Delitto e castigo in Allen

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Il 2016 vede, dopo il successo enorme di “Star Wars. Il risveglio della forza”, il trionfo di Checco Zalone e del suo “Quo vado?”. Un’affluenza nelle sale che ha una valenza positiva. Si tratta di un dato che sarebbe ancora di più significativo se esistesse, in particolare in Italia, un sistema produttivo e distributivo capace di favorire l’intero settore cinematografico, comprese le produzioni più difficili. Come ha scritto il regista Massimo Coglitore, in una lettera al ministro Franceschini, “non c’è un reinvestimento di parte degli introiti in film che diversamente non vedrebbero la luce e nessuno può pretenderlo o dare colpe a chi con i propri soldi è libero di fare quello che vuole. Inoltre, durante le feste natalizie, per una strana alchimia, le masse si spostano al cinema tanto da far sembrare una gita tra amici la migrazione dei pinguini. Il 90% di loro, durante tutto l’anno, vive in letargo e solo i più audaci vedranno qualche film in streaming”.

In ogni caso, tra i titoli del periodo natalizio più interessanti va ricordato “Irrational Man”, il nuovo film (il 46esimo) scritto e diretto da Woody Allen, classe 1935. Nel raccontare la passione della studentessa Jill Pollard (la graziosa Emma Stone, già nel sognante Magic in the Moonlight) per l’autodistruttivo e nichilista professore universitario Abe Lucas (un Joaquin Phoenix perfettamente a suo agio nel ruolo), il regista newyorkese innesca, in una ambientazione universitaria statunitense, un meccanismo a lui caro: tra ironia e assurdo, il disilluso docente di Filosofia Lucas ritrova una ragione per vivere quando commette un omicidio, un presunto delitto perfetto, determinato da un movente ritenuto giusto, a sostegno di una donna vittima di un giudice.

Per l’alcolizzato Abe, un Phoenix a tratti esilarante, si tratta di una svolta ma per la sua brillante allieva Jill, innamorata di lui, questa scoperta avrà effetti devastanti. Se la sceneggiatura di “Irrational Man” non manca di lampi d’intelligenza e di intuizioni, la regia di Allen non spiazza quasi mai – a parte l’immagine di Emma Stone con la torcia che ha la forza pittorica di un quadro di Klimt, nella sua ricerca della verità – e in diversi momenti la messa in scena appare stanca e poco coinvolgente per lo spettatore. Tuttavia, il mix di elementi filosofici ed esistenziali appare gradevole, con un adeguato supporto della fotografia di Darius Khondji, la scenografia di Santo Loquasto e il montaggio di Alisa Lepselter.

Sono in primo piano le riflessioni alla Allen sulla drammatica inutilità del vivere, i paradossi e le situazioni tragicomiche, la purezza dello sguardo giovanile e il cinismo dell’adulto, la sacralità della musica di Bach e lo slancio purificatore dell’arte, il fascino per “Delitto e castigo” di Dostoevskij e l’eterno lottare tra sensi di colpa e desiderio di impunità, l’assurdo irrompere del caso e l’insensatezza del vivere. Siamo però lontani da classici come “Crimini e misfatti” e “Match Point”. L’epilogo è meno amaro, non privo di spunti interessanti, ma manca qualcosa per spiccare il volo. Bravi gli interpreti – oltre a Phoenix e Stone, Parker Posey, Jamie Blackley e Meredith Hagner – in un film che si vede con piacere ma che difficilmente si decide di rivederlo.

Una parte di questo articolo è stato pubblicato sul settimanale Centonove Press, rubrica Visioni, del 7 gennaio 2016.

 

 

Marco Olivieri

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