Variazioni sul tema dell’ombra nella pittura di Caravaggio (21)

di Daniela Pericone

Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602 (Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi)

Nel 1602, dopo che la scultura San Matteo e l’angelo eseguita dal fiammingo Jacob Cobaert per la cappella Contarelli viene rifiutata dai committenti, questi affidano a Caravaggio l’esecuzione della pala d’altare (ai lati la Vocazione e il Martirio di San Matteo). Il pittore realizza il dipinto San Matteo e l’angelo, ma anche quest’opera viene respinta (acquistata dal marchese Giustiniani, è poi andata distrutta a Berlino in un bombardamento aereo nel 1945) e in breve sostituita da una nuova versione.

I motivi del rifiuto non sono chiari, forse la figura rozza e la posa poco solenne di San Matteo, seduto con le gambe a cavalcioni e i piedi nudi in evidenza, o l’eccessiva intimità dell’angelo accostato al santo nell’atto di istruirlo nella scrittura, o ancora le inadatte dimensioni del quadro.

Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602 (distrutto a Berlino nel 1945)

La nuova tela differisce notevolmente dalla precedente, diviene centrale l’aspetto della natura divina dell’ispirazione. San Matteo, coperto da una veste rossa e appoggiato a un tavolo, si accinge a scrivere quanto gli suggerisce l’angelo, che dall’alto, avvolto in un vorticoso panneggio, ispira le parole del Vangelo accompagnandole con segni eloquenti delle dita.

Un ginocchio del santo preme su uno sgabello, ma l’appoggio è precario, perché uno dei piedi di esso sporge pericolosamente fuori del piano. È il consueto intento di Caravaggio di indurre, mediante la posizione aggettante degli oggetti, una sensazione di annullamento dello spazio circoscritto del quadro. Ma può intendersi anche, più inquietante e certo non consolatorio, un richiamo alla fragilità dell’esperienza umana, il segno di un teso equilibrio, una solidità sempre insidiata dal vuoto.