Orchestral Lunacy: Kubínek delude – la Musica vince

di Marta Cutugno

Delude le aspettative l’Orchestral Lunacy di Tomáš Kubínek al Vittorio Emanuele di Messina. La qualità dello spettacolo, in replica anche oggi alle 21:00 e domani alle 17:30, non ha colmato l’attesa. Kubínek, poliedrico artista di origini cecoslovacche, contorsionista, illusionista ed attore conosciuto in tutto il mondo, è dotato di buona presenza scenica ed il suo show potrebbe, anche, risultare gradevole ma non entusiasma e non eccelle in dinamismo e fantasia. Parte discretamente, Kubínek: accompagnato dalle note dell’ouverture da “La gazza ladra” di Rossini e accomodato su una sorta di barella/trono, viene scortato sul palco, in trionfo, da due portantini ornati di fascia leopardata. Dentro il damascato borsone porta i trucchi del mestiere, si presenta, scioglie il ghiaccio con un brindisi ed il pubblico lo accoglie benevolo senza risparmiare applausi, almeno in un primo momento. La serata procede ma non si scalda. Non bastano “Otto“, il direttore d’orchestra automatico o la camminata su un aggeggio a sei scarpe che sfocia in twist. Non è sufficiente accompagnarsi ad uno struzzo rosa, o cantare “Caro Nome” dal Verdiano Rigoletto, imitando la puntina incantata del disco o il fruscio delle antiche registrazioni ottenuto con la carta di una caramella. La parabola non è ascendente, non si fa apprezzare in crescendo e, nel breve tempo, il personaggio, pur mantenendo una sua certa pacata eleganza e musicalità in compagnia di armonica o ukulele, si sgretola tra interventi in forzato maccheronico italiano e un ridondante “avete capito?”.

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A vincere l’imbarazzo è la Musica. Degna di nota è l’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele diretta dal maestro Marco Alibrando che, con simpatico garbo, è rimasto coinvolto in diverse gags. Sonoro incanto la scintillante ouverture dal “Ruslan and Ludmilla” di Glinka, la dolcissima “Beautiful Dreamer” di Foster, le Danze Slave op 46 di Dvořák – la quarta e la prima dal borioso furiant, il ballo di corteggiamento dinanzi la dama – un accenno di messicana cucarachaShave and a Haircut, Two Bits di passaggio, la Marcia da Le Nozze di Figaro di Mozart, Tempo di Marcia e Mazurka di Offenbach, l’ouverture da Guglielmo Tell di Rossini. L’interpretazione dell’orchestra sorretta dal bravo Alibrando ha colmato egregiamente le mancanze del noto performer, barcamenandosi con grande padronanza stilistica in un programma vario e diversificato che ha compreso anche la Danse Bohéme dalla Carmen di Bizet  e si è concluso con “I Love the Mountains” di Brian Chapman. Teneramente poetica l’esecuzione del Concerto in Re minore per Due Violini (Pasquale Faucitano e Paolo Noschese) di Johann Sebastian Bach, un pensiero “a chi ci ha cresciuto“. Nonostante l’ottima sinergia tra tutti, la partecipazione degli orchestrali agli sketches e le improvvisate parentesi, il personale contributo del “lunatico certificato e maestro dell’impossibile” – così come si autodefinisce Kubínek – non ha reso spedito l’insieme, con, ahimè, più di un piede sul freno della comunicazione.
Su tutto, ha vinto la Musica, non contorno ma protagonista.

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