Una poesia da La zona rossa, di Francesco Filia

Francesco-Filia-La-zona-rossaFrancesco Filia, La zona rossaIl laboratorio/le edizioni, 2015

Per “zona rossa” si intende una porzione di territorio ad alto rischio su cui si tiene vigile l’allerta per un’eventuale e rapida evacuazione al fine di prevenire e ridurre il più possibile le perdite umane, limitando i danni a persone e cose.
In questo caso La zona rossa è l’area intorno alle falde del Vesuvio, ma anche quella linea di confine sottile in cui si muovono le vicende di Elena e Andrea, di Ciro e Marco, dell’ispettore e delle statue, delle piazze, degli edifici e dei graffiti che descrivono e vivono la scommessa di esserci, giorno dopo giorno.
La scrittura di Filia è elegante, colta, ma anche secca, essenziale, aderente ai luoghi, ai personaggi, alle situazioni che deve descrivere, cui deve dar voce.
La bravura di Filia in questo poema sta nella capacità di fondere il narrato alla metrica del verso, in modo naturale, musicale, perfettamente scandito, ancorando il lettore alla storia dal principio alla fine.

natàlia castaldi


 

Chiacchiere

 

“In fondo chiedevamo un ordine”.
Un dettaglio che ci salvasse da questo
cumulo di eventi impazziti, l’accelerazione
della nostra mente contro il muro di strade
e scarti di vicoli ciechi: “Cos’è quel montare
improvviso che sentiamo dal profondo
delle viscere? Quella rabbia atroce
che divora se stessa?” La maledizione
di chi almeno una volta ha voluto capire
lo stridio che lo fa stare al mondo
la stessa forma che tiene inerme i nostri
discorsi le nostre parole spezzate le urla
inconsulte di gioia. “Rinchiusi nel carcere
di camere dove un pomeriggio d’inverno
siamo stati segnati una volta per sempre
da un enigma non risolto,
da un gioco andato storto.
Senza guardarci intorno
a questo nulla di transenne e strade”.

 

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