Hidden Gems (a cura di Alessandro Calzavara) – 13) Igginbottom

Igginbottom

Collage_Fotor calz

Sono un tipo molto pigro. Come tutti i malati preferisco pensare che sia il mondo a essere sulla cattiva strada e a doversi conformare alla mia pigrizia. Di sentirmi in torto per non aver alcuna voglia di conferire valori e significati a cazzo a questa o quella cosa proprio non mi va. O peggio ancora: dover mutuare stanchezze semantiche altrui, con i risultati che si possono ben osservare nella dissolutiva starnazzata globale della comunicazione. Credere in qualcosa eccede le mie forze. Credo (col beneficio del dubbio) che il mio amore per la musica dipenda essenzialmente da questo: che l’armonia, la melodia e il ritmo non significhino assolutamente nulla e possano essere fruiti –in ciò che hanno di più affine alla morte- in magnifica rassegnazione. Mi metto in aspettativa dalla vita e mi lascio sedurre dalla capienza della quiete, mescolandola al salvifico disprezzo per ogni impresa. Alla cultura preferisco la natura, quella immediata dell’umano, che mi rende consapevole del poco che occorre per saziarla. Esecro l’uomo e il suo futile intelletto, capace di creare un mostro ben più vorace della fame e della paura; ciò che sbrigativamente chiamerò “costruzione sociale”. Al suo interno, le quattro o cinque cose che occorrono per campare pigri (unico sembiante vitale appena sopportabile) sono sottratte all’individuo e appiccicate in guisa di esca a un’estremità del bastone che con l’altra percuote l’indolente riottoso. Quel bastone è brandito dal potere, termine che qualcuno s’affanna a trovare ingenuo, e che diremmo anche capitalismo. La mia pigrizia mi spinge a stabilire il rapporto meno mediato con questa immagine pseudonaturale del tutto: cercare di comprenderne i tratti necessari sarebbe per me estremamente faticoso, e mi limiterò dunque a ribadire – nella fresca pienezza dell’istinto – la mia totale riprovazione per tale modello, non bastasse quella per ogni modello in sé e per sé.
“Igginbottom” degli “Igginbottom Wrench” (come riportano certuni) o “Igginbottom Wrench” degli “Igginbottom” (come riportano cert’altri) è uno dei dischi della mia collezione che scorre più felicemente e indolentemente. È il frutto dei primi sforzi del ventunenne Allan Holdsworth, poi incamminatosi verso una faticosa attività di genio della chitarra, ma qui ancora giovane e cazzone, nonché capace di concepire nuclei di quasi-canzoni istoriandoli poi delle fitte tessiture d’una chitarra sorniona che pare aliena da stress esibizionista. Non che non corra talvolta, solo che lo fa servendosi d’un suono assai dimesso, che richiama le prove nella sala da bagno d’uno studente universitario in sede. La postura rock è sapientemente bandita, a partire dai suoni e finendo con le partiture. La batteria carezza, frulla, spiatteggia con delicata sobrietà, facendo attenzione a non svegliare i vicini. Il basso sostiene con accenni jazz il lavoro della chitarra ma risulta infine abbastanza educato da non superare i confini tracciati dalla gregarietà. Sorprendente e perfettamente intonata la voce di Holdsworth, che avrebbe potuto gloriosamente optare a questo bivio per un salario da cantante inutile (sia detto con rammarico).
“Igginbottom Wrench” è uno di quei pochi dischi (o uno di quei pochi gruppi, essendo questa l’opera unica del combo) capaci di aggradare tutti coloro che credono che tra rock e jazz possano esistere zone di confine assai remunerative in termini edonici, da cui possano provenire lavori perfettamente equidistanti sia dal tamarrume fusion sia dal jazz elettrico.
Aggraderà soprattutto chi ama trascorrere le giornate come se le giornate passassero davvero, ma senza dovervi essere coinvolti in maniera eccedente il pressare play sul lettore cd. Nel contempo tracce come “The Witch” o “Sweet Dry Biscuits” potrebbero ambire a un angolo di perenne amabilità mnemonica, di dolcezza melodica umile e cullante, mentre altrove il titillar del vuoto delle corde di Holdsworth vi riporterà alla mente i passaggi strumentali più esangui e morbidosi dell’esordio crimsoniano.
Quanto basta per pensare a “Igginbottom Wrench” come una piacevole aggiunta a una vita che non posso che augurarvi più oziosa possibile.

Alessandro Calzavara


In copertina: Igginbottom’s Wrench (front cover, Igginbottom, 1969).

Rispondi