra pagava le rette, le mandava bei vestiti e scarpe di ottima fattura, ma la ragazza era tosta di carattere. A sedici anni scappò dall’orfanotrofio e finì in città a battere i marciapiedi. Una notte la trovarono in un vicolo, massacrata.

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CAP. 9
A Bagnomaria stranieri non ne vengono. Coi pochi che ci sono stati di passaggio non c’abbiamo mai fatto pane. Da che ci ricordiamo, sono capitati da queste parti solo un maresciallo che, sicuro, stava scomodo a qualcuno, e un prete che chissà quali peccati doveva espiare. Noi poca confidenza sempre. Non ci fu uno, in tutto il paese, che andò a confessarsi o a comunicarsi da don Ferrari. Il prete e il maresciallo fecero domanda di trasferimento qualche mese dopo, non ci potevano resistere in un paese che voleva sapere tutto di loro e poco voleva raccontare di sé.
Nemmeno a stare qua dieci anni ci puoi diventare uguale sputato a noi; ci vuole una vita, ci vuole nascere in questo paesaggio, col vento che t’irruvidisce il carattere e il mare che ti rende smanioso; se vivi qua vuoi scappare, se te ne vai vuoi tornare; non puoi emigrare senza crepare di nostalgia, non puoi restare senza maledire ogni pietra, ogni albero, ogni granello di sabbia. Quando il paese fece cent’anni, ci fu festa grande. L’amministrazione comunale fece sfilare la banda musicale, offrì vino e mastazzoli a tutti e ordinò un cartello con un messaggio da mettere all’ingresso del paese. Era bianco con la scritta nera: “Benvenuti a Bagnomaria”. Finita l’euforia del momento e passati un paio di giorni, il cartello sparì, lo ritrovarono in un fossato. L’amministrazione pensò alla bravata di quattro ragazzacci perciò decise di ripiantarlo nello stesso punto esatto. Ma stavolta sparì. Al terzo cartello il sindaco s’incaponì, ne fece fare uno più alto, tenuto da un palo bello grosso. E stavolta nessuno lo toccò. Fu l’amministrazione stessa a farlo levare quando sotto ci trovarono la scritta “Benvenuti una minchia!”.

Monica Gentile

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Biografia autrice:

Monica Gentile nasce ad Agrigento. Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne, dopo un breve periodo di insegnamento, lascia l’Isola per la Francia e il Regno Unito, per poi tornare a Roma. Rientra in Sicilia nel 2003, a Palermo, dove oggi vive e lavora nel settore turistico. Ha pubblicato diversi racconti su riviste letterarie e antologie: La Processione (Palazzo Sanvitale, Parma), Camera standard (Inchiostro Invisibile, La Zisa Edizioni), Ordinaria Diversità (18h30 edizioni), Concetta Café (Senza Zucchero, Avagliano Editore). Da un paio d’anni frequenta i corsi di scrittura di Antonella Cilento. Nel 2014, col suo romanzo d’esordio “Tira Scirocco”, ha vinto il premio letterario “Edizione Straordinaria” (Pacini Editore) ed è stata menzionata al Premio Calvino.

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